La regista giapponese Chie Hayakawa stava pensando a una sceneggiatura quando ha deciso di sottoporre l’idea di base ad amici anziani di sua madre: se lo stato avesse finanziato un programma di eutanasia per le persone con più di 75 anni, loro sarebbero stati d’accordo? “La maggioranza era molto favorevole”, ha raccontato Hayakawa. “Non volevano essere un peso per gli altri”.

Quella risposta in apparenza sconvolgente ha ispirato ad Hayakawa una potente riflessione sulla cultura e sulla demografia del Giappone. Nel suo primo lungometraggio, Plan 75, il governo di un Giappone del futuro prossimo promuove morti tranquille e istituzionalizzate e sepolture collettive per gli anziani soli, con gioviali venditori che le propongono come se stessero vendendo un’assicurazione.

“La mentalità è che se lo stato ti dice di fare qualcosa, tu devi farlo”, dice Hayakawa, 45 anni. “Seguire le regole e non imporre nulla agli altri”, continua, sono imperativi culturali “che impediscono di distinguersi in un contesto di gruppo”.

L’elefante nella stanza

Con un tocco lirico e sobrio, Hayakawa ha trattato quello che in Giappone è il classico elefante nella stanza: le sfide da affrontare nella società più anziana del mondo. Quasi un terzo della popolazione ha almeno 65 anni, e ci sono più centenari pro capite e più persone affette da demenza senile che in qualsiasi altro paese. Tra le persone con più di 65 anni, una su cinque vive da sola. Con una popolazione in rapido declino, il governo affronta potenziali carenze previdenziali e s’interroga su come prendersi cura dei suoi cittadini più longevi.

I politici e i mezzi d’informazione giapponesi celebrano storie edulcorate di persone che invecchiano felicemente. Per Hayakawa, però, non è stato molto difficile immaginare un mondo in cui i più anziani sono messi da parte: un atteggiamento che, secondo lei, in Giappone è già presente.

L’eutanasia è illegale, ma di tanto in tanto si presenta in modo macabro. Nel 2016, per esempio, un uomo uccise diciannove persone nel sonno in un centro per le disabilità nei pressi di Tokyo. Quell’atto, per quanto agghiacciante, secondo la regista non era frutto di un pensiero isolato. Per questo Kaori Shoji, che scrive di cinema e arte sul Japan Times e sulla Bbc, è convinta che Plan 75 non sia una distopia: “Mostra uno stato di cose. Ci dice: ‘È proprio lì che siamo diretti’”.

Del resto Hayakawa ha passato tanto tempo a contemplare la fine della vita. Nel 1986, quando aveva dieci anni, seppe che suo padre era malato di cancro e lo perse un decennio dopo. “È qualcosa che ha influenzato a fondo la mia concezione dell’arte”, racconta.

Plan 75 (First Hand Films)

Figlia di funzionari pubblici, Hayakawa ha cominciato a disegnare e a scrivere poesie fin da piccola. Alle elementari s’innamorò di Il fiume di fango, del regista Kohei Oguri, un film drammatico su una famiglia povera che vive su una chiatta. “Quel film metteva in fila tutti i sentimenti che io non riuscivo a esprimere”, racconta Hayakawa.

Così, dopo la scuola, s’iscrisse al corso di cinema della School of visual arts di New York. Ma, visto che non conosceva bene l’inglese, dopo appena una settimana decise di passare alla fotografia, pensando che scattare foto fosse qualcosa che poteva fare anche da sola.

Dopo la laurea nel 2001, Hayakawa diventò mamma di due bambini e nel 2008 lei e il marito, il pittore Katsumi Hayakawa, decisero di lasciare New York per tornare a Tokyo, dove lei cominciò a lavorare per l’emittente satellitare Wowow. Si occupava di adattare i film statunitensi per il pubblico giapponese.

A 36 anni Hayakawa s’iscrisse a un corso di cinema della durata di un anno presso una scuola serale, pur continuando a lavorare durante il giorno.

“Sentivo di non poter dedicare tutte le mie energie all’educazione dei figli, o al cinema. Ripensandoci, mi dicevo: ‘Va bene, goditi la crescita dei tuoi figli. Potrai cominciare a fare cinema in un secondo momento’”.

Per il progetto finale del corso realizzò Niagara, il racconto di una giovane che, mentre sta per lasciare l’orfanotrofio in cui è cresciuta, scopre che il nonno ha ucciso i suoi genitori e che la nonna, che credeva morta in un incidente d’auto con i suoi genitori, è ancora viva.

A sorpresa il film fu selezionato al Festival di Cannes, in una categoria riservata a opere di studenti. In Francia Hayakawa incontrò Eiko Mizuno-Gray, una produttrice che la invitò a realizzare un cortometraggio su come sarebbe stato il Giappone dieci anni dopo. Quel lavoro avrebbe fatto parte di un film collettivo prodotto da Hirokazu Kore-eda.

Da corto a lungo

Hayakawa aveva già pensato a Plan 75 come un lungometraggio, ma decise di farne una versione ridotta, all’interno del film a episodi Ten years Japan.Durante la stesura della sceneggiatura, si svegliava ogni mattina alle quattro per guardare dei film. Tra i registi che l’hanno più influenzata cita il taiwanese Edward Yang, il sudcoreano Lee Chang-dong e il polacco Krzysztof Kieślowski. Dopo il lavoro, scriveva per un paio d’ ore in un caffè mentre il marito si occupava dei figli, cosa relativamente rara in Giappone, dove i lavori domestici e la cura dei bambini ricadono ancora in grande parte sulle donne. Dopo l’uscita nel 2018 dell’episodio di diciotto minuti nel progetto di Kore-eda, Hayakawa ha collaborato con Mizuno-Gray e suo marito Jason Gray a una sceneggiatura più estesa.

Le riprese sono cominciate nel bel mezzo della pandemia. “C’erano paesi dove, con il covid-19, non si dava alcuna priorità alla vita degli anziani”, dice Hayakawa. “In un certo senso la realtà aveva superato la finzione”. Così ha deciso di adottare un tono più sottile e ottimista. Ha aggiunto diversi filoni narrativi, tra cui quello di una badante filippina che lavora in uno dei centri per l’eutanasia. Le scene ambientate nella comunità filippina aiutano a creare un contrasto netto con il modo di vivere giapponese. “La loro cultura prevede che se qualcuno è in difficoltà, lo si aiuta”, dice Hayakawa. “Un aspetto che in Giappone si sta perdendo”.

Stefanie Arianne, figlia di un giapponese e di una filippina, interpreta Maria, la badante, e ha raccontato che Hayakawa l’ha esortata a trattenere il più possibile le sue emozioni. Questo perché la regista non voleva un film che esprimesse un giudizio netto sull’eutanasia. Hayakawa pensa infatti che la scelta di come morire sia personale. “Non credo che sia qualcosa che si può definire a priori”. ◆ ff

Presentato al Far east film festival di Udine, Plan 75 uscirà in sala l’11 maggio.

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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati