In un piccolo laboratorio poco distante dal centro di Johannesburg, Patrick Arbuthnot è circondato da apparecchiature e provette. Arbuthnot guida l’unità di ricerca sulla terapia genetica antivirale all’università del Witwaters­rand. In piedi davanti al bancone, è a pochi metri da un potentissimo microscopio in grado di mostrare le cellule nei tessuti e le molecole nelle cellule. Dietro di lui, un macchinario che ricorda uno scanner da ufficio serve a suddividere i mattoncini invisibili che formano il dna, l’rna e altre proteine. L’attenzione di Arbuthnot si concentra però su qualcosa di molto meno tecnologico: un taccuino rosso e nero. Lì potrebbe scrivere la storia di un vaccino contro il covid-19 che il mondo non ha ancora visto.

Nel Regno Unito quasi il 70 per cento degli abitanti ha ricevuto la seconda dose del vaccino contro il virus sars-cov-2. Nei paesi poveri meno del 5 per cento della popolazione ha avuto la prima. In tutta l’Africa meno di una persona su dieci è stata completamente immunizzata.

Il risultato finale non sarà una copia dei vaccini della Moderna o della Pfizer

Le disuguaglianze nell’accesso ai vaccini non sono una novità per l’Africa. Quando nel 2009 scoppiò l’epidemia d’influenza causata dal virus H1N1, i paesi ricchi produttori di vaccini non esportarono le dosi prima di soddisfare il loro fabbisogno interno. Nel 2010 i bambini di paesi come Marocco e Algeria dovettero rinunciare ai vaccini contro la meningite perché scarseggiavano in tutto il mondo. All’epoca un’importante azienda produttrice di vaccini è stata obbligata a fornire le dosi prima agli Stati Uniti e ad altri paesi ricchi, ricorda Mehdi Zaghloul, direttore esecutivo dell’azienda farmaceutica marocchina Sothema. In Africa meno dell’1 per cento dei vaccini è prodotto a livello locale. “Noi africani dobbiamo assicurarci un minimo di autonomia sulle forniture di vaccini”, osserva Zaghloul. Oggi il continente potrebbe voltare pagina. E il primo capitolo di questa storia viene scritto in parte nel laboratorio di Arbuthnot.

Lo scorso giugno l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha affidato a una squadra di ricercatori sudafricani il compito di svelare il codice di un vaccino contro il covid-19 a mRna e poi insegnare ad altri scienziati di tutto il mondo come realizzarlo. In Sudafrica ci sarà il primo di una serie di centri che, nei piani dell’Oms, permetteranno a un numero maggiore di paesi di realizzare autonomamente i vaccini a mRna. Le case farmaceutiche Pfizer e Moderna non hanno voluto condividere le ricette dei loro preparati contro il covid con l’Oms o con altre organizzazioni. Così oggi gli scienziati sudafricani stanno raccogliendo le informazioni pubbliche su quei farmaci – in particolare quelle contenute nelle richieste di brevetto – per sviluppare un vaccino a mRna simile a quello della Moderna. Sperano di poter produrre un prototipo da testare nel 2022, adatto anche alle varianti, e che, a differenza di quelli disponibili oggi, non debba essere conservato a temperature bassissime.

Storicamente i vaccini hanno usato delle versioni indebolite di un virus – o particolari proteine – per ingannare il corpo umano e fargli produrre anticorpi in grado di respingere l’eventuale malattia. I vaccini basati sull’acido ribonucleico messaggero (mRna) funzionano diversamente. “Pensate a una cellula come a una piccola stampante 3d”, spiega Kristie Bloom, che dirige l’équipe incaricata dei vaccini di nuova generazione presso l’unità di ricerca sulla terapia genetica antivirale. “L’rna messaggero è come un codice inviato a quella stampante per indurre la cellula a stampare – o produrre – proteine”. Per esempio le proteine necessarie a difendersi dal virus sars-cov-2.

Questa reazione diventa sempre più forte, innescando risposte diverse nel sistema immunitario. Quando il codice di stampa dell’mRna ha esaurito il suo scopo, scompare, dice Bloom. Le nostre cellule smettono di produrre copie delle proteine. Il processo però lascia nel sistema immunitario il ricordo di come si combatte il virus.

Informazioni sconosciute

Realizzare questi vaccini è complicato perché l’mRna si degrada facilmente, spiega Arbuthnot. Seduto a un grande tavolo rotondo, è circondato da mucchi di carte, microscopi e, dopo quasi dieci anni di lavoro sull’mRna, da pile dei suoi taccuini rossi e neri. Se l’mRna in un vaccino si deteriora e sparisce troppo rapidamente, non rimane nel corpo abbastanza a lungo per innescare una risposta immunitaria. Per stabilizzare questo processo e aiutare l’mRna a consegnare il suo codice di stampa alle cellule, i vaccini come quello della Moderna rivestono l’mRna di uno strato protettivo di grassi. “Sappiamo quali lipidi sono usati, ma non in che proporzione”, spiega Arbuthnot. “Abbiamo una vaga idea, ma non sappiamo bene cosa c’è dentro e queste informazioni non possiamo dedurle dai brevetti”.

La squadra di Arbuthnot sta ancora lavorando su questi dettagli. In ogni caso lo scienziato è convinto di aver trovato la sequenza di mRna che formerà la base del nuovo vaccino. Il risultato non sarà una copia dei preparati della Moderna e della Pfizer, ma un prodotto diverso. I ricercatori stanno anche insegnando a un gruppo di dipendenti dell’azienda sudafricana Afrigen biologics and vaccines la tecnologia basata sull’mRna. Sono coinvolti anche ricercatori che combinano i dati di sequenziamento del genoma con le ultime informazioni sul covid-19. L’obiettivo è assicurarsi che il nuovo vaccino sia a prova di varianti e il più potente possibile prima di dare il via alla produzione per i test clinici del 2022. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati