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C’è un momento, poco dopo l’inizio di quasi tutti gli episodi di Succession, in cui emerge un lieve suono di percussioni, che anticipa una battuta fulminante o un colpo di scena. Poi attacca il tema musicale della serie. Mentre sullo schermo scorrono vecchi filmini di famiglia sentiamo una fantasia per pianoforte sgranata quanto le immagini, in qualche modo simile a una base per un pezzo hip-hop accompagnata da archi eleganti e imperiosi.

Come ogni buon tema musicale che si rispetti, la sigla di Succession si conficca immediatamente nella testa dello spettatore. Ma l’uomo che l’ha composta, Nicholas Britell, non si è limitato a creare una melodia riconoscibile. Nel corso delle quattro stagioni della serie che si è conclusa il 28 maggio, Britell ha fatto qualcosa di molto insolito nel mondo della tv: ha composto una partitura vasta e al contempo concettualmente precisa, che nel susseguirsi degli episodi si è sviluppata in un’opera classica con tantissime variazioni, adatta per una sala concerti almeno quanto lo è per il piccolo schermo.

Da Beethoven a DJ Screw

È una peculiarità di Britell, un musicista che non si accontenta di fissare il tono emotivo di una scena. Compositore cinematografico tra i più apprezzati della sua generazione – non un successore di John Williams e della sua grandiosità sinfonica, quanto piuttosto un creatore camaleontico e sensibile di mondi sonori distinti – Britell cerca liberamente le sue ispirazioni, dal tardo Beethoven a DJ Screw, ed è a suo agio sia con la sincerità dolorosa sia con la satira elevata.

In Succession, Britell riprende l’espediente tradizionale della musica classica in cui un compositore improvvisa una melodia al pianoforte facendola passare da varie alterazioni di umore e forma. Questo processo rappresenta una piacevole forma di svago, ma è anche la base per un lavoro inventivo e caleidoscopico. La colonna sonora di Britell, con la sua combinazione tra pianoforte e orchestra, ha un antenato nella Rapsodia su un tema di Paganini di Sergej Rachmaninov. Sarebbe interessante se Britell la adattasse in un’opera simile a quella del compositore russo.

Con il tema e le variazioni, Britell ci offre un parallelo della trama di Succession: un’idée fixe stabilita fin dall’inizio – un patriarca che prima o poi sarà costretto a cedere lo scettro – e una serie di eventi circolari (qualcuno direbbe statici) in cui tre dei suoi figli si affannano per conquistare il potere.

È una premessa che resta valida anche dopo la morte del patriarca, che arriva nella prima parte della quarta stagione. Nel penultimo episodio, incentrato sul suo funerale, è evidente la presa psicologica che Logan Roy ha ancora sui suoi figli e il modo in cui, uniti nel lutto, tutti e tre continuano ad architettare le loro macchinazioni.

Nicholas Brittell, New York, marzo 2023 (Clément Pascal, The New York Times/Contrasto)

Il seme musicale che infonde le evoluzioni non potrebbe essere più semplice: non parliamo del tema principale della sigla, ma di un motivo composto da otto accordi che figura al suo interno, e all’inizio del brano Strings con fuoco.

Da lì la musica si evolve lungo una serie di variazioni che accennano a forme classiche e barocche: un minuetto o un rondò ballabile, un concerto grosso di archi spigolosi, un ricercare vagabondo.

Molti brani hanno titoli che ricordano quelli dei movimenti di una sinfonia, con indicazioni di tempo come “adagio” e “andante con moto”. Altri si adatterebbero a un programma di musica da camera, come Serenata in mi bemolle, o Impromptu numero 1 in do minore, che condivide il nome con uno dei più famosi pezzi di Franz Schubert per piano solo.

Non è certo una coincidenza. Ascoltando la Fantasia in do minore K 475 di Mozart, gli amanti di Succession avranno l’impressione di essere condotti verso la musica di Britell.

Variazioni su mappa

Nelle prime due stagioni, Britell segue un programma abbastanza canonico per le diverse forme assunte dal suo motivo di otto accordi: un pianoforte tambureggiante simile a quello della fantasia di Mozart, archi oscuramente regali e ottoni. In genere ogni variazione si sviluppa in modo riconoscibile da una singola cellula ritmica.

Gli allontanamenti maggiori arrivano quando la famiglia Roy lascia New York. Nell’episodio che mostra la proprietà di Connor Roy in New Mexico, intitolato Austerlitz, Britell inserisce una variazione per chitarra che non è mai apparsa prima e non apparirà più dopo.

Le scene ambientate nel Regno Unito sono accompagnate da una maestosa fanfara. Infine, nella casa di campagna di famiglia, i preparativi per un pasto si svolgono al ritmo di un sestetto per violino di sapore schubertiano.

Ma poi, a partire dalla terza stagione, qualcosa cambia. La musica, come la storia, diventa più dichiaratamente emotiva. Per ogni ingannevole rondò c’è un afflitto largo. L’incertezza sullo schermo si traduce in tante sorprese sonore, come l’introduzione di un coro (Ricercare. Strings and voices) alla fine dell’ultimo episodio della stagione.

I cambiamenti stilistici della partitura quando i personaggi si allontanano da Manhattan, invece, restano un elemento costante. Durante gli episodi cruciali, ambientati in Toscana, Britell fa passare il suo tema attraverso un prisma italiano per brani come Serenata. Il viaggio.

Nell’ultima stagione Britell amplia ulteriormente la sua tavolozza di variazioni. Il monologo autoritario di Logan nella newsroom della sua emittente Atn convive con una coda di gelida dissonanza. Gli accordi, sospesi, evocano lo stato precario dei figli dopo la morte di Logan. L’irrefrenabile flusso emotivo durante il funerale potrebbe avere un titolo come Appassionata.

L’avventura di temi e variazioni creata da Nicholas Britell nell’arco delle quattro stagioni ha seguito un destino simile a quello dei fratelli Roy: negli ultimi episodi potrebbero sembrare caratterialmente simili rispetto all’inizio della storia ma allo stesso tempo, più in profondità, sono del tutto diversi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati