Nel 1972 l’astronauta Charlie Duke arrivò sulla Luna dopo un’attesa che gli era sembrata infinita. Prima di tutto la partenza dalla Terra era stata rinviata di un mese a causa di problemi tecnici. Dopo quattro giorni di viaggio, lui e il suo collega John Young si erano posizionati a fatica all’interno del modulo di allunaggio, ma la sala di controllo aveva interrotto le operazioni: la navicella che avrebbe dovuto restare in orbita mentre gli astronauti scendevano sulla Luna aveva un problema al motore. Duke e Young dovettero attendere sei ore prima di ricevere il via libera.
Alla fine i due cominciarono la loro discesa verso la Luna in un modulo poco più grande di un ascensore, con le pareti disseminate di bottoni e leve, e piccoli oblò da cui si poteva vedere fuori. Dato che non c’erano sedili, Duke e Young stavano in piedi, uno accanto all’altro, ancorati al pavimento da cinture e dal velcro applicato sulle suole dei loro stivali. Quando il modulo raggiunse la superficie lunare, la sala di controllo gli ordinò di riposarsi in vista della prima escursione. In quel momento, riposare era l’ultimo dei pensieri di Duke.
Dopo aver spento i propulsori del modulo, gli astronauti aprirono due amache e le agganciarono alle pareti. “Ero molto agitato”, racconta Duke. “Abbiamo chiuso gli oblò per non far passare la luce del sole e abbiamo abbassato le luci della cabina, ma l’eccitazione era troppa. Ero sulla Luna! Alla fine ho dovuto prendere un sonnifero per addormentarmi”.
Quando la sala di controllo stabilì che Duke e Young si erano riposati abbastanza, diede l’autorizzazione a esplorare. Gli astronauti scaricarono il rover, il loro veicolo per spostarsi sulla Luna, e lo guidarono attraverso il paesaggio ondulato vicino al cratere Descartes, largo 48 chilometri e profondo quasi un chilometro. Saltellando nelle loro tute spaziali (la Luna ha una gravità pari a un sesto di quella terrestre) raccolsero campioni di polvere e rocce prima di tornare all’interno del lander.
Duke e Young mangiavano due volte al giorno, versando acqua fredda in sacchetti di cibo disidratato che promettevano di contenere stufato di carne, torta alla frutta e succo d’uva. Gli astronauti urinavano e defecavano all’interno di buste che non erano ben sigillate e potevano avere delle perdite, e dovevano mescolare al contenuto dei disinfettanti per evitare la formazione di gas. Nonostante le difficoltà, per Duke fu un’esperienza elettrizzante. “Abbiamo vissuto sulla Luna per tre giorni. Provavamo un continuo senso di meraviglia. Non l’ho mai dimenticato”.
Duke e Young sono tra gli ultimi esseri umani ad aver camminato sulla Luna. Nel 1975 l’agenzia spaziale degli Stati Uniti, la Nasa, interruppe il programma Apollo, e da allora nessun altro terrestre ha visitato il satellite della Terra. Adesso, però, le cose potrebbero cambiare: a più di cinquant’anni da quella missione, il programma Artemis – gestito dalla Nasa in collaborazione con le agenzie spaziali di Giappone, Israele, Germania, Italia, Emirati Arabi Uniti e Unione europea – sta provando a riportare degli astronauti sulla Luna.
Le nuove missioni dureranno di più di quelle degli anni sessanta e settanta. In futuro gli astronauti resteranno sulla Luna per settimane, forse per mesi. Le agenzie spaziali coinvolte nel programma Artemis si stanno affrettando a progettare basi lunari, mentre Cina e Russia collaborano a un progetto simile separato.
Esistono già esempi di sopravvivenza lontano dalla Terra. La Stazione spaziale internazionale (Iss) orbita intorno al nostro pianeta da venticinque anni, mentre quella cinese, Tiangong, ha un equipaggio permanente dal 2022. Gli antenati delle moderne stazioni spaziali sono la Mir russa e la statunitense Skylab, di breve durata. Parliamo di strutture che orbitano a poche centinaia di chilometri dalla superficie terrestre: una distanza da “pendolari” se paragonata ai 384.400 chilometri che bisogna percorrere per raggiungere la Luna.
Niente di conosciuto
Per progettare una base lunare, gli architetti spaziali devono affrontare sfide estremamente complesse e sono costretti ad affidarsi a materiali edili inconsueti, in un ambiente inconsueto, per dare un alloggio a persone che si muovono in maniera inconsueta.
Le basi lunari dovranno essere prima di tutto sicure per gli astronauti. La Luna è particolarmente vulnerabile ai meteoriti, come dimostra la sua superficie bucherellata da milioni di anni di collisioni e ricoperta da una polvere fine come zucchero a velo. Cadendo le rocce potrebbero perforare le pareti di una futura base lunare, provocando una fuga di gas essenziali per la sopravvivenza. Gli astronauti saranno inoltre esposti alle radiazioni generate dalle esplosioni nel cosmo e dalle eruzioni solari. Livelli elevati di radiazioni possono aumentare il rischio di mutazioni genetiche e provocare tumori e malattie neurodegenerative come l’alzheimer.
Sulla Iss si usano strati di polietilene per proteggere gli astronauti dai raggi nocivi (il polietilene è ricco di idrogeno, una sostanza che fa da scudo, bloccando le radiazioni), ma nonostante queste precauzioni possono andare incontro a danni genetici se trascorrono più di qualche mese in orbita.
Trasportare merci sulla Luna rimane un’operazione molto dispendiosa: circa 220mila dollari per un chilo di materiale da costruzione
Gli architetti lunari ritengono che immagazzinare acqua nelle pareti di una base lunare potrebbe schermare le radiazioni. L’acqua, inoltre, potrebbe essere usata per bere, lavarsi o anche come carburante per i rover alimentati a idrogeno. Ma trovare e raccogliere acqua sulla Luna non sarà facile. In quell’ambiente l’acqua tende a evaporare non appena la raggiungono i raggi solari, passando immediatamente dallo stato solido a quello gassoso. La soluzione più praticabile è cercare una fonte idrica affidabile in una delle regioni perennemente in ombra, presumibilmente in un cratere vicino a uno dei poli, dove i dati satellitari suggeriscono la presenza di ghiaccio (tutti i progetti in corso riguardano l’area intorno al polo sud).
Oltre a prevedere dei sistemi di difesa dalle minacce esterne, una base lunare dovrà essere costruita in modo da minimizzare i pericoli al suo interno. Per sostenere la vita, la struttura dovrà contenere un mix di gas, in particolare azoto e ossigeno. Il rischio, considerando l’assenza di atmosfera e di pressione compensativa, è che i gas possano fare pressione sulle giunture e causare cedimenti. Per questo molti progetti per le nuove basi lunari sono a forma di uovo o di cupola. Le sfere, infatti, distribuiscono più uniformemente la pressione rispetto ai cubi.
Di recente il Massachusetts institute of technology (Mit) e l’Agenzia spaziale europea (Esa) hanno chiesto ai progettisti lunari di immaginare quale potrebbe essere l’aspetto di una colonia umana sulla luna. Colin Koop e Daniel Inocente, architetti dello studio statunitense Som, hanno suggerito una torre tozza con una base a forma di trifoglio. “Finché non cerchi di progettare qualcosa che sta al di fuori dell’atmosfera terrestre, non ti rendi conto di quanto ci offra la Terra”, osserva Koop. “A quel punto, come progettista, capisci che l’architettura deve riprodurre tutto ciò che sulla Terra esiste già”.
Poi, naturalmente, ci sono i problemi legati all’attività di costruzione. Anche se aziende private come la SpaceX hanno abbattuto i costi dell’invio di tonnellate di metalli e tessuti nello spazio, trasportare merci sulla Luna rimane un’operazione molto dispendiosa: circa 220mila dollari per un chilo di materiale edile. Una possibile soluzione è usare ciò che si trova in abbondanza sul posto, come la polvere, onnipresente sulla superficie di una roccia colpita incessantemente da detriti volanti.
Con una manciata di polvere
Nell’estate del 2024 in un hangar a Austin, in Texas, ho incontrato alcuni esperti che stanno cercando di costruire una base con la polvere lunare, chiamata regolite, una combinazione di polvere e frammenti di materiale. Al microscopio la regolite, che si trova anche sulla superficie terrestre, presenta forme spigolose.
“Immaginate le erbacce dalle punte appiccicose”, spiega Georgiana Kramer, geologa del Planetary science institute. “Un granello di regolite ha una forma seghettata e dentellata, con incrinature molto angolate”. Questo materiale può penetrare facilmente in una tuta spaziale o in un dispositivo elettronico. Se inalato, provoca danni ai polmoni. Prima di rientrare nel lander, Duke e Young dovevano eliminare lo spesso strato di regolite sulle loro tute con un piccolo aspirapolvere.
Nel 2022 la Nasa ha firmato un contratto da 57 milioni di dollari con la Icon, un’impresa edile che usa le stampanti 3d per produrre degli alloggi. Alla Icon è stato chiesto di adattare la sua tecnologia per la costruzione di una base lunare direttamente sul posto. Anche la Cina vuole sperimentare dei metodi di costruzione sul posto nella sua missione senza equipaggio Chang’e-8, in programma per il 2028.
Evan Jensen, dirigente della Icon, mi ha mostrato un robot costruttore monobraccio in fase di sviluppo. L’apparecchio – formato da una serie di parti metalliche che possono muoversi a partire da una serie di giunture e ruotare intorno a una base d’acciaio – era più alto di me, e il suo braccio somigliava a quello di una gru. Secondo Jensen il robot sarà in grado di raccogliere la polvere lunare, compattarla e sinterizzarla (cioè fonderla ad alte temperature) con l’aiuto di un laser. “Come il personaggio di Ciclope degli X-Men”, mi ha detto.
Quando ho visitato l’hangar, la squadra della Icon stava provando a far lavorare il braccio robotico insieme a un apparecchio per la sinterizzazione. Sul pavimento di un container c’era una scatola trasparente piena di una polvere grigia, fatta di rocce di feldspato sbriciolate provenienti da una cava del Montana. Per composizione geologica, quella polvere è un sostituto accettabile della regolite. Una versione più piccola del robot costruttore, delle dimensioni di un aspirapolvere, sovrastava un cumulo di polvere, mentre dall’altra parte del container c’era un laser posizionato in un tubo a vuoto per simulare le condizioni lunari. Dopo la mia visita, la Icon ha fatto ulteriori progressi: un braccio robotico con un laser integrato può costruire strutture all’interno di una camera a vuoto.
Jason Ballard – cofondatore e amministratore delegato della Icon, un appassionato dello spazio che ama i cappelli da cowboy e sprizza entusiasmo da tutti i pori – mi ha mostrato un oggetto prodotto dal laser. Era una pietra pesante e cilindrica dalla superficie granulosa, con delle fessurazioni vitree, simili a ossidiana. I ricercatori la chiamano “lattina di Dr Pepper”.
Ballard era soddisfatto della forma precisa creata dal prototipo. “La prima domanda è: possiamo fare in modo che un robot produca questi blocchi? Seconda domanda: questo materiale resisterà alle condizioni della superficie lunare?
E infine: possiamo realizzare questi blocchi in assenza di atmosfera? Finora abbiamo superato tutte le prove. Finalmente ci sembra di essere usciti dalla fantascienza”.
Ci sono altri problemi che gli ingegneri della Icon dovranno risolvere. Sulla Luna gran parte del materiale geologico è composta da basalto scuro e ricco di ferro o feldspato chiaro e duro, ma la sua composizione chimica cambia a seconda del luogo di provenienza. Finora la squadra della Icon ha sperimentato solo un tipo di materiale, una regolite sintetica con una bassa percentuale di basalto. Ora dovrà provare diversi materiali e programmare il robot in modo da analizzare la composizione chimica della polvere e regolare il laser di conseguenza.
Gli ingegneri hanno già capito che modificando l’intensità del laser possono trasformare la polvere lunare in un materiale somigliante più al vetro e alla ceramica che alla pietra. Riuscire a trasformare la polvere in diversi tipi di materiali da costruzione permetterà di realizzare vari tipi di infrastrutture lunari.
“Innanzitutto avremo bisogno di una piattaforma per l’atterraggio e il lancio dei razzi, in modo da non distruggere la base lunare ogni volta che ne arriva o ne parte uno”, mi ha detto Ballard. Quando arrivano sulla superficie della Luna i razzi “sollevano polvere e rocce scagliandole in aria come proiettili. È come se ogni volta partisse una raffica di mitra”.
Il passo successivo è costruire strade che colleghino gli alloggi temporanei alle piattaforme di arrivo e partenza. Dopo di che, bisognerà pensare a come immagazzinare l’energia solare, come raccogliere e conservare l’acqua, come produrre cibo e ossigeno, e come gestire i rifiuti.
Chiunque speri in un’accoglienza a cinque stelle dovrà aspettare a lungo, ha notato Ballard: “All’inizio gli astronauti dovranno sopportare molti disagi. Il posto è difficile e ostile. Ma non servono miracoli per migliorare le cose”.
◆ Nel 2017 l’agenzia spaziale statunitense Nasa, in collaborazione con quelle europea, giapponese, tedesca, italiana, israeliana, emiratina e canadese, lancia il programma Artemis con l’obiettivo di riportare gli astronauti sulla Luna per la prima volta dal 1972. Nel 2022 viene completata la prima missione Artemis I, con un volo di collaudo della navicella Orion, senza equipaggio, cento chilometri sopra la superficie lunare. Verso l’aprile del 2026 è prevista la partenza di Artemis II, una missione che prevede il volo intorno alla Luna con astronauti a bordo. Un anno dopo, nel 2027, è attesa la missione Artemis III, che porterà il primo equipaggio, tra cui una donna, sulla superficie lunare. Dopo di che, con Artemis IV, sarà assemblata la prima stazione spaziale nell’orbita della Luna. Nasa, Space.com
Su un tavolo al centro di un hangar spaziale ho osservato il modello della base spaziale che la Icon intende costruire. È stato progettato da Bjarke Ingels, un architetto danese che ha realizzato grattacieli a New York e fabbriche ecosostenibili a Copenaghen. La sua base lunare è formata da tre ambienti che somigliano a enormi ananas senza ciuffo. È una forma che un robot monobraccio può costruire facilmente con movimenti circolari. Dalle pareti esterne sporgono alcuni “cesti” triangolari disposti in un disegno a rombi, al cui interno potrebbe essere versata la polvere lunare per garantire l’isolamento e proteggere dalle radiazioni le persone all’interno.
Negli ambienti progettati da Ingels le pareti curve creano dei soffitti a volta. La loro altezza, di circa cinque metri, è stata scelta in modo da concedere agli astronauti lo spazio per muoversi saltando (in media con un salto sulla Luna si raggiungono i 3,6 metri). Anche in scala ridotta, la struttura ha un aspetto imponente. “Ricorda quasi un tempio”, ha detto Ingels.
La Nasa ha messo a disposizione degli architetti e dei progettisti spaziali un manuale che contiene dei consigli, come per esempio quali sono le superfici migliori per evitare la proliferazione dei microbi. Inoltre il manuale ipotizza quali saranno le attività nel tempo libero degli astronauti, che in passato hanno apprezzato la possibilità di osservare la Terra e ascoltare musica, insieme alle acrobazie in assenza di gravità.
Spontaneità
Nella fase preparatoria del progetto per l’Mit e l’Esa, Koop ha pensato molto a questo aspetto. Nei progetti precedenti gli ambienti somigliavano a cabine di pilotaggio, dove ogni centimetro di superficie era coperto da strumentazioni e pannelli. Per una missione breve può anche andare bene, ma non per soggiorni prolungati. Immaginando un astronauta annoiato che fa rimbalzare ripetutamente una pallina da tennis contro un muro, Koop ha deciso di includere nel suo progetto spazi relativamente vuoti, senza una funzione precisa.
Secondo l’architetto è importante lasciare spazio alla spontaneità. “La gente non sa che ogni minuto della vita di un astronauta è pianificato con mesi, se non anni, di anticipo. Quando si pensa alle attività umane nello spazio, l’aspettativa è che gli astronauti si attengano al copione senza mai discostarsene. Ma non devono anche loro staccare dal lavoro? Poter essere semplicemente umani, che non seguono un copione ma i propri desideri?”.
I progettisti spaziali moderni dovrebbero ispirarsi ai loro predecessori. Galina Balašova, architetta che ha lavorato per il programma spaziale sovietico, sosteneva che le stazioni spaziali dovessero avere i pavimenti color verde scuro e i tetti giallo pallido, per aiutare gli astronauti a sentirsi con i piedi per terra, nonostante l’assenza di gravità. Balašova aveva consigliato anche di appendere dei paesaggi ad acquarello sulle pareti.
Un modulo dell’Iss segue lo schema cromatico ipotizzato dall’architetta sovietica, anche se è difficile accorgersene perché l’interno è interamente coperto da cavi ed equipaggiamenti. La forma di una futura base lunare dipenderà anche da cosa vorranno fare gli esseri umani sulla Luna. Lavoreranno? Giocheranno? Molti progettisti con cui ho parlato sottolineano che la base lunare dovrà avere una funzione simile a quella della stazione McMurdo, in Antartide: un desolato laboratorio di ricerca. Ma è innegabile che esiste anche un enorme potenziale per il turismo lunare. “È un posto dove le persone potrebbero andare se vogliono provare il brivido di una situazione pericolosa”, mi ha spiegato Inocente.
Se la Luna diventasse una destinazione turistica, i ricavi potrebbero finanziare una nuova missione di esplorazione del satellite. Un giorno riusciremo a costruire una città sulla Luna? Robert Howard, ingegnere della Nasa, è convinto che la sostenibilità commerciale di questo progetto dipenderà dalla domanda di viaggi spaziali. “Non è solo una questione di ingegneria, ma anche economica e sociologica. Bisogna capire se l’umanità si trasformerà da una cultura unicamente terrestre a una che vuole spostarsi sulla Luna o su un altro pianeta”. ◆as
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati