“I crimini sono universalmente considerati una notizia nella misura in cui offrono, per quanto erroneamente, una storia”.

Joan Didion, Sentimental journeys

Quando la polizia è arrivata al numero 714 di Valley Way a Santa Clara, in California, nella tarda mattinata del 16 gennaio 2024, ha trovato Chen Liren in ginocchio nella camera da letto, con le mani alzate e gli occhi fissi nel vuoto. A pochi passi da lui, il corpo di sua moglie Yu Xuanyi giaceva con la testa fracassata. Il pavimento, la parete e la porta della stanza erano chiazzati di sangue. La mano destra di Chen era gonfia e violacea, i vestiti e le braccia macchiati di sangue. Quando gli hanno chiesto come si era fatto male alla mano, Chen ha ammesso di aver preso a pugni la moglie. “Quand’è successo?”, hanno insistito gli agenti. “Ieri”, ha risposto Chen.

Chen e Yu, all’epoca ventisettenni, si erano trasferiti in California dalla Cina per studiare informatica; si erano sposati, avevano trovato lavoro alla Google e avevano comprato una casa con quattro camere da letto per due milioni e mezzo di dollari. I primi articoli usciti sul caso indugiavano su come fosse possibile che vite apparentemente tranquille e ordinarie avessero preso una piega così spaventosa. I vicini, quasi tutti pensionati, dicevano che la coppia era cordiale, ma molto riservata. Il titolo di un giornale scandalistico recitava: “Ingegnere Google picchia a morte la moglie tra nuovi licenziamenti”, ma poi si è capito che né Chen né Yu erano stati colpiti dall’ultima ondata di tagli nell’azienda. Alla fine, il delitto è stato dipinto come una storia dell’orrore sulle famiglie borghesi. “Se il vostro partner vi maltratta”, ha detto con voce seria il procuratore distrettuale, “rivolgetevi alle forze dell’ordine locali”.

Ma in Cina su internet il caso è divampato. Per mesi sembrava che sui social, nei blog e sui siti di notizie non si potesse parlare – spettegolare, discutere – di altro. Per assecondare questo interesse frenetico, i giornalisti cinesi hanno scavato più a fondo. In pochi giorni hanno scoperto che Chen e Yu erano stati ottimi studenti nei rispettivi licei; un ex insegnante di Yu ha raccontato che aveva avuto il punteggio più alto della sua città nel gaokao, il durissimo esame per essere ammessi all’università in Cina. Un altro giornale, The Paper, ha confermato che nel suo prestigioso liceo di Chengdu Chen era considerato uno xueba – uno studente eccellente. Importanti siti come QQ e Sina, con milioni di lettori, si sono occupati molto del caso con reportage, editoriali, approfondimenti e aggiornamenti lampo: “Ingegnere cinese della Google uccide brutalmente la moglie appena sposata”; “Il padre assume un importante avvocato statunitense per la difesa”; “Tre grandi misteri circondano il caso dell’ingegnere della Google”.

Appena due settimane dopo l’arresto di Chen, Sanlian Life Weekly, una delle più prestigiose riviste cinesi, ha pubblicato un lungo articolo basato su interviste a ex compagni di liceo e università della coppia, un collega della Google, un vicino di Santa Clara e un amico. Il pezzo cercava di ricostruire come Chen e Yu avessero raggiunto il successo negli Stati Uniti prima di andare incontro a quella macabra fine, anche se suggeriva che Chen era stato, un tempo, un bravo studente, una persona normale, perfino un buon amico per chi lo aveva conosciuto.

Ayham Ghraowi, Equator

Crepe e tensioni

In poche settimane, quella che per la Silicon valley era semplicemente un’orribile storia di violenza domestica, in Cina è diventata una metafora della caduta delle élite statunitensi e dello sgretolarsi del loro mito. Nei mesi seguenti la vicenda ha riempito ancora di più i social media come RedNote e i forum sinoamericani come 1point3acres, alimentando reazioni viscerali e congetture fantasiose – dalle letture metafisiche del volto della vittima e del carnefice al compiacimento per il crollo del loro sogno faticosamente conquistato.

Per un po’ quel sogno aveva aleggiato anche sulle persone che conoscevo. Alla fine degli anni duemila studiavo nello stesso liceo di Chen. Ero di qualche anno più grande, quindi le nostre strade non si incrociarono. Ma osservavo persone come lui vincere medaglie alle Olimpiadi scientifiche, ottenere borse di studio e iscriversi alle migliori università, mentre io faticavo a integrarmi, con i miei voti mediocri e la mia storia piccolo borghese. Un terzo dei miei compagni di classe emigrò negli Stati Uniti per gli studi dopo la laurea, per lavorare come scienziati, informatici, finanziatori di startup o investitori privati. Anch’io alla fine sono approdata negli Stati Uniti, anche se per una carriera meno stabile e redditizia come scrittrice. Leggendo di Chen, la mia mente continuava a tornare ai ricordi della nostra scuola, con le sue piste di atletica e il campo da pallavolo, l’entrata con cascate di gelsomino arancione, lo stagno delle carpe koi e i corridoi silenziosi – il luogo in cui si forgiavano le future élite e si prometteva un avvenire di ascesa sociale. Almeno per alcuni.

L’intensità e la varietà delle reazioni all’omicidio di Yu mi affascinavano molto più del delitto. Mi stavo lentamente convincendo che quel caso, del tutto inaspettatamente, spalancava la porta sulla psiche della Cina post-pandemica. Rivelava le crepe, le tensioni e le pressioni che attraversavano la società cinese: un’economia fiacca, una censura più rigida, la misoginia e un crescente divario di genere, ma soprattutto una giovane generazione logorata dalla competizione feroce e da una ridotta mobilità sociale. Per molto tempo i cinesi avevano creduto nell’istruzione e nel duro lavoro. Ma nel 2024 l’incantesimo di quella promessa si è spezzato, e sembrava arrivato il tempo di confrontarsi con la realtà.

Quando la polizia ha trovato Chen in ginocchio, stordito e insanguinato, la giovane generazione cinese stava già mettendo in discussione la rigida definizione di successo prevalente nel paese. Chen e Yu non si erano limitati a seguire il classico copione – l’avevano esteso oltre il Pacifico, fino alla sacra terra americana. Col senno di poi, per i lettori cinesi era la cosa più naturale del mondo proiettare disillusioni, aspirazioni e insicurezze su Chen e Yu, e sul disastroso finale della loro storia.

Ayham Ghraowi, Equator

Traiettorie simili

Se l’epilogo brutale di Chen e Yu coincideva con il crollo di un periodo della storia cinese – un’epoca di modernizzazione vertiginosa e ambizioni smisurate – il loro viaggio per l’America corrispondeva all’inizio di quel periodo. Essere giovani, in quel momento, significava venire travolti dalle correnti impetuose di una Cina riformatrice – elettrizzanti, certo, ma capaci di sommergere tutto ciò che era familiare.

All’inizio, malgrado tutti i commenti online, i dettagli sul passato della coppia erano pochi. L’autrice dell’articolo uscito su Sanlian, Qin Si, mi racconta che è stato difficilissimo trovare persone disposte a parlare. Né i genitori di Chen né quelli di Yu concedevano interviste; i colleghi della coppia erano stati invitati dalla Google a non parlare con i giornalisti. Qin dice che quando ha contattato alcuni loro ex compagni dell’università Tsinghua di Pechino “molti trovavano imbarazzante che l’ateneo fosse associato a una vicenda così sordida”. Ma, nonostante gli ostacoli, è riuscita a ricostruire le traiettorie delle loro vite: dalla provincia a Pechino, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla vita alla morte.

Yu Xuanyi era nata nel 1996 in una famiglia della classe media di Songyuan, una cittadina nella provincia di Jilin. La famiglia di Chen Liren era di estrazione più alta, anche se all’inizio degli anni novanta la città di Chengdu, nel Sichuan, non avendo uno sbocco sul mare non godeva ancora delle opportunità garantite alle regioni costiere e ad altre zone strategicamente importanti. Prima che la Cina eliminasse il suo sistema di edilizia popolare e incoraggiasse la proprietà privata, le famiglie come quelle di Chen e Yu avrebbero vissuto in palazzine sovvenzionate dallo stato insieme ad altre persone legate ai collettivi di lavoro dei genitori.

Quindi, innanzitutto, immaginate condomini di cemento di sei-otto piani, scale in cemento, appartamenti con una o due camere da letto e gabinetti alla turca.

Ayham Ghraowi, Equator

E ora immaginate la casa della coppia nella Bay Area, venduta nell’agosto 2024 per 2,1 milioni di dollari, con la spaventosa tragedia appena avvenuta. Negli annunci immobiliari, le foto della “casa del delitto” mostravano “un ampio prato sul retro”, “un incantevole camino in mattoni bianchi”, “eleganti mobili su misura ed elettrodomestici di fascia alta” in cucina, e “parquet lucido in tutta la casa”. Il fatto che due ventenni fossero riusciti a passare dalle modeste palazzine nell’entroterra cinese a questa costosa villa di Santa Clara sembrava incarnare la dolce ricompensa promessa dall’unione tra il Vangelo cinese e l’american dream.

Qualche anno dopo la nascita di Chen e Yu, la Cina entrò nell’Organizzazione mondiale del commercio e poi ottenne il diritto di ospitare i Giochi olimpici del 2008, due traguardi che promettevano l’ingresso del paese nell’ordine globale. Con l’accesso ai mercati internazionali, l’impennata delle esportazioni e l’aumento degli investimenti stranieri, il futuro di questi due giovani – e dei loro coetanei – non poteva che essere trasformato dalla rapida crescita industriale e dallo sviluppo urbano.

Quest’entusiasmo partì da Pechino e dalle vivaci città costiere e alla fine arrivò anche nelle cittadine di Yu e Chen. La loro generazione ne ereditò i frutti cancellando ogni memoria di cosa c’era stato prima. I loro genitori ricordavano i buoni del razionamento e le cassette con la musica proibita. Yu, Chen e i loro amici videro aprire i primi McDonald’s, guardarono Titanic al cinema senza censure e, almeno fino al 2010 circa, navigarono su siti stranieri come Twitter e YouTube. Le loro città furono ricostruite rapidamente: vecchi quartieri demoliti da un giorno all’altro, centri commerciali sorti dove un tempo c’erano i mercati rionali, metropolitane costruite in tempi record.

Un nuovo clima di rancore

Negli anni duemila la Cina, che era la fabbrica del mondo, diventò una potenza tecnologica. Prima produceva soprattutto beni per l’occidente: elettronica a basso costo a Shenzhen, articoli in plastica nel Guangdong, iPhone negli impianti della Foxconn. Ma con le ferrovie ad alta velocità, i campus tecnologici scintillanti e gru ovunque, il suo profilo si trasformò. Tutto passò al digitale; il QR code per i pagamenti era il nuovo emblema. Una legione di giganti tecnologici come Tencent e Alibaba cambiò per sempre il modo in cui la Cina faceva acquisti, lavorava, si connetteva e perfino parlava.

Il magnetismo del settore influenzò le scelte di una schiera di giovani brillanti come Yu e Chen. Nel mio passaggio dal liceo all’università e poi agli studi post-laurea, il timido entusiasmo iniziale per la fiorente industria tecnologica si era ormai consolidato in un dato di fatto: quasi tutti i miei conoscenti che avevano studiato materie scientifiche di qualunque genere decisero che era meglio aspirare a una carriera in quel campo, e alla fine ci riuscirono. Dopo aver ottenuto il punteggio più alto al gaokao, Yu intraprese un percorso che la portò all’università in California, come tantissimi coetanei in tutta la Cina. I successi personali, uniti alla crescente influenza globale del paese, rafforzarono la versione del sogno cinese sostenuta dallo stato: “Il grande rinnovamento della nazione”. Ma questo sogno includeva anche, per alcuni, un elemento non autorizzato: emigrare verso le fortune ancora più grandiose promesse dalla Silicon valley.

Questa costosa villa di Santa Clara sembrava incarnare la dolce ricompensa promessa dal gemellaggio tra il Vangelo cinese e l’american dream

Quando Chen è stato arrestato per l’omicidio di Yu, il sogno cinese si era ormai deteriorato trasformandosi in risentimento – anche a causa delle disuguaglianze. La nuova energia economica della Cina aveva portato qualcuno più lontano di altri; perfino le famiglie di Yu e Chen si erano ritrovate sui fronti opposti di questa nuova fase. Songyuan, che fa parte della rust belt (letteralmente, cintura di ruggine) cinese, dagli anni novanta continuava a scivolare nel declino, e le riforme avevano fatto ben poco per arrestare l’esodo dei suoi abitanti. Chengdu, invece, era diventata uno dei principali poli economici e turistici della Cina sudoccidentale, e il padre di Chen aveva ottenuto un posto di rilievo nell’aviazione civile. Dopo l’omicidio, i Chen hanno potuto permettersi di volare negli Stati Uniti e assumere Wesley Schroeder – uno degli avvocati californiani più esperti in violenza domestica – per difendere il figlio. I genitori di Yu hanno faticato perfino a ottenere i visti.

Chi era riuscito ad arricchirsi negli Stati Uniti è diventato un altro bersaglio del nuovo clima di rancore. Alcuni hanno cominciato a vedere nella caduta di Chen e Yu una prova dei pericoli di una cieca adorazione dell’occidente. All’inizio del 2025 un opinionista ha scritto, quasi con soddisfazione: “I genitori di Chen Liren probabilmente soffrivano di un complesso di superiorità occidentale. Forse avevano progettato di emigrare negli Stati Uniti dopo la pensione, per ricongiungersi con il figlio e la nuora. Una prospettiva apparentemente felice, ma ora che lui ha ucciso sua moglie, il loro sogno è finito. Dev’essere stato un brutto colpo!”.

Altri condannavano la Silicon valley per il tracollo di Chen. Se fosse rimasto in Cina, anche con un matrimonio fallito, avrebbe potuto contare sul sostegno dei genitori e degli ex compagni di scuola. La competizione spietata nella Silicon valley e lo sforzo per integrarsi lo avevano lasciato isolato e vulnerabile, dicevano questi commentatori. “Ma perché Chen dopo la laurea ha scelto di andare a studiare in America e di restare nella Bay Area come ma-nong (schiavo del codice)?”, si chiedeva l’autore di un post su 1point3acres.

La risposta era semplice, e si poteva trovare in un libro che ha venduto più di due milioni di copie. Pubblicato nel 2000, Harvard girl Liu Yiting raccontava la storia di una diciottenne di Chengdu che era stata ammessa a Harvard, oltre ad aver ricevuto offerte dalla Columbia e dai college di Wellesley e Mount Holyoke. Nella prefazione, la madre orgogliosa e il patrigno promettevano di rivelare i segreti dell’“educazione di qualità” che aveva spianato la strada per l’élite statunitense. Dalla sera alla mattina il libro era diventato la bibbia di genitori che stavano appena cominciando a navigare nelle acque inesplorate dell’ambizione globale. Per molti, era la prova che le porte del mondo si erano spalancate, bastava trovare la chiave giusta e la disciplina per girarla. Nei due decenni seguenti, il numero di cinesi andati a studiare negli Stati Uniti è aumentato di quasi di sei volte, da 59.939 a 372.532.

Un addestramento completo

Dare vita a quel sogno non era un’impresa facile. Fin dalla sua infanzia i genitori di Liu avevano ideato un programma di addestramento completo, che univa una rigorosa ginnastica intellettuale a un regime di costruzione del carattere. Le parlavano come a un’adulta, scoraggiando i vestiti appariscenti e i romanzi rosa, e la allenavano in abilità mirate come il calcolo a mente e la scrittura veloce. Avevano anche previsto esercizi di resistenza fisica – il più famoso consisteva nel tenere in mano del ghiaccio per 15 minuti. Per fortuna, nonostante l’onnipresenza del libro, mia madre giudicava quei metodi sciocchi e inattuabili, perciò non cercò mai di applicarli alla mia educazione. Eppure i traguardi di Liu hanno lasciato un segno anche su di me, rivelandomi le potenzialità illimitate delle ragazze che sanno coniugare disciplina e impegno.

Col tempo, comunque, questo stile di “genitorialità elicottero” ha cominciato a essere considerato rigido, antiscientifico e soffocante. Molti lettori si sono rivolti a Douban – una piattaforma cinese per letteratura, musica e film – accusando il libro di aver rovinato la loro infanzia. “L’inizio della fine del mio rapporto con mia madre”, ha commentato un utente. “Un libro di auto-aiuto ansiogeno, pieno di vuoti mantra sul successo”, ha scritto un’altra. Molti ricordavano come erano stati costretti a leggere il libro e a emulare la prodigiosa Liu.

Rete di conoscenze

Il punto è che la promessa di Harvard girl era un imbroglio. Non solo quell’educazione austera assicurava un’infanzia noiosa, se non infelice, ma non era stata quella a portare Liu nella Ivy league (le otto università private più prestigiose degli Stati Uniti). Nel 2003 un giornalista rivelò che Liu era riuscita a entrare a Harvard grazie a un mentore, un affermato avvocato di Washington, Larry Simms, che aveva conosciuto durante un programma di scambio. La chiave del successo di Liu non erano solo la “formazione di qualità” impartita dai suoi genitori, la sua diligenza o intelligenza, ma la rete di contatti della sua famiglia, l’accesso alle risorse e un posizionamento strategico. Imbroglio o meno, i genitori di Liu sono stati in un certo senso dei pionieri: la loro strategia, che univa pratiche meritocratiche e legami di favore, veniva già adottata dalle famiglie più in vista in città come Pechino e Shanghai, e in seguito ha guadagnato popolarità in tutto il paese; oggi è la norma.

Mi iscrissi al liceo alla fine degli anni duemila, qualche anno dopo aver sentito parlare per la prima volta di Harvard girl in un canale televisivo locale. Come Chen, molti dei miei coetanei avevano genitori con buoni lavori in aziende pubbliche. Un compagno una volta si vantò di possedere diversi modelli del telefono che mia madre mi aveva comprato risparmiando. La disuguaglianza era palpabile: sentivo parlare di vacanze all’estero; di costosi incontri nei karaoke e nei parchi divertimento dopo la scuola; di opportunità per programmi di scambio assegnate misteriosamente; di borse di studio garantite a chi aveva buoni rapporti con il preside mesi prima del gaokao, perché avesse un vantaggio per entrare nelle università migliori. Benefici ottenuti, senza dubbio, grazie alla sottile rete di relazioni dei genitori.

La crescita economica della Cina aveva creato molte opportunità, ma erano distribuite male, e il divario di ricchezza si ampliava. Allo stesso tempo, chi aveva il potere continuava a sfruttare la celebrata meritocrazia cinese per il proprio interesse. Nei primi anni del boom, la cruda esposizione di queste disuguaglianze riusciva ancora a suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica. Nel 2010 uno studente universitario dello Hebei uccise un pedone con la sua Volkswagen, e si racconta che reagì esclamando: “Mio padre è Li Gang!”, cioè il vicecapo della polizia locale. L’incidente scatenò un’ondata d’indignazione contro la corruzione, il nepotismo e l’abuso di potere tra le famiglie dei funzionari. Nonostante i tentativi del governo di censurare la vicenda, i cittadini invasero internet con poesie satiriche, canzoni e meme, trasformando la frase in uno slogan contro l’arroganza della classe dirigente e il doppio standard usato nel sistema giudiziario.

Alla fine, le autorità non tentarono più di insabbiare l’incidente, e il figlio di Li Gang fu condannato. La frase non fu dimenticata, ma negli anni successivi i canali di ascesa sociale hanno continuato a restringersi – e la rabbia si è trasformata in risentimento rassegnato, e poi in cinismo. L’amara risposta all’uccisione di Yu nel 2024 sembrava segnare la conclusione di questa lunga evoluzione dell’umore nazionale.

Nella primavera del 2025, con l’avvicinarsi del processo, le discussioni online su Chen e Yu sono diventate più accese. Congetture e ipotesi folli si accumulavano, al punto che ogni nuovo particolare o articolo sul caso sembrava una pietra con cui affilare un’accetta. Le lettrici, per esempio, credevano che ci fosse sempre stato uno squilibrio di potere tra Chen e Yu, che era più bassa del marito e proveniva da una famiglia meno benestante. Qin Si è stata accusata di simpatizzare per l’uomo e addirittura di glorificarlo, mentre la vittima non poteva difendersi. Nel frattempo, i misogini online cercavano giustificazioni: un articolo descriveva Yu come una cacciatrice d’oro che, entrata alla Google grazie alla raccomandazione di Chen, stava progettando di lasciarlo dopo un colloquio per un ruolo nella sede svizzera dell’azienda (il fatto non è mai stato confermato). Secondo un’altra storia, Yu avrebbe avuto una relazione con il suo capo e chiesto il divorzio, e questa per Chen sarebbe stata la fatidica ultima goccia. Più di un articolo sosteneva – basandosi su fatti che non sono riuscita a verificare – che Yu avesse un carattere impulsivo e violento, esasperasse ogni discussione e fosse “sempre la prima a colpire”.

Un destino segnato

La fine improvvisa e violenta della vita di Yu, unita a questa mancanza di informazioni certe, si prestava a diagnosi metafisiche. Dopo la pandemia, un maggior numero di giovani cinesi ha preso a frequentare templi buddisti, comprare braccialetti di cristallo e consultare indovini – se non per ricevere consigli di vita o di carriera in un’economia stagnante, almeno per placare l’ansia. Alcuni ora sostenevano che il volto di Chen predicesse il suo destino: gli zigomi magri e il labbro superiore sottile suggerivano intolleranza e freddezza verso gli altri; il naso affilato e il neo sul mento tradivano mancanza di autocontrollo e temperamento volubile; le palpebre perfettamente lisce, senza pieghe, e l’inclinazione degli occhi parlavano di crudeltà e ferocia. Altri leggevano sventura nel numero civico della loro casa a Santa Clara: in mandarino, “714” suona come qi-yao-si, “la moglie morirà”.

I cinesi erano così curiosi nei confronti di Chen e Yu che il giudice del tribunale di Santa Clara ha deciso di non trasmettere in diretta le udienze dei primi due giorni. Il caso era troppo delicato. Il terzo e ultimo giorno dell’udienza preliminare – il 25 giugno 2025 – una folla di cinesi ha circondato il tribunale. La maggior parte non aveva mai conosciuto la coppia. L’aula non poteva accoglierli tutti, perciò alcuni sono rimasti nel corridoio, si sono collegati alla diretta streaming commentando il processo sui social media e partecipando in tempo reale alla costruzione di un piccolo evento storico.

La crescita economica della Cina aveva creato molte opportunità, ma erano distribuite in modo diseguale, e il divario economico si ampliava

Erano un contingente di reporter al servizio dei connazionali in patria, persone che avevano fame di notizie su quel caso, e che ora vedevano in quegli incontri pubblici l’occasione di ottenere una risposta a tutte le loro domande. Nei giorni precedenti avevo cominciato a vedere sul mio feed di RedNote post che spiegavano quando e dove si sarebbe svolta l’udienza, e come assistere virtualmente. Gli utenti più attivi avevano creato una chat per scambiarsi informazioni e discutere il caso in dettaglio. Nel corso delle tre giornate, molti presenti hanno trascritto gli interrogatori incrociati e li hanno tradotti in cinese con l’aiuto dell’intelligenza artificiale sintetizzandoli in altri post. Le loro cronache in diretta erano attese con impazienza e divorate avidamente dal gruppo e da tutti gli utenti che l’algoritmo consentiva di raggiungere.

Al processo hanno testimoniato quattro persone: l’agente di polizia che aveva trovato Chen inginocchiato nella sua camera da letto; il detective che aveva analizzato i video delle telecamere di sorveglianza nell’ultimo giorno trascorso insieme da Chen e Yu; un amico e compagno di studi di Chen alla Tsinghua, che l’aveva visto la sera prima e aveva chiamato la polizia; e l’ex ragazza di Chen, che lo conosceva da quando erano bambini ed era stata con lui per cinque anni, dal liceo all’università. In aula le vite private e gelosamente custodite della vittima, dell’aggressore e di tutti i sospetti coinvolti sono state messe a nudo. Un video che mostrava uno scorcio degli ultimi momenti di vita di Yu; alcuni accenni a un documento Google che l’ex fidanzata di Chen aveva condiviso con lui ricordando il passato; la confessione di Yu a un’amica sul tormento di essere sposata con un uomo che spesso paragonava il suo stipendio, i suoi interessi e le sue passioni a quelli della sua ex o delle mogli dei suoi amici.

La sera del 15 gennaio 2024, dopo aver litigato con Chen sul documento Google della sua ex fidanzata, Yu aveva deciso di chiedere il divorzio. La mattina dopo, lui l’aveva uccisa.

I fatti emersi durante il processo hanno provocato una sorta di effetto quantistico: il crollo di un numero infinito di possibilità in una narrazione univoca. All’improvviso, l’omicidio di Yu non riguardava tanto la geopolitica o i sogni nazionali quanto piuttosto la squallida brutalità di un matrimonio sbagliato. Una delle reporter improvvisate presenti in tribunale, che mi ha chiesto di restare anonima, aveva scoperto il caso su RedNote nel 2024 e mi ha detto che ascoltare la vicenda di Yu l’ha spinta a riflettere sui momenti cruciali della sua vita. “Yu aveva capito che quella relazione la rendeva infelice”, mi ha detto. “Una situazione che tutte le donne affrontano nella vita”.

Dopo aver pubblicato il suo primo resoconto su RedNote, la donna ha scoperto che il suo post era stato nascosto per qualche ora mentre la piattaforma lo sottoponeva a revisione. Più di una volta, un altro utente chiamato “Inside America” si è lamentato perché i commenti e i like ai suoi post sul caso venivano nascosti o addirittura cancellati dalla piattaforma. RedNote è tristemente noto per la sua autocensura aggressiva. Come garanzia preventiva contro qualunque intromissione governativa, l’algoritmo segnala contenuti di tendenza ritenuti pericolosi o controversi, e li rimuove dalle raccomandazioni automatiche. A forza di tentativi ed errori, gli utenti hanno imparato ad adattarsi. Chi pubblicava sul caso ha evitato certe parole chiave – come i nomi di Chen e Yu – per non attivare i meccanismi di censura della piattaforma. Per ritrovarsi, gli autori hanno dovuto inventare un linguaggio criptico, e i lettori hanno dovuto imparare l’arte di decifrare.

I resoconti dei reporter improvvisati hanno contribuito a smentire le voci diffamatorie su Yu e a ridarle dignità, ma allo stesso tempo hanno alimentato l’implacabile scrutinio su Chen e la sua ex fidanzata. Non appena quest’ultima ha reso la sua deposizione, il suo profilo social e quello di un altro suo ex sono stati condivisi on­line, insieme a commenti aggressivi e a insulti. La misoginia e l’ostilità non sono scomparsi, hanno solo spostato il bersaglio da una donna morta a una viva. Nel frattempo, la revisione del processo è stata rinviata al 14 gennaio 2026.

In Cina le storie hanno spesso uno strano destino. Alcune restano incompiute o con il finale oscurato. Ancora oggi non sappiamo con certezza come sia cominciata l’epidemia di covid-19 a Wuhan, se abbia avuto origine in un laboratorio locale. I lettori vivono in uno stato di perenne denutrizione informativa, affamati di notizie verificate, con eventi che appaiono e scompaiono all’improvviso, avvolti nel mistero e nella censura. “Dopo aver vissuto così a lungo in una cronica penuria di informazioni,” mi ha detto Qin Si di Sanlian Life, “ci si abitua a completare una storia frammentata con la fantasia”. L’assenza di narrazioni coerenti erode la fiducia pubblica, alimenta congetture e soffoca lo sviluppo emotivo e intellettuale di una società.

Disincanto collettivo

La storia di Chen e Yu ha suscitato più interesse di altri casi simili anche perché è avvenuta dove la censura non poteva arrivare, rendendone più facile la circolazione. Il fatto che si sia svolta all’estero è stato anche opportunamente sfruttato per dare voce ai sentimenti più freddi dell’opinione pubblica cinese nei confronti degli Stati Uniti. Qual era il vantaggio, si è chiesta la gente, d’impegnarsi tanto per mandare un figlio lontano dalla sua potente rete familiare? Per non parlare del ritorno di questo investimento, con l’ascesa di un paese (la Cina) e il relativo declino dell’altro (gli Stati Uniti). Questa reazione rifletteva un cambio di percezione nei cinesi dell’America, e di sé. Segnava anche un certo disincanto della coscienza collettiva nei confronti del sogno americano.

I primi segnali di questo sconforto si possono far risalire al 2018, quando l’amministrazione Trump impose pesanti dazi sulle importazioni cinesi, lanciando ufficialmente la prima fase dell’attuale guerra commerciale tra i due paesi. La pandemia peggiorò ulteriormente i rapporti. Nei quattro anni successivi le accuse reciproche si sono susseguite; le ritorsioni si sono intensificate; i voli sono stati cancellati (a volte a metà rotta); i giornalisti espulsi; le catene di approvvigionamento sconvolte e riallineate; i sistemi politici messi in discussione, difesi, dibattuti. Quando i confini, un tempo fluidi, si sono irrigiditi con quarantene imprevedibili, consolati chiusi e biglietti aerei a prezzi esorbitanti, gli immigrati si sono trovati di fronte alla scelta di andarsene o restare.

Nel frattempo i mezzi d’informazione cinesi insistevano sui punti deboli degli Stati Uniti: l’aumento delle morti per covid-19, le politiche incoerenti contro la pandemia, le aggressioni razziste contro le comunità asiatiche e l’inflazione galoppante. Invitavano il pubblico a mettere a confronto quella situazione con l’apparente normalità, rigore economico e politica zero-covid strenuamente difesi nel paese. Giorno dopo giorno, i giornali erodevano quel che restava del fascino del sogno americano. È in questo contesto carico di tensioni e altamente politicizzato che la storia di Yu e Chen ha assunto un peso simbolico eccessivo.

Forse è il destino degli immigrati. Restano sospesi tra case, lingue e culture, e diventano pedine sulla scacchiera del nostro mondo aggrovigliato. Quattro mesi dopo l’udienza di Chen a Santa Clara, Donald Trump ha firmato un decreto che imponeva una tassa di centomila dollari sui visti H-1B (visti di lavoro speciali). Ma ormai l’epoca in cui i lavoratori cinesi sognavano la Silicon valley stava tramontando rapidamente. Secondo uno studio, quasi 20mila scienziati di origine cinese hanno lasciato gli Stati Uniti tra il 2010 e il 2021, e le partenze di ingegneri e informatici, in particolare, hanno raggiunto il picco nel 2021. Erano stati aizzati per costruire le fortune colossali dell’industria tecnologica, e ora vengono riusati per alimentare l’immaginario di un clima nazionale cupo – e questo, in un certo senso, è stato anche il destino di Chen e Yu. La tragedia che ha distrutto la loro vita ha le stesse radici delle innumerevoli narrazioni che hanno assediato – e sequestrato – la loro storia. E quando una storia è levigata da troppe mani si trasforma in uno specchio che non riflette più i suoi protagonisti, ma gli spettatori e il mondo che abitano. ◆ gc

Questo articolo
È uscito su Equator, un magazine dedicato alla riflessione politica, all’arte e alla letteratura diretto da Samanth Subramanian insieme a un gruppo di giornalisti e scrittori di cui fanno parte Pankaj Mishra, Mohsin Hamid e Nesrine Malik. Na Zhong è una scrittrice e traduttrice cinese che vive a New York.

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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati