Non biasimate troppo i talk show. La corsa ad apparire, i bassi costi produttivi e la commedia del litigio spesso mascherata da informazione hanno garantito ore di intrattenimento e ottimizzato la spesa del canone. Le recenti ospitate e le parole del professor Alessandro Orsini sull’invasione dell’Ucraina, particolarmente clementi con le ragioni russe, e l’indignazione suscitata dal suo compenso come ospite hanno risollevato il vecchio tema se è giusto pagare gli opinionisti. In un’intervista al Corriere della Sera l’amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes è tornato sulla questione, affermando che “se si crede nelle proprie idee, lo si fa con o senza gettone”. Credo sia lecito chiedersi perché un cantante merita un compenso per il suo brano (magari brutto), un attore per il suo monologo, un comico per la sua gag, e invece un opinionista, per quanto urticanti possano essere le sue posizioni, dovrebbe esporsi gratuitamente. Come tutte le figure che intervengono in tv, anche l’esperto, o presunto tale, contribuisce al racconto e a una scaletta pensata per attirare pubblico e share. Quale sarebbe la differenza sostanziale tra l’assolo di un pianista e la dissertazione di uno storico? Quale gerarchia intercorrerebbe tra dischi venduti e saggi scritti? Anche le idee meritano un equo compenso. A meno che non si pensi alla tv e ai suoi salotti come a un microfono aperto a gente di passaggio e cantanti stonati. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati