Gustavo, un uomo minuto di cinquant’anni, è seduto su una sedia davanti alla sua officina. Sul marciapiede è sistemato un televisore senza schermo; sopra la sua testa c’è un cartellone con un’immagine dell’Uomo ragno e, intorno al supereroe, la scritta a pennarello “Ripariamo tv a schermo piatto”. “Guarda”, mi dice, “la striscia a led è di quest’apparecchio”. Alla striscia manca solo qualche lucina.

Gustavo non sembra aver fretta di finire il lavoro. Dalla sua postazione gode di uno dei panorami migliori sull’Avana, la capitale di Cuba: si vede l’edificio del Capitolio da poco ristrutturato e usato come parlamento (l’unico partito è quello comunista). La cupola dorata dell’edificio bianco brilla alla luce del sole. È un panorama magnifico, ma della bellezza Gustavo se ne fa ben poco. La sua attività part-time, che affianca al lavoro come collaboratore in una farmacia statale, va male. Secondo il governo, arriveranno tempi migliori. Cuba aprirà la sua economia alle aziende straniere, che potranno mettere in commercio sull’isola prodotti di base e materie prime di cui c’è molto bisogno. Nel paese manca tutto e la popolazione soffre la fame. Per questo l’arrivo di venditori all’ingrosso di materiali edili, prodotti per la casa e alimentari è molto atteso.

Il funerale per i pompieri morti nell’incendio di un deposito petrolifero. Matanzas, 19 agosto 2022 (Yamil Lage, Afp/Getty Images)

Forse arriveranno anche i produttori di led per i televisori a schermo piatto. “Sarebbe bello”, afferma Gustavo. Ma il suo volto magro, nascosto sotto il berretto nero calzato al contrario, non riesce a nascondere lo scetticismo. “Qui non cambia mai niente”, dice. È proprio questa la sfida che si trova di fronte il Partito comunista cubano: cambiare senza cambiare. Così non si può andare avanti.

Per alleggerire la “pressione sull’economia”, alla metà di agosto la viceministra per il commercio estero e gli investimenti stranieri, Ana Teresita González Fraga, ha annunciato in tv una riforma economica che contrasta con i princìpi della rivoluzione castrista. In più di sessant’anni, da quando Fidel Castro nazionalizzò il commercio all’ingrosso e al dettaglio, nessuna azienda completamente straniera è stata la benvenuta a Cuba. Le circostanze attuali, però, richiedono misure non convenzionali. Secondo González Fraga, finora lo stato non ha esplorato a sufficienza i “vantaggi degli investimenti esteri”.

In realtà quest’ultima apertura è una rivisitazione di una vecchia ricetta. L’economia cubana, teoricamente socialista, è piena di eccezioni. Ci sono già aziende straniere che commerciano con lo stato cubano o investono in piccole imprese private. Nella zona economica speciale del porto di Mariel, nel nordovest dell’isola, L’Avana fa affari con il mondo capitalista.

Matanzas, 6 agosto 2022 (Yamil Lage, Afp/Getty Images)

Tuttavia gli scaffali delle bodegas, i negozi dove lo stato vende prodotti di base a prezzi sovvenzionati, non sono mai pieni. Anche i negozi frequentati dai cubani che hanno accesso ai soldi stranieri e possono comprare alcuni prodotti più ricercati hanno un’offerta limitata.

Senza risposte

Per affrontare la situazione servono le maniere forti: i fornitori stranieri devono vendere la loro merce sull’isola, direttamente ai commercianti al dettaglio cubani. Si tratta di rifornire il paese. I nuovi arrivati potranno fare affari (e pagare le tasse) nella loro valuta, mentre lo stato farà da sportello di cambio tra le aziende estere e l’economia interna. La speranza è di avere più prodotti e materiali e, allo stesso tempo, più valute straniere: dollari, euro e sterline per importare generi alimentari e riempire così gli scaffali delle bodegas.

Il problema non è certo nuovo: da tempo il governo socialista riesce a fatica a soddisfare le necessità di base della popolazione. La campagna cubana, dove fino all’inizio degli anni novanta si coltivava quasi esclusivamente canna da zucchero, ormai produce solo una frazione di quello che serve agli undici milioni di abitanti del paese. La grande maggioranza dei prodotti dev’essere importata, ma lo stato non ha soldi per farlo e i prezzi continuano a salire.

All’Avana l’insoddisfazione si avverte nelle urla della gente, camminando vicino ai palazzi color pastello con le facciate scrostate, sotto i balconi barocchi con la biancheria stesa ad asciugare e tra i cumuli di spazzatura. A un incrocio un gruppo di persone è impegnato in una discussione accesa. Una ragazza con la pelle scura e un vestito nero sventola la tessera del razionamento. “Perché non mi vendete la carne macinata? Ho fame”, dice gridando.

Ha diritto a quattro confezioni di carne macinata una volta al mese, le spiega una dipendente della macelleria di stato Los Fornos, presa d’assalto dalle domande di cittadini arrabbiati e preoccupati. Ma la risposta crea più agitazione. “Perché una volta al mese? Eduardo ha detto ogni quindici giorni”, grida la cliente. “Eduardo può dire quello che vuole, però è così”, risponde la dipendente. “Per le lamentele devi rivolgerti al distributore”.

Un altro signore chiede se prima o poi arriverà il pollo. Anche gli altri lo vorrebbero sapere, l’ultima fornitura risale a un mese fa. Nessuno però può dare una risposta precisa. L’addetta alla macelleria rientra nel negozio e chiude la porta lasciandosi alle spalle i clienti infuriati. La rabbia non risparmia neanche me, il giornalista straniero: “Vai a ballare, a bere, vai in spiaggia”, dice una donna. “Queste discussioni riguardano solo i cubani”.

In questi giorni Cuba non riesce a nascondere le sue difficoltà e il suo aspetto malconcio neanche ai turisti che cominciano lentamente a tornare dopo le restrizioni imposte dalla pandemia. A un altro incrocio, poco lontano, c’è una discussione simile: la gente sta aspettando un pezzo di sapone e delle salviette umide. “Per pulire il viso ai bambini”, dice Roberto, un uomo basso che assiste persone sorde e cieche. “Dobbiamo ringraziare le sanzioni di Trump”, afferma. “E la pandemia”.

Sanzioni pesanti

La causa di questa situazione è (in parte) esterna. Durante il suo governo il presidente statunitense Donald Trump ha fatto marcia indietro rispetto alla politica di distensione economica del predecessore Barack Obama. E l’amministrazione Biden ha alleggerito solo in parte le sanzioni economiche imposte da Trump. A peggiorare la crisi sono arrivate la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina. Da un giorno all’altro è mancato l’afflusso di turisti che, con i dollari e gli euro, iniettavano ossigeno nelle casse dell’economia. Dopo la prima fase dell’emergenza sanitaria, Cuba non ha fatto quasi in tempo a riaprire le frontiere che il prezzo dei generi alimentari e delle materie prime è schizzato alle stelle.

In molti paesi dell’America Latina la pandemia ha costretto la gente a sobrevivir, sopravvivere. Se chiedete ai cubani come stanno molti vi risponderanno con il verbo subsistir, tirare avanti.

Davanti a un piccolo bar nel centro dell’Avana Pedro Luis, 61 anni, si poggia su una stampella e fuma una sigaretta dopo l’altra. “Puoi anche aver studiato, ma se hai fame non sei nessuno”, dice. Ha una figlia avvocata e un figlio ingegnere, ma a Cuba sono poveri come lui. Non bisogna scambiare la maglietta che indossa, con i colori del paese, per una dichiarazione di sostegno alla rivoluzione. Secondo lui il piano economico annunciato dal governo è solo l’ennesimo azzardo. “Il presidente Miguel Díaz-Canel si è trovato tra le mani una patata bollente”, afferma. Tira fuori un’altra sigaretta da un pacchetto stropicciato e, con il mozzicone tra le dita, avvicina l’indice alla fronte: “Non è un uomo intelligente”.

Pedro Luis pensa che il leader cubano non abbia idea di cosa fare del paese che gli è stato lasciato dai fratelli Castro. Nel 2019 Díaz-Canel, 62 anni, è succeduto a Raúl Castro come presidente e nel 2021 è diventato capo del partito, sempre al posto di Raúl.

Pedro Luis è nato poco dopo il trionfo di Fidel Castro, nel gennaio 1959. Una vita intera passata nel solco della rivoluzione castrista, prima e dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli ha insegnato a non aspettarsi niente. Il partito decide per il popolo e, se la soluzione non ha l’effetto sperato, il partito prende un’altra decisione. Lui fuma e va avanti.

“Prima vediamo se i fornitori esteri arrivano davvero”, dicono due donne che vendono vestiti fatti a mano davanti ai grandi magazzini Bazar Inglés. “Una cosa sono le parole, un’altra i fatti”.

Quando mi presento come giornalista, le donne sorridono e la conversazione si blocca. La loro attività esiste grazie a un precedente esperimento del governo, che faceva a pugni con i princìpi socialisti: il cuentapropismo, cioè la possibilità per i piccoli imprenditori di lavorare in proprio. Durante la pandemia lo stato ha ampliato sensibilmente l’elenco delle imprese e delle libere professioni autorizzate.

Il tentativo del Partito comunista è sempre lo stesso: dilatare gli ideali senza infrangerli. “All’interno della rivoluzione tutto, contro la rivoluzione niente”, disse Fidel Castro nel 1961. Nell’aprile 2021 il fratello Raúl ha pronunciato, nel suo discorso d’addio, una variante aggiornata di quello slogan: “Ci sono limiti che non possiamo oltrepassare perché le conseguenze sarebbero irreversibili”. Per questo la viceministra per il commercio González Fraga, annunciando l’ultima riforma economica, ha sottolineato che lo stato “non rinuncerà” al controllo sulle importazioni.

Restare seduto

Gli imprenditori stranieri sono avvisati: tra loro e i clienti cubani ci sarà il partito. “Tutto molto bello”, ha scritto un certo Mario commentando un articolo sul sito di Granma, l’organo ufficiale del Partito comunista. “Ma finché le aziende private non avranno libertà reali non cambierà nulla”.

Gustavo è d’accordo. Se potesse, raggiungerebbe la figlia e l’ex moglie negli Stati Uniti. Così non dovrebbe più stare seduto per ore, con la vista sul Capitolio ma anche a pochi passi dallo scheletro annerito dell’albergo di lusso Saratoga. Il 6 maggio lo storico edificio è stato distrutto da un’esplosione causata da una fuga di gas. L’hotel era stato restaurato e avrebbe dovuto riaprire a breve. Le bandiere cubane e i manifesti appesi su un balcone sopra l’officina di Gustavo ricordano un incidente ancora più recente. Gli slogan scritti su alcuni pezzi di cartone sono un omaggio ai vigili del fuoco morti in un enorme incendio scoppiato il 5 agosto in un deposito di carburante nella città portuale di Matanzas, a est dell’Avana. È stata una catastrofe sia per la perdita di vite umane sia per i danni economici. L’incendio di quattro enormi silos di stoccaggio ha provocato quindici vittime tra i vigili del fuoco. Non si sa quanto petrolio sia andato perso.

“Cuba è Matanzas”, si legge su uno dei cartoni. È firmato dal Comitato locale per la difesa della rivoluzione, il custode civile della continuità. Castro creò questo sistema di vigilanza collettiva nel 1960. Anche nel 2022 bisogna stare attenti a cosa si dice, spiega Gustavo. Così, come tanti altri cubani, resta in attesa. Ma senza aspettarsi niente. ◆vf

Da sapere
Esodo di massa

◆ L’annuncio dell’apertura agli investimenti stranieri nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, fatto nell’agosto 2022 dal presidente Miguel Díaz-Canel, è arrivato in un momento difficile per Cuba. La carenza di prodotti di base, generi alimentari e medicinali è sempre più grave. Inoltre ci sono blackout lunghi e frequenti. Il 27 settembre Il passaggio dell’uragano Ian, con venti fino a 195 chilometri all’ora, ha lasciato tutto il paese senza elettricità. La crisi economica, la mancanza di prospettive per il futuro e la repressione delle proteste antigovernative del luglio 2021 hanno spinto centinaia di migliaia di persone a lasciare l’isola. Negli ultimi undici mesi quasi 180mila cubani sono entrati negli Stati Uniti. Un esodo più grande di quelli del 1980 e del 1994. L’embargo statunitense contro Cuba è in vigore dal 1960. Bbc


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati