Da almeno un mese l’occidente cerca di capire le ragioni che hanno spinto Vladimir Putin a invadere l’Ucraina. È stata una decisione razionale o solo la mossa di un folle? Secondo alcuni, dietro il presidente russo ci sarebbe un’eminenza grigia, una sorta di nuovo Rasputin. Ma le cose non sono così semplici. In Russia non c’è un unico “guru”, ma una serie di fonti ideologiche che si sono mescolate contribuendo a scatenare questa disastrosa invasione. Tali fonti hanno fatto presa sulle persone di fiducia di Putin e sui suoi consulenti militari, convinti che l’Ucraina vada riportata all’interno dell’orbita russa.

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Nel discorso pronunciato a settembre del 2021 al Valdai club – l’equivalente russo del forum economico mondiale di Davos – Putin ha citato tre autori: il filosofo religioso emigrato in Francia Nikolaj Berdjaev (1874-1948), l’etnologo sovietico Lev Gumilëv (1912-1992) e l’intellettuale reazionario zarista Ivan Ilin (1883-1954). In precedenza Putin non aveva mai parlato della sua ammirazione per Berdjaev, mentre rispetto agli altri due era stato più esplicito. Da Gumilëv ha preso in prestito i suoi due concetti più conosciuti: il primo riguarda il destino comune dei popoli eurasiatici e la sostanziale multinazionalità della Russia, opposta al nazionalismo etnico russo; il secondo è l’idea di “passionarietà” (passionarnost, in russo), una spinta vitale caratteristica di ogni gruppo di persone e costituita da energia biocosmica e forza interiore. A febbraio del 2021 Putin ha dichiarato: “Credo nella passionarietà. La Russia non ha ancora raggiunto il suo apice. Siamo in marcia verso lo sviluppo. Abbiamo un codice genetico infinito basato sulla mescolanza del sangue”.

Se nella cultura postsovietica i riferimenti a Gumilëv sono sempre stati tanti, Ilin è rimasto ai margini. La sua recente riscoperta è stata opera di un gruppo di intellettuali e politici reazionari che vorrebbero eliminare il comunismo dalla storia russa. In diverse occasioni Putin ha citato Ilin e la sua visione basata sul presunto destino unico della Russia e sulla centralità del potere statale nella storia del paese. Di sicuro il presidente ha fatto suo il risentimento per l’Ucraina: secondo Ilin, i nemici della Russia cercavano di rimuovere l’Ucraina dall’orbita russa attraverso un’ipocrita promozione dei valori democratici, con l’obiettivo di neutralizzare la Russia come avversario strategico. “L’Ucraina”, scriveva Ilin, “è la regione della Russia che più di ogni altra è esposta al rischio di divisione e conquista. Il separatismo ucraino è artificiale, privo di basi concrete. È nato dall’ambizione dei capi del paese e dagli intrighi internazionali”.

Tuttavia attribuire l’idea che Putin ha dell’Ucraina unicamente a Ilin sarebbe un errore. Tra gli intellettuali russi, infatti, è molto diffusa la tesi secondo cui l’Ucraina è una parte indivisibile della Russia e allo stesso tempo uno dei suoi talloni d’Achille nello scontro con l’occidente. Un secolo fa i fondatori dell’eurasianesimo esprimevano una forte ostilità contro l’Ucraina: secondo il principe Nikolaj Trubetskoj la cultura ucraina era “una caricatura”, mentre lo storico Georgij Vernadskij sosteneva che “lo scisma culturale di ucraini e bielorussi è solo una finzione politica. Storicamente è chiaro che fanno parte del popolo russo”.

Tra gli ideologi contemporanei, Aleksandr Dugin è uno dei più citati dagli osservatori occidentali. È sempre stato un nemico giurato dell’indipendenza ucraina e ha sostenuto la necessità di un’annessione quasi completa alla Russia, concedendo la possibilità di restare fuori solo alle regioni più occidentali. Ma in realtà Dugin non gode di grande considerazione al Cremlino, perché troppo radicale e troppo oscuro nel suo esoterismo. Inoltre propone citazioni colte dei classici dell’estrema destra europea, quindi non può soddisfare le necessità di Putin e della sua amministrazione. Negli anni novanta è stato uno dei promotori del concetto eurasiatista secondo cui la civiltà russa sarebbe unica, ma questi temi sono entrati nel discorso comune indipendentemente dall’uso che ne ha fatto il filosofo nei decenni successivi e a volte addirittura in contrasto con lui. Dugin non ha mai fatto parte delle grandi organizzazioni della società civile controllate dallo stato, anche se ha saputo coltivare buoni contatti negli ambienti industriali, militari e dei servizi di sicurezza.

Il Cremlino ha creato la sua visione del mondo basandosi sul risentimento

Tra gli altri intellettuali che sostengono la missione imperialista della Russia troviamo due mecenati di Dugin: l’imprenditore ortodosso e monarchico Konstantin Malofeev, padrone della tv online Tsargrad e del centro studi Katekhon; e il metropolita Tikhon, un influente vescovo della chiesa ortodossa russa. Entrambi hanno contribuito a portare avanti un programma reazionario basato sui “valori tradizionali” (antiabortismo, natalismo, militarismo, culto di Bisanzio come modello storico per la Russia e indottrinamento delle giovani generazioni), cercando di influenzare il Cremlino. Malofeev è diventato una figura centrale nei rapporti tra la Russia e l’estrema destra europea, mentre Tikhon si concentra sulla convergenza ideologica tra la chiesa e il Cremlino.

E arriviamo al patriarcato di Mosca, il corpo istituzionale della chiesa ortodossa russa, che da sempre ha una posizione ambigua rispetto all’Ucraina. Da un lato la chiesa promuove il concetto di territorialità canonica, secondo cui il territorio spirituale della chiesa è più vasto dei confini della Federazione russa e include la Bielorussia, parti dell’Ucraina e il Kazakistan. Nella visione della chiesa tutti i popoli slavi orientali formano un unico popolo, di cui Kiev è la culla spirituale. La chiesa ha abbracciato l’idea di un’unità russo-ucraina ben prima di Putin e del suo discorso del 2021. Tuttavia, considerando l’enorme numero di parrocchie ucraine, il patriarcato ha dovuto riconoscere la sovranità dell’Ucraina come stato, cercando allo stesso tempo di evitare l’indipendenza ecclesiastica della chiesa ortodossa ucraina, comunque riconosciuta dal patriarcato di Costantinopoli nel 2018. Non possiamo essere certi di quanto sia genuino lo slancio religioso di Putin, ma di sicuro il presidente crede che l’ortodossia sia una delle basi culturali della civiltà russa.

Mancanza d’identità

A tutto questo bisognerebbe aggiungere il concetto di “mondo russo” (Russkij mir in russo), promosso intensamente dalla chiesa. In origine l’espressione indicava la comunità russa in senso ampio, indipendente dai confini dell’impero, ma con il passare del tempo si è trasformato fino a esprimere una missione per riunificare “le terre russe”, di cui fa parte l’Ucraina.

Inoltre, bisogna citare alcune figure meno note ma comunque influenti. Innanzitutto Jurij Kovalčuk, uno degli amici più stretti di Putin e famoso per le sue idee conservatrici e religiose basate sulla grandezza della Russia. Kovalčuk è uno dei componenti più riservati della cerchia ristretta di Putin e non ha alcun ruolo ufficiale nelle istituzioni, ma è il principale azionista di una delle grandi banche russe, la Rossija, e controlla diverse tv e giornali. Kovalčuk ha costruito dei palazzi per Putin e, secondo alcuni, sarebbe il suo banchiere personale. Il presidente ha passato buona parte dell’isolamento per evitare il covid-19 in compagnia di Kovalčuk, che sembra avergli inculcato l’idea secondo cui la storia è più importante del presente e la convinzione che il capo del Cremlino dovrebbe pensare al proprio ruolo a lungo termine nel contesto della storia russa.

In ogni caso elencare le figure che hanno influenzato Putin non è sufficiente per cogliere ciò che lo ha spinto ad agire. Le visioni ideologiche del mondo, d’altronde, sono sempre plasmate da elementi culturali che vanno oltre le letture specifiche. Nel corso dei decenni la cultura sovietica ha prodotto diverse teorie sulla presunta mancanza d’identità geopolitica dell’Ucraina, dipingendola come una regione contesa per secoli da diversi padroni. Mosca ha coltivato la visione di un nazionalismo ucraino che non è mai stato “ripulito” dalla macchia delle tendenze collaborazioniste durante la seconda guerra mondiale e del suo antisemitismo. Questi argomenti fanno parte degli strumenti politici del regime sovietico, che ha represso gli ucraini a causa del loro “nazionalismo borghese”.

Queste idee sono state recuperate e trasformate in munizioni nel contesto delle guerre della memoria combattute dopo l’inizio del nuovo millennio, che hanno visto opporsi da un lato la Russia e dall’altro la Polonia, gli stati baltici e l’Ucraina. Sul fronte russo questi scontri hanno accelerato il processo di trasformazione della storia in un fortino. A partire dal 2012 una miriade di leggi ha tentato di istituire una verità storica della Russia come protagonista principale della vittoria del 1945, sminuendo il ruolo del patto con i tedeschi del 1939-1941 e dell’invasione sovietica degli stati baltici insieme a parti della Polonia, della Finlandia e della Romania. Questi provvedimenti hanno inoltre punito qualsiasi lettura alternativa della seconda guerra mondiale e qualsiasi dubbio sulla legittimità delle decisioni dei leader sovietici. L’apice è stato raggiunto con la modifica costituzionale del 2020 che ha assegnato allo stato il compito di proteggere “la verità storica”. Molte istituzioni statali, come la società storica militare, hanno avuto un ruolo di primo piano in queste guerre della memoria e nel sottoporre a Putin le tesi sulla presunta nazificazione dell’Ucraina.

Inoltre, vale la pena ricordare che i presidenti, anche quelli più autoritari e dittatoriali, non vivono al di fuori della cornice culturale della società. Putin ha condiviso spesso la musica e i film che ama (gruppi contemporanei dall’inclinazione patriottica e classici sovietici di spionaggio) e sicuramente guarda la tv. Di conseguenza, come molti altri cittadini, il presidente ha fatto il pieno di programmi politici che coltivano il sentimento antiucraino oltre che di film patriottici che celebrano la grandezza dell’impero russo e le sue conquiste. Quindi cercare un testo che possa averlo ispirato potrebbe essere inutile: la memoria dell’impero russo e il ruolo subordinato degli ucraini fanno parte della cultura russa.

Putin ha creato la sua visione del mondo nel corso degli anni, basandosi più sul suo risentimento personale nei confronti dell’occidente che sulle influenze ideologiche. La lettura dei classici della filosofia russa che insistono sulla storica lotta con l’occidente ed enfatizzano il ruolo dell’Ucraina come confine tra i due mondi ha semplicemente rafforzato posizioni già maturate attraverso le sue esperienze.

La decisione della Russia di invadere l’Ucraina ha sicuramente una componente ideologica, ma c’è un’altra faccia della medaglia: il livello scadente della raccolta d’informazioni. A quanto pare sia i consulenti militari sia i servizi di sicurezza hanno sostenuto che sarebbe stato facile vincere la guerra. Qui diventa chiaro che Putin è un leader autoritario, invecchiato e isolato, circondato da collaboratori che hanno avuto paura di dirgli la verità sulle probabilità di vittoria e che in questo modo hanno spinto la Russia a trascinare l’Ucraina (e il resto dell’Europa) verso la peggiore catastrofe dai tempi della seconda guerra mondiale. ◆ as

Marlène Laruelle è una storica e politologa francese. Dirige l’istituto per gli studi europei, russi ed euroasiatici della George Washington university, negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati