Jorly Flores, 27 anni, dice che il suo mondo sta andando in pezzi. Fa scivolare la lingua sulla cartina mentre si prepara una sigaretta. “Negli ultimi tempi ho ospitato amici che erano stati cacciati dalle loro case”, racconta Flores, “e ora tocca a me”. Sposta le treccine castane dietro le spalle e si mette a fumare. “È cominciato tutto con quella lettera”.

Flores vive a Rio Piedras, un quartiere alla periferia di San Juan, la capitale di Puerto Rico. Nell’estate del 2022 ha ricevuto una lettera in cui veniva informata che il suo palazzo era stato venduto a un milionario statunitense, uno dei tanti che negli ultimi anni si sono trasferiti sull’isola caraibica. L’affitto, c’era scritto nel foglio, sarebbe aumentato del 30 per cento: da 500 a 650 dollari al mese. “Sono un’insegnante e faccio fatica ad arrivare alla fine del mese” dice Flores. “Dove prendo quei 150 dollari?”.

Per settimane ha telefonato al nuovo proprietario, ma non è mai riuscita a parlarci. Poi il panico si è diffuso anche tra i suoi vicini di casa. “Temevano di essere buttati fuori dalle loro case. Conosciamo tutti almeno una persona o una famiglia che è stata sfrattata. Ogni volta che infilavo la chiave nella toppa, avevo paura che non entrasse più”.

Qualche mese dopo gli abitanti di La Torre hanno finalmente ricevuto una comunicazione. Gli veniva detto che ci sarebbe stata una riunione in un bar della zona, lo stesso dove ora Flores, seduta a un tavolo all’esterno, mi racconta la sua storia nel sole del pomeriggio tropicale. Ad accoglierli quel giorno c’era un uomo statunitense. Ha spiegato che l’affitto sarebbe aumentato e che ognuno di loro avrebbe firmato un nuovo contratto. Chi non poteva pagare aveva un mese per fare i bagagli. “Ma poi tutto è diventato ancora più assurdo”, continua Flores.

La riunione sui nuovi affitti si è improvvisamente trasformata in una promozione per la compravendita di criptovalute. “Lo statunitense ci diceva: ‘Non fatevi sfuggire questa occasione! È il momento giusto per investire!’. Eravamo sbalorditi, noi non dormivamo di notte per la paura di non avere più un tetto sulla testa”, si sfoga Flores, “e loro venivano a parlarci di criptovalute!”.

Il fatto che la vita dei portoricani sia stata sconvolta dagli investitori statunitensi di monete digitali è comprensibile se si ripercorre la storia. Puerto Rico, un’isola tropicale con coste puntellate da alte palme e una foresta pluviale verde smeraldo di 113 chilometri quadrati, fu amministrata dagli spagnoli fino alla guerra ispano-americana del 1898. Dopo il conflitto passò sotto il controllo di
Washington, e da allora è un territorio non incorporato degli Stati Uniti.

Puerto Rico non è uno stato dell’unione, ma non è neanche indipendente. I suoi abitanti hanno il passaporto statunitense, possono vivere e lavorare negli Stati Uniti continentali, ma se abitano sull’isola non possono votare alle elezioni presidenziali. Hanno un governatore, che però ha poteri politici limitati. Per molto tempo Puerto Rico è stata una sorta di cavia di Washington per testare di tutto – armi, metodi anticoncezionali, tecniche di sterilizzazione –, spesso causando morti e malattie.

Negli anni i politici locali si sono preoccupati più di costruire un buon rapporto con i finanziatori statunitensi che di fare gli interessi della popolazione. Prima sono arrivati i baroni dello zucchero, poi le aziende tessili e farmaceutiche, che approfittavano dei terreni e della manodopera a basso costo. Raramente i soldi ricavati da queste attività venivano investiti per migliorare le condizioni di vita dei portoricani.

Specchietti per le allodole

L’isola ha dovuto affrontare una lunga serie di crisi, alimentate dalla corruzione e da uragani devastanti. Ha un debito di più di 70 miliardi di dollari (65 miliardi di euro) con il governo di Washington, in parte proprio a causa dei prestiti ricevuti per la ricostruzione dopo i cicloni. Circa sei milioni di portoricani hanno lasciato l’isola, trasferendosi in stati come Indiana, Florida e New Jersey, alla ricerca di una qualità di vita più alta e migliori possibilità economiche. Nel frattempo il governo di Puerto Rico cancellava le tasse sugli investimenti stranieri per attirare i ricchi e rimpinguare le casse dello stato. Gli statunitensi che si trasferiscono a Puerto Rico non pagano imposte sul reddito né sui patrimoni se vivono almeno 183 giorni all’anno sull’isola.

Questo trattamento di favore non vale per i portoricani, che anzi si trovano in condizioni sempre più difficili: quasi la metà degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà, ha salari più bassi di chi viene da fuori e paga di più per le merci importate. Una situazione che alimenta rabbia e proteste.

Ci sono di continuo proteste in cui i portoricani indignati battono con cucchiai di legno su padelle e tamburi

I portoricani si sentono vittime di una moderna colonizzazione. Per la strada, al bar, dovunque, parlano dei “gringos” che si prendono il paese. Vedono i loro quartieri, le spiagge e le giungle trasformarsi in parchi giochi per i ricchi. Sentono che la loro isola è stata messa in vendita.

Google Maps mi dice che il museo del bambino di Viejo San Juan, un quartiere di epoca spagnola, è “chiuso definitivamente”. Ma non è vuoto. Davanti alla porta dell’edificio blu ci sono due jeep enormi, molto più grandi delle vecchie Hyundai e Toyota guidate dalla maggior parte dei portoricani. Sulla porta non c’è una targa con un nome ma un codice QR.

Il museo era inattivo già da un po’ quando è stato comprato da Brock Pierce, noto imprenditore delle criptovalute. Sull’isola Pierce, che ha 42 anni ed è stato accusato di frode, ha comprato case, hotel, ristoranti e un convento. Gira spesso per l’isola indossando cappelli da cowboy, giacche di pelle con niente sotto e una collana con un dente di squalo. Il museo del bambino è uno dei suoi molti progetti: vuole trasformare l’edificio in un’avventura di realtà virtuale. Tanti altri edifici storici sono comprati e rinnovati secondo il gusto dei nuovi arrivati. Gli imprenditori, investitori e influencer delle criptovalute costruiscono campi da golf, cercano di privatizzare le spiagge, si appropriano di vecchi edifici scolastici e a volte d’intere strade.

Tra il 2018 e il 2021 gli affitti a San Juan sono aumentati del 22 per cento, e più o meno parallelamente si sono trasferiti sull’isola circa cinquemila statunitensi. Potrebbero sembrare pochi per un’isola con più di tre milioni di abitanti, ma la ricchezza che si portano dietro ha un effetto travolgente. “Si stanno prendendo l’isola”, sospira L Meléndez, 18 anni, davanti al museo del bambino. “Cancellano la nostra cultura e la nostra storia”.

L Meléndez ha capelli ricci viola e studia poco lontano. È tra i pochi portoricani che ancora vivono a Viejo San Juan. Da anni si oppone all’arrivo dei ricchi americani. Non sopporta l’idea che il museo del bambino, un posto che frequentava tanto da piccola, sia finito nelle mani di Brock Pierce. “La gentrificazione peggiora a vista d’occhio”, dice. I portoricani stanno a guardare mentre i ricchi statunitensi trasformano l’isola fino al punto che loro un giorno non potranno o non vorranno più viverci. “Già oggi ci sono posti in cui non siamo i benvenuti perché si può pagare solo in criptovaluta o nft. È una criptocolonizzazione”, dice la ragazza.

Il governatore di Puerto Rico sostiene che l’arrivo degli statunitensi e dei loro soldi sia un bene per la popolazione locale. Ma i pareri degli esperti lo smentiscono. “Il governo è di fatto asservito a una nuova classe coloniale”, dice Hilda Lloréns, antropologa dell’università del Rhode Island. “Da quando sono arrivati gli imprenditori delle monete digitali il costo della vita per i portoricani è aumentato”. Sull’isola ci sono continuamente proteste in cui le persone battono con cucchiai di legno su padelle e tamburi. Nelle ultime settimane decine di abitanti sono scesi per le strade di Aguadilla, una località costiera con il mare inquinato dai nuovi progetti edilizi voluti dagli statunitensi. Dalle case dai colori pastello e dai finestrini delle automobili risuona il rap impegnato di Bad Bunny, che si scaglia contro la corruzione e la “colonizzazione” di Washington.

Arricchirsi dormendo

Su internet circolano articoli con titoli come: “Perché mi sono trasferito a Puerto Rico e perché tu dovresti fare lo stesso”. L’isola viene chiamata la “Silicon valley caraibica”, dove “il sole splende tutti i giorni e c’è una fresca brezza oceanica”. Viene anche descritta come una miniera d’oro per evasori fiscali.

È stato uno di quegli articoli a convincere Christopher Kinchin, un uomo di 48 anni del Colorado, a trasferirsi sull’isola. “Divento ricco mentre dormo sulla spiaggia”, mi dice. Quando lo incontro sta partecipando al Crypto monday, una riunione di investitori del settore che si tiene ogni lunedì in un hotel di lusso di San Juan. Dentro c’è un pianoforte che suona, e fuori la piscina illuminata. La sala è piena di uomini statunitensi con una birra in mano che parlano entusiasti di blockchain, criptovalute e nft.

Per Kinchin le vendite di criptovalute andavano alla grande, anche troppo, visto che doveva pagare 250mila dollari di tasse. “Mi fruttavano di più del mio impiego fisso”. Così si è licenziato e si è trasferito. Oggi guadagna più da disoccupato a Puerto Rico che negli Stati Uniti quando lavorava.

Sa che alcuni abitanti dell’isola non vedono di buon occhio quelli come lui. Su alcuni profili Instagram, come Gringo go home, i portoricani condividono foto e video dei nuovi arrivati. “Quelli sono solo socialisti che odiano i ricchi”, dice Kinchin. “Tutti gli altri portoricani sono contenti che spendiamo qui i nostri soldi”.

Demografia
L’isola si spopola
Abitanti di Puerto Rico, milioni (Fonte: Government development bank for Puerto Rico)

Kinchin, che è ingegnere, cerca di inquadrare il problema basandosi sui fatti, “non sulle emozioni, come fanno le persone che protestano”. Secondo lui le cose sono semplici: le attività degli imprenditori delle criptovalute sono legali, quindi “i portoricani dovrebbero prendersela con il loro governo, non con noi”.

La corruzione è un grosso problema a Puerto Rico. I politici locali che rappresentano gli interessi degli imprenditori statunitensi non nascondono il disprezzo per la gente comune. Nel 2019 furono pubblicati online i messaggi di una chat nella quale Ricardo Rosselló, all’epoca governatore, prendeva in giro le vittime dell’uragano Maria. Scoppiarono delle proteste che lo costrinsero a dimettersi, e poi l’Fbi arrestò due dei suoi più alti funzionari, che avevano assegnato contratti per più di 15 milioni di dollari in modo poco trasparente.

Ironia della sorte

Nel 2022 è scoppiato un caso simile quando Wanda Garced, che aveva preso il posto di Rosselló, è stata arrestata per corruzione. Stando a quanto rivelato da alcuni giornalisti portoricani, il suo successore e attuale governatore, Pedro Pierluisi, avrebbe ricevuto più di duecentomila dollari di finanziamenti elettorali da statunitensi che godono di privilegi fiscali sull’isola. Il governo non ha mai risposto a queste accuse.

La nuora di Pierluisi è un’agente immobiliare e aiuta gli americani a trasferirsi. I nuovi residenti hanno a disposizione, oltre che persone che li aiutano a comprare proprietà, consulenti finanziari e avvocati. La nuova ondata quindi ha creato un nuovo settore economico che avvantaggia i portoricani benestanti, che ora non vogliono tornare indietro. “Usano lo sviluppo e la crescita economica come scusa per prendere cattive decisioni per il paese”, dice Lloréns.

La maggior parte dei portoricani non vuole saperne di criptovalute, case di lusso e realtà virtuale. Vuole che il loro paese torni a essere vivibile, che abbia una fornitura elettrica stabile, che le scuole non chiudano a causa dei tagli del governo, che le case non vengano spazzate via quando arriva un uragano.

Il palazzo di Jorly Flores a Rio Piedras è pieno di crepe. Ma lei non se ne va, almeno per ora. Sono passati mesi da quando ha ricevuto la lettera e non sa ancora se potrà rimanere ad abitare lì. “Non mi hanno ancora mandato il nuovo contratto d’affitto” dice. Tempo fa suo cugino ha dovuto lasciare la casa dove viveva perché il nuovo proprietario gli aveva alzato l’affitto. Così Flores l’ha convinto ad andare a stare da lei.

“Ironia della sorte”, commenta Flores. “Mio cugino è venuto qui proprio perché era stato buttato fuori da casa sua. Anche quella era stata comprata da un ricco americano”. ◆ vf

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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati