Diébédo Francis Kéré, architetto del Burkina Faso, è il primo africano e il primo nero ad aver vinto il premio Pritzker, l’equivalente del Nobel nel campo dell’architettura.

Il lavoro di Kéré ha evidenziato in più occasioni il ruolo della progettazione nel creare quelle che l’architetto definisce “città coerenti e pacifiche”. Quando nella capitale Ouagadougou il parlamento è stato distrutto da un incendio durante le rivolte popolari del 2014 contro il presidente Blaise Compaoré, Kéré ha presentato il progetto di un nuovo edificio, che dovrebbe diventare un simbolo, rappresentare la trasparenza e l’apertura chieste dai manifestanti.

Per la struttura centrale Kéré ha proposto una piramide a gradoni, con una facciata che ha anche la funzione di spazio pubblico accessibile ai cittadini giorno e notte. L’edificio comprenderà terrazzamenti verdi che celebreranno i progressi dell’agricoltura compiuti nel paese. In un’intervista del 2017 l’architetto ha spiegato: “La mia idea, ingenua, è che la prossima volta in cui ci sarà una rivolta i manifestanti si prenderanno cura dell’edificio e non lo bruceranno, perché sarà un luogo che avranno frequentato”.

Coinvolgere la comunità

Il primo progetto di Kéré è stato la scuola elementare di Gando (il villaggio del Burkina Faso dove Kéré è nato, il 10 aprile 1965). L’architetto ha rivisto e modernizzato le tecniche tradizionali senza rinnegarle, usando argilla locale (abbondante nella zona) e soprattutto coinvolgendo la comunità. I bambini hanno raccolto le pietre per le fondamenta, mentre le donne hanno portato l’acqua per fabbricare i mattoni. “Più si usano materiali locali, meglio si può promuovere l’economia del luogo e creare una conoscenza condivisa. Questo processo rende le persone fiere del loro lavoro”.

Secondo le stime più recenti, nel 2030 due miliardi di persone avranno costruito gli insediamenti informali in cui vivranno. Già oggi più del 61 per cento dei lavoratori del mondo svolge la sua attività in un’economia informale.

Di conseguenza gli architetti hanno la responsabilità di superare l’approccio dominante occidentale ed eurocentrico, e valorizzare le conoscenze locali, come ha fatto Kéré.

Questo nuovo atteggiamento potrebbe non solo rafforzare le comunità, ma anche favorire la sostenibilità dei progetti. Il 15 marzo 2022, commentando la sua vittoria al premio Pritzker, Kéré ha dichiarato alla Cnn: “A volte il mondo occidentale e il suo modo di comunicare sembrano la scelta migliore. L’occidente è percepito dagli altri come un esempio da seguire, senza però tenere conto del fatto che i materiali locali possono rappresentare una soluzione al cambiamento climatico e un’alternativa ideale in termini di sviluppo socioeconomico di determinate aree”.

Gli ultimi due anni sono stati segnati da un cambiamento nei criteri di attribuzione del premio Pritzker. Prima erano spesso premiati architetti già molto famosi, mentre ora si preferiscono professionisti il cui lavoro è più attento ai temi sociali. Nel 2021 il premio è stato assegnato ai francesi Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, per il loro approccio innovativo e radicale al riutilizzo e al riadattamento, che tiene finalmente conto in modo articolato delle conseguenze ambientali dei progetti. Nel 2020 Yvonne Farrell e Shelley McNamara della Grafton architects sono state premiate per il loro lavoro indirizzato a rafforzare le comunità locali. Eppure finora i problemi della rappresentanza e dell’esclusione, che da tempo affliggono il mondo dell’architettura nel suo complesso, non sono ancora stati affrontati.

Il cortile del centro medico chirurgico di Léo, in Burkina Faso, completato nel 2014 (Andrea Maretto, Kéré Architecture)

Il razzismo continua a pesare enormemente sulla professione. La formazione degli architetti è ancora caratterizzata da un modo di pensare di stampo coloniale, ma in un momento in cui le disuguaglianze sociali, economiche e ambientali aumentano in tutto il mondo c’è un estremo bisogno di professionisti con una coscienza sociale. Da questo punto di vista la meritata premiazione di Diébédo Francis Kéré è un sollievo.

Meno dell’1 per cento

Oggi l’architettura resta una professione dominata dai maschi bianchi. Secondo l’Architect review board, nel 2020 meno dell’1 per cento degli architetti abilitati del Regno Unito era costituto da africani o afrobritannici.

Fatto ancora più preoccupante, nel 2019 il Royal institute of british architects ha rilevato che nonostante l’8,3 per cento degli aspiranti studenti di architettura fosse composto da persone non bianche, la percentuale scendeva all’1,5 per cento tra quelli che avevano completato il percorso formativo.

Le facoltà di architettura in occidente stanno cominciando solo ora a occuparsi di questi problemi con una serie di iniziative per decolonizzare il piano di studi. Il riconoscimento attribuito a Kéré è una correzione necessaria, e va di pari passo con la nomina dell’architetta scozzese-ghaneana Lesley Lokko come curatrice della prossima Biennale di architettura di Venezia nel 2023. Lokko sarà la prima architetta nera (nonché la terza donna in assoluto) a gestire l’importante evento.

Un ritratto di Diébédo Francis Kéré (Urban Zintel)

Questo cambiamento di valori abbracciato ai piani alti del mondo dell’architettura è sottolineato dalla dichiarazione rilasciata da Kéré in occasione della consegna del premio: “Tutti meritano la qualità. Tutti meritano il lusso. Tutti meritano la comodità. Siamo tutti collegati. I problemi del clima, della democrazia e della distribuzione delle risorse riguardano tutti”.

Gli architetti e quindi più in generale tutta la società civile trarranno senz’altro beneficio dal lavoro di Kéré e dal riconoscimento che gli è stato assegnato. In futuro faremo bene a tenere a mente le sue parole. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati