Solo al crepuscolo, dopo che i clienti hanno mangiato e si sono messi ad ammirare le montagne, i portatori cominciano a cucinare per sé. Non la pasta, le insalate e i curry che hanno preparato per i turisti, ma dei piatti keniani. Due giovani chini su una sufuria _(pentola) girano l’ugali _(una specie di polenta) che cuoce sul fuoco di carbonella. Ci sono anche carne di manzo soffritta e verdure saltate in padella: alimenti sostanziosi, il giusto carburante per le lunghe giornate che li attendono.

Al campo di Likii North, a quasi quattromila metri d’altezza, l’aria povera di ossigeno può far venire il mal di montagna a chi non è abituato. Ma per i portatori, cresciuti nei villaggi vicini, questi pendii sono una seconda casa. Sul monte Kenya, la seconda montagna più alta dell’Africa dopo il Kilimangiaro, i portatori rendono le spedizioni non solo possibili, ma anche confortevoli. Montano e smontano le tende, si fanno carico dell’attrezzatura dei clienti e cucinano tre pasti al giorno, il tutto prima ancora che i turisti arrivino al campo base. I portatori sono molto preparati sia dal punto di vista fisico sia da quello della conoscenza della montagna, spesso imprevedibile. In altre parti del mondo il lavoro, spesso invisibile, svolto dalle guide locali è finalmente valorizzato. Il caso più famoso è quello degli _sherpa _del monte Everest. Ma i portatori che tengono viva l’industria alpinistica, ancora poco sviluppata, dell’Africa orientale sono sottopagati e, osservano alcuni, hanno ancora molta strada da fare prima di ottenere il riconoscimento che meritano.

Le escursioni in montagna sono sempre più popolari in Kenya e questo potrebbe creare nuove sfide. Invece di favorire una sana economia locale, si è cercato di applicare standard internazionali, con il rischio di escludere le guide locali. Che sono esperte e competenti, ma non possono permettersi di ottenere certificazioni costose.

Come si chiamano?

David Miano lavora come portatore indipendente da vent’anni, durante i quali ha fornito assistenza a centinaia di viaggiatori. Otto anni fa, dopo essersi allenato con James Kagambi, il primo keniano ad aver scalato l’Everest, è diventato una guida certificata. “Ci sono stati molti cambiamenti nel corso del tempo”, dice Miano, originario di Naro Moru, una cittadina da cui si parte per scalare il monte Kenya.

Alcuni sono stati positivi. Il compenso giornaliero è aumentato, passando dai circa cinquanta centesimi di dollaro che erano la norma quando Miano ha cominciato ai circa 8,40 dollari di oggi. Ma le mance, una parte importante delle entrate dei portatori, non sono ancora obbligatorie. In ogni caso Miano preferirebbe non avere tariffe fisse: “Dovrebbero essere il frutto di un accordo tra i portatori e il cliente”. Anche le condizioni della montagna hanno un peso sull’afflusso di escursionisti. Alle alte altitudini il clima è più instabile e ci sono più spesso eventi meteorologici estremi, così a volte gli affari vanno a rilento. Miano è costretto ad accettare lavori saltuari, come riparare le recinzioni per il Kenya wildlife service, l’ente pubblico che gestisce i parchi nazionali.

Renson Muchuku, responsabile della formazione all’aria aperta di Savage wilderness, la più grande agenzia di guide dell’Africa orientale, dice che la sua azienda prevede alla fine di ogni spedizione una cerimonia della mancia, in cui i turisti si riuniscono con i portatori per ringraziarli adeguatamente.

Ma, nonostante i progressi, non c’è ancora una cultura che riconosca il ruolo cruciale dei portatori. “Non è raro sentire frasi tipo: ‘Come si chiamano i nostri portatori? Non ricordo’”, osserva Alex Zachrel, statunitense, uno dei pochi _mzungu _(bianchi) a fare la guida sul monte Kenya. “Ma lo dicono davvero o per scherzo? Dopo che abbiamo passato quattro giorni insieme a loro?”.

Mentre il sole cala dietro le cime frastagliate che circondano il campo, arriva un freddo pungente. La notte le temperature scendono fino a dieci gradi sottozero. Alcuni studenti della scuola tedesca di Nairobi, infagottati fino al mento, vanno in giro sorseggiando cioccolata calda e mangiando popcorn.

Al mattino le tende sono ghiacciate. I delicati fiori di elicriso che punteggiano il terreno scintillando nella luce del mattino sembrano imperturbabili. I portatori sono già all’opera e stanno preparando salsicce, french toast e frutta. Tra gli studenti c’è fermento: piccoli drammi come la perdita dei guanti e la nostalgia di casa sono rapidamente messi da parte perché bisogna andare avanti.

Quando si comincia a vedere il Batian, la vetta più alta, con i suoi 5.199 metri, Zachrel indica le guglie, dove nuvole vorticose portano occasionalmente un po’ di neve. “Peter dovrebbe essere lassù con alcuni turisti”, dice, “a meno che non abbia dovuto rinunciare per il maltempo”.

Peter Naituli, di padre keniano e madre norvegese, è cresciuto nella contea di Nakuru, nel Kenya centrale. È convinto che la flessibilità di questo nascente settore sia il suo punto di forza. “L’escursionismo è ancora gestito in modo informale, e questo permette alle persone del posto di trarne vantaggio”, dice. “C’è molta più libertà, perché queste attività non sono rigidamente regolamentate come nei paesi occidentali”.

Attenzione ai pericoli

È un po’ paradossale. Se fossero più addestrati e avessero una certificazione, i portatori e le guide potrebbero farsi pagare di più dai clienti. Ma i corsi dovrebbero essere accessibili e a buon mercato. Per ora pochi possono permettersi di pagare centinaia di dollari per le lezioni che danno la certificazione, visto che solitamente i keniani guadagnano meno di seicento dollari al mese.

Inoltre, non tutti sono d’accordo sul fatto che la mancanza di regole sia un vantaggio. Le montagne possono essere molto pericolose. “Puoi prepararti meglio che puoi, pensare a tutto, ma anche in quel caso c’è un elemento di rischio che sfugge al tuo controllo”, dice Naituli.

Qualche anno fa una guida è morta mentre cercava di liberare una corda che si era incastrata. I turisti che accompagnava sono rimasti bloccati su una cornice rocciosa per tutta la notte, prima di riuscire a scendere. Nel 2015 Warren Asiyo, un ragazzo di 14 anni, è morto per un attacco acuto di mal di montagna durante una gita organizzata da una chiesa. Da allora la madre di Warren, Connie Cheshire Asiyo, ha incanalato tutte le sue energie nello sforzo di rendere più trasparente l’escursionismo in Kenya. Ha fondato The Warren foundation, che collabora con il Kenya wildlife service per migliorare la certificazione delle guide e la loro formazione, in modo da prevenire tragedie come quella accaduta a suo figlio. “La nostra organizzazione ha notato una diminuzione degli incidenti dal 2017. Fare casino è servito”, dice Asiyo.

Lilian Wamathai, istruttrice di Savage wilderness, è ottimista: i keniani stanno cominciando ad appassionarsi alle attività all’aperto, e investono più tempo e denaro. L’associazione di base dei portatori e delle guide sta collaborando con il Kenya wildlife service per approvare un regolamento. In cui, per esempio, si stabilisce che il peso dei bagagli non deve superare i 35 chili. Wamathai ritiene che la professionalizzazione possa essere nell’interesse delle guide locali.

A Shipton’s camp, a 4.260 metri di altitudine, la tappa prima di Point Lenana (la terza vetta più alta del Kenya), alcuni studenti si riuniscono per la riunione serale: sveglia alle tre di notte per raggiungere la cima e da lì vedere l’alba, e poi discesa a piedi, per un totale di trenta chilometri. C’è uno studente che, da quando il gruppo è arrivato al campo, sembra molto stordito: è rimasto seduto, con l’aria apatica, mentre i suoi amici chiacchieravano intorno a lui, e ha toccato a malapena la cena. Zachrel e i suoi collaboratori lo tengono d’occhio. Alle undici di sera decidono di trasferirlo. Un certo numero di guide con una formazione medica e alcuni portatori cominciano una lunga discesa al buio. Gli elicotteri non possono volare a Shipton di notte, e aspettare l’alba potrebbe essere fatale.

Poco dopo i compagni del ragazzo cominciano la camminata in direzione opposta, risalendo il crinale che porta a Point Lenana, sotto una volta di stelle che svanisce all’arrivo dell’alba. Quando tornano al campo, il loro compagno è al sicuro e i portatori hanno preparato per loro un’altra colazione calda e deliziosa. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati