Nessuno voleva giocare a pallone con Mohammed bin Salman. Certo, il ragazzo faceva parte della famiglia reale dell’Arabia Saudita, che però comprendeva altre 15mila persone. I compagni di classe preferivano i suoi cugini, che erano più in alto nell’ipotetico ordine di successione, ricorda un conoscente. Un amico di famiglia racconta di aver sentito chiamare quel bambino, che un giorno sarebbe diventato principe ereditario, “piccolo Saddam”.

Anche la vita familiare era complicata per Bin Salman (che ora è più noto con le sue iniziali, Mbs). Il padre, Salman, aveva già avuto cinque figli dalla prima moglie, una donna istruita proveniente da una famiglia dell’élite urbana. La madre di Mbs, terza moglie di Salman, era invece una donna del deserto. Quando il bambino andava in visita al palazzo dove il padre viveva con la prima moglie, i suoi fratellastri lo prendevano in giro chiamandolo il “figlio della beduina”. In seguito i fratelli maggiori e i cugini hanno frequentato le università degli Stati Uniti e del Regno Unito, mentre la prole beduina del principe Salman è rimasta a Riyadh per andare alla King Saud university.

Da giovani, i reali facevano le crociere sui loro superyacht. Si dice che Mbs era trattato come uno sguattero e che lo mandavano a terra a comprare le sigarette. Una foto mostra un gruppo di sedici reali in posa sul ponte di uno yacht in pantaloncini e occhiali da sole, con alle spalle le montagne della Costa azzurra. Al centro c’è un cugino di Mbs, il principe Alwaleed bin Talal, che oggi è un investitore miliardario soprannominato “il Warren Buffett arabo”. Mbs, alto, con le spalle larghe e una maglia bianca, è quello più al lato.

Facciamo un salto in avanti, e oggi Mbs si è spostato al centro dell’inquadratura: è l’uomo che prende tutte le decisioni importanti in Arabia Saudita, il paese che esporta più petrolio al mondo. L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta, ma il padre di Mbs, che ha 86 anni, anche se nominalmente è ancora il capo di stato si vede raramente in pubblico. È ormai chiaro da anni che al comando c’è Mbs. “In effetti”, ha detto un ex agente dell’intelligence saudita, “re Salman non è più re”.

A prima vista il principe, che ha 36 anni, sembra il sovrano che molti giovani sauditi stavano aspettando, più vicino per età al suo popolo di qualsiasi altro re precedente: il 70 per cento dei sauditi ha meno di trent’anni. Si dice che il tiranno millennial sia un appassionato del videogioco Call of duty e attacchi l’inerzia e i privilegi della corte e delle moschee come se combattesse avversari virtuali sullo schermo.

La sua irrequietezza e il suo disprezzo per le convenzioni l’hanno aiutato a far passare riforme che molti pensavano non sarebbero state approvate per generazioni. La trasformazione più visibile è la presenza in pubblico delle donne, che prima erano assenti o strettamente sorvegliate dal marito o dal padre. Ci sono anche altri cambiamenti. Prima il regno offriva pochi diversivi oltre alla preghiera in moschea; oggi si può vedere Justin Bieber in concerto, si può cantare il karaoke e andare a una gara di Formula 1. Qualche mese fa ho partecipato a un rave in un albergo. Sauditi e stranieri hanno ballato a piedi nudi sulla sabbia fino all’alba, una coppia si baciava, le donne indossavano abiti succinti e l’open bar serviva succo di frutta corretto con l’alcol.

Ma abbracciare la cultura consumistica dell’occidente non significa abbracciarne i valori democratici: lo si può fare altrettanto facilmente con un moderno stato di sorveglianza. Nei miei recenti viaggi in Arabia Saudita, persone di tutti i livelli sociali sembravano terrorizzate all’idea che qualcuno potesse sentirle esprimere offese o critiche, cosa che non avevo mai notato prima. “Sono sopravvissuto a quattro re”, ha detto un analista politico che ha rifiutato di commentare il motivo per cui è in corso la demolizione di gran parte di Jedda, la seconda città del paese. “Vorrei sopravvivere a un quinto”.

Il lato oscuro

L’occidente, ingannato dalle promesse di cambiamento e dipendente dal petrolio saudita, in un primo momento sembrava pronto a ignorare gli eccessi di Mbs. Poi, nell’ottobre 2018, i funzionari sauditi a Istanbul hanno ucciso un editorialista del Washington Post, Jamal Khashoggi. A quel punto anche i leader più filosauditi gli hanno voltato le spalle.

Oggi, grazie a un altro leader autoritario, Vladimir Putin, il principe saudita è di nuovo richiesto. Quando Putin ha invaso l’Ucraina a febbraio, il prezzo del greggio è salito alle stelle. Dopo poche settimane il premier britannico Boris Johnson era in aereo. Ad aprile il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in passato nemico giurato di Mbs, l’ha abbracciato a Riyadh. La guerra ha perfino costretto il presidente degli Stati Uniti a un’umiliante retromarcia. Durante la campagna elettorale del 2020 Joe Biden aveva promesso di trasformare l’Arabia Saudita in uno stato “paria”. Ma il 15 luglio è andato a fare la pace con Mbs e, per evitare di stringergli la mano, ha optato per un saluto pugno contro pugno che ha fatto sembrare il tutto ancora più amichevole. Anche gli avversari di Mbs in patria hanno dovuto riconoscere la sua vittoria. “Ha fatto sembrare Biden un debole”, ha detto un editorialista di Jedda. “Ha tenuto testa a una superpotenza e ha vinto davanti a tutto il mondo”.

Per Mbs questo è un momento di trionfo. Il suo viaggio dai margini di quella fotografia al cuore del potere è quasi completo. Probabilmente regnerà per decenni. E per tutto questo tempo ci sarà bisogno del petrolio del suo paese per soddisfare la domanda mondiale di energia.

Un regno in cui la parola di un uomo conta così tanto dipende totalmente dal suo carattere. La speranza è che, ormai sicuro della sua posizione, Mbs rinunci alla vendetta e all’intolleranza che hanno prodotto l’omicidio di Khashoggi. Ma alcuni, tra cui i suoi compagni di classe d’infanzia, temono qualcosa di peggio. Pensano al dittatore iracheno Saddam Hussein, un ex modernizzatore diventato così avido di potere da essere imprudente e pericoloso. “All’inizio il potere procura grandezza”, mi ha detto un ex funzionario dell’intelligence occidentale. “Ma poi arriva la solitudine, il sospetto e la paura che gli altri cerchino di arraffare quello che hai arraffato tu”.

Una foto del re saudita (a destra) e di Mohammed bin Salman proiettata in un sito storico vicino a Riyadh, il 20 novembre 2020  (Fayez Nureldine, Afp/Getty Images)

Nei primi anni dell’ascesa di Mbs, lo consideravo un principe tra tanti. Probabilmente non gli avrei prestato molta attenzione se una mia vecchia conoscenza non fosse entrata nel suo staff. Il suo nuovo capo, mi diceva, voleva davvero cambiare le cose. Nel 2016 ha organizzato un incontro in un finto villaggio antico di mattoni di fango alla periferia di Riyadh. Mentre io e i miei colleghi dell’Economist ci avvicinavamo, i cancelli del compound si sono aperti improvvisamente, come il covo del cattivo nei film di James Bond. Nella stanza più interna sedeva Mbs.

In Arabia Saudita le riforme sono state promesse spesso – di solito per le pressioni statunitensi – ma i re che si sono succeduti non hanno avuto il coraggio di metterle in atto. Quando gli Al Saud conquistarono l’Arabia nel 1920, strinsero un’alleanza con i wahabiti, una corrente religiosa ultraconservatrice. Nel 1979 un gruppo armato di estremisti religiosi prese brevemente il controllo della Grande moschea della Mecca, così gli Al Saud decisero di rendere il regno più devoto per evitare una rivoluzione islamica, come quella appena accaduta in Iran. Il clero wahabita fu autorizzato a gestire la società come voleva.

I wahabiti esercitavano il controllo attraverso il comitato per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, meglio noto come polizia religiosa. I suoi agenti colpivano alle caviglie le donne che lasciavano spuntare i capelli dal velo e sferzavano le gambe degli uomini in pantaloncini. La situazione faceva comodo agli Al Saud. Il wahabismo garantiva il controllo sociale e legittimava lo stato saudita, lasciando i reali liberi di godersi la loro ricchezza petrolifera negli ambienti più permissivi di Londra e Parigi, o dietro le porte dei loro palazzi.

Infrangere i tabù

Sono restio ad ammetterlo ora ma, quando a Riyadh il principe parlava dei suoi piani per modernizzare la società e l’economia, ero colpito dal suo entusiasmo, dalle sue idee e dalla padronanza dei dettagli. Anche se non era ancora principe ereditario, spesso si riferiva all’Arabia Saudita come al “mio” paese. Eravamo arrivati intorno alle 21 e alle 2 del mattino Mbs parlava ancora. Era affabile, sicuro di sé, sorridente. I suoi consiglieri erano più silenziosi. Intervenivano solo per ripetere come automi le frasi del loro capo. Ma quando Mbs lasciò la stanza per rispondere a una chiamata, cominciarono a chiacchierare animatamente. Al suo rientro, calò di nuovo il silenzio.

Come molti, in quegli anni, ero entusiasta di quello che Mbs avrebbe potuto fare. Quando sono tornato nella capitale pochi mesi dopo ho visto uomini in pantaloncini. Mi guardavo alle spalle per timore della polizia religiosa, ma non arrivava: le era stato tolto il potere di fare arresti. Mbs ha introdotto un sistema giudiziario in base al quale le sentenze devono seguire le linee guida dello stato, non l’interpretazione del Corano data da un giudice. La lapidazione a morte e il matrimonio forzato sono diventati reati. Il cambiamento più evidente riguarda il ruolo delle donne. Mbs ha contestato le leggi sulla tutela che impedivano alle donne di lavorare, viaggiare, avere un passaporto, aprire un’attività, accedere alle cure e divorziare senza l’approvazione di un parente maschio. In realtà, per molte saudite è difficile rivendicare i nuovi diritti in una società patriarcale, e gli uomini possono ancora presentare denunce di disobbedienza contro le parenti. Ma le riforme di Mbs non sono solo di facciata. Alcuni religiosi sono stati arrestati, e gli altri si sono allineati.

Mbs sembrava divertirsi a infrangere i tabù religiosi. Il suo nuovo canale televisivo di stato ha affrontato il tema dell’omosessualità. Nel settembre 2017 ha revocato il divieto di usare Tinder, un’app di appuntamenti. L’anno dopo un imam della Mecca è stato costretto a distribuire il primo mazzo in una nuova gara di giochi di carte, un passatempo fino ad allora considerato una distrazione peccaminosa. Mbs ha introdotto nel regno molti nuovi sport: boxe, wrestling, gare automobilistiche e una corsa dei tori nello stile di Pamplona. “È una fottuta rock star”, ha commentato uno spettatore statunitense durante una standing ovation in suo onore alla gara di Formula 1 di Jedda l’anno scorso.

Con gli stranieri Riyadh è più tollerante. “Ho paura di essere arrestato per non aver bevuto”, mi ha detto un imprenditore astemio. “Girano cocaina, alcol e prostitute”, conferma un altro frequentatore di feste. Un ex alto funzionario saudita dice che le lavoratrici del sesso, molte delle quali provenienti dall’Europa orientale, possono guadagnare fino a tremila dollari per partecipare a una festa e 10mila per fermarsi la notte.

Quando Mbs è entrato nella vita pubblica aveva la reputazione di essere puritano come il padre, cosa rara tra i reali. Ma è cambiato in fretta. Molte persone intervistate per questo articolo sono convinte che Mbs faccia spesso uso di droghe, cosa che lui nega. Una persona interna alla corte dice che nel 2015 gli amici volevano farlo rilassare su un’isola delle Maldive. Secondo i giornalisti investigativi Bradley Hope e Justin Scheck, che ne parlano nel loro libro Blood and oil, sono state reclutate 150 modelle che poi sono state portate “con le auto da golf in un centro medico per essere sottoposte ai test per le malattie sessualmente trasmissibili”. Diverse star della musica sono arrivate in aereo.

In seguito il principe ha preferito rilassarsi al largo della costa del mar Rosso. Nei fine settimana l’entourage ormeggiava gli yacht intorno al suo, Serene, che ha un campo da golf e un cinema. Secondo un ex funzionario, “dj Mbs”, come lo chiamavano gli amici, metteva musica indossando un caratteristico cappello da cowboy. Lo yacht è solo uno dei lussi di Mbs. Ha anche comprato per quasi 270 milioni di euro l’imitazione di un castello francese vicino a Versailles, costruito nel 2008. Si dice che si sia vantato di voler diventare il primo ad avere più di mille miliardi.

Abbiamo sottoposto queste e altre affermazioni ai rappresentanti di Mbs, che attraverso l’ambasciata saudita di Londra le hanno definite “prive di fondamento”.

Mohammed bin Salman partecipa a un incontro online del Forum economico mondiale. Al Ula, 13 gennaio 2021 (Balkis Press, Abacapress/Alamy)

L’allentamento dei costumi sociali favorito da Mbs, come il suo gusto per il lato più appariscente della vita, riflettono i valori di molti suoi coetanei, in Arabia Saudita e non solo. Eppure, nonostante questa rivoluzione sociale, il principe non è più entusiasta del clero wahabita all’idea che le persone pensino con la loro testa. Poco prima che revocasse il divieto di guida per le donne nel 2018, i suoi funzionari hanno arrestato Loujain al Hathloul, una delle leader della campagna per i diritti delle donne. La famiglia sostiene che i carcerieri l’hanno torturata e che Saud al Qahtani, uno dei più stretti collaboratori di Mbs, era presente e ha minacciato di violentarla. Da un’indagine delle Nazioni Unite sono emersi ragionevoli motivi per credere che Al Qahtani fosse coinvolto nelle torture delle attiviste. Al Hathloul è stata accusata di voler cambiare il sistema dominante. Il messaggio era chiaro: solo una persona era autorizzata a farlo.

Senza limiti

Mbs è spietatamente ambizioso, ma deve la sua ascesa anche ad alcuni straordinari colpi di fortuna. In Arabia Saudita la successione può essere una faccenda imprevedibile. La monarchia regna solo da due generazioni. È stata fondata nel 1932 e finora la corona è passata di mano tra i figli del primo sovrano. Questo è diventato più difficile via via che i potenziali eredi invecchiavano. Il padre di Mbs non era destinato a diventare re, ma quando i suoi due fratelli maggiori morirono inaspettatamente nel 2011 e nel 2012, fu catapultato in cima alla linea di successione.

Quando Salman diventò l’erede designato, a 76 anni, aveva bisogno di un capo dello staff. La maggior parte dei cortigiani si aspettava che scegliesse uno dei figli della prima moglie, che parlavano bene l’inglese. Invece nominò un figlio che parlava arabo con un gutturale accento beduino (da allora Mbs ha imparato l’inglese velocemente). La scelta di dare quel ruolo a Mbs è stata meno sorprendente per chi conosceva bene suo padre. Salman si era dedicato al compito di governatore di Riyadh invece di cercare incarichi più redditizi, e cominciava sempre a lavorare alle otto del mattino. Manteneva la disciplina in famiglia, non esitava a colpire i reali ribelli con il bastone da passeggio e perfino a fargli passare qualche giorno nella sua prigione privata. Chiaramente vedeva qualcosa di sé nel suo sesto figlio. Magari amava i videogiochi, ma Mbs era anche un gran lavoratore e voleva farsi strada.

C’erano pochi limiti a quello che Mbs era pronto a fare per prendere il comando. Si è guadagnato il soprannome di Abu Rasasa (Padre del proiettile) quando si è diffusa la voce che aveva inviato un proiettile a un funzionario che si era pronunciato contro di lui in una disputa su dei terreni. Era temibile anche in privato. “Ha scoppi d’ira in cui distrugge tutto”, dice una fonte con contatti nella corte. “È estremamente violento”. Varie persone confermano che ha sbalzi d’umore improvvisi. Due ex frequentatori del palazzo dicono che una volta durante una discussione con la madre ha sparato dei colpi al soffitto. Secondo diverse fonti, l’ha fatta rinchiudere. È difficile dire quante mogli abbia. Ufficialmente ne ha solo una, un’elegante principessa di nome Sara bint Mashour, ma i cortigiani dicono che ne ha almeno un’altra. Mbs presenta la sua vita familiare come normale e felice: ha detto alla rivista The Atlantic che ogni mattina fa colazione con i figli (secondo Gulf News sono tre maschi e due femmine, e il maggiore ha 11 anni). Un diplomatico ha parlato della gentilezza di Mbs nei confronti della moglie. Ma altre fonti nella cerchia reale dicono che, in almeno un’occasione, la principessa Sara è stata picchiata dal marito con tanta violenza da dover chiamare un medico. Anche queste accuse sono state respinte dai rappresentanti di Mbs, che le hanno definite “pura invenzione.”

Il metodo somigliava più a un film di gangster che a una procedura giudiziaria

Mbs per la prima volta ha assaggiato il potere nel 2015, quando Salman diventò re e nominò suo figlio viceprincipe ereditario e ministro della difesa. Una delle prime mosse di Mbs fu lanciare una guerra nel vicino Yemen. Perfino gli Stati Uniti, i più stretti alleati militari del regno, lo seppero solo all’ultimo momento.

C’era un ovvio ostacolo sul percorso di Mbs verso il trono: suo cugino Mohammed bin Nayef, l’erede designato di 57 anni. Bin Nayef era il capo dell’intelligence e il principale interlocutore del regno con la Cia. Molti attribuiscono a lui il merito di aver eliminato Al Qaeda in Arabia Saudita dopo l’11 settembre. Nel giugno 2017 bin Nayef fu convocato per incontrare l’anziano re nel suo palazzo alla Mecca.

La storia di quello che è successo dopo è emersa dai resoconti della stampa e dalle mie interviste. Sembra che Bin Nayef sia arrivato in elicottero e abbia preso l’ascensore per il quarto piano. Ma invece del sovrano, lo aspettavano gli agenti di Mbs, che gli hanno tolto le armi e il telefono, e gli hanno detto che il consiglio reale lo aveva licenziato. Poi è stato lasciato solo a considerare le alternative. Sette ore dopo un operatore video di corte ha filmato la farsa di Mbs che baciava il cugino e accettava la sua abdicazione da principe ereditario. Re Salman è rimasto sempre dietro le quinte. Oggi Bin Nayef è in carcere. La messa in scena delle dimissioni – un vecchio trucco che usava Saddam Hussein – sarebbe diventata la firma di Mbs.

Prigione di lusso

Questo era solo l’inizio. Nell’ottobre 2017 Mbs ha ospitato una conferenza internazionale sugli investimenti all’hotel Ritz-Carlton di Riyadh. Nella “Davos del deserto”, personaggi del calibro di Chris­tine Lagarde, Son Masayoshi e altre celebrità del mondo degli affari hanno ascoltato il suo discorso sul futuro saudita dopo il petrolio, compresa la costruzione di Neom, una nuova “città intelligente” da 500 miliardi di dollari. L’evento è stato un successo. I brontolii diplomatici sulla guerra nello Yemen e sul destino di Mohammed bin Nayef si sono affievoliti.

L’incontro è stato anche l’occasione per far rientrare i reali che erano spesso all’estero. Una volta partiti gli stranieri, Mbs ha colpito. Centinaia di principi e imprenditori sono stati spazzati via. Secondo la biografia di Mbs, scritta dal giornalista del New York Times Ben Hubbard, uno di loro si è accorto che qualcosa non andava solo quando è arrivato in camera e non c’erano penne, rasoi né bicchieri, niente che potesse essere usato come arma.

Mbs li ha tenuti al Ritz-Carlton per settimane (anche il Marriott e altri alberghi sono stati requisiti per ospitare chi era rimasto fuori). I telefoni dei prigionieri sono stati confiscati. Si dice che alcuni siano stati incappucciati, privati del sonno e picchiati fino a quando non hanno accettato di trasferire il loro denaro e consegnare un inventario dei loro beni. Complessivamente, gli ospiti di Mbs hanno sborsato circa 100 miliardi di dollari.

Anche reali ritenuti intoccabili, come il potente principe che gestiva la guardia nazionale, hanno ricevuto un trattamento simile. La principessa Basma, la figlia minore del secondo re dell’Arabia Saudita, è stata incarcerata per tre anni senza un’accusa e senza poter incontrare un avvocato. Anche dopo essere stata rilasciata nel gennaio 2022, secondo un suo stretto collaboratore ha dovuto indossare un braccialetto elettronico alla caviglia.

L’annientamento dei reali e dell’élite imprenditoriale è stato pubblicizzato come un giro di vite sulla corruzione, e senza dubbio ha permesso di confiscare molte ricchezze accumulate in modo illecito, che secondo Mbs sono state restituite al tesoro saudita. Il metodo, però, somigliava più a un film di gangster che a una procedura giudiziaria. Gli interrogatori erano supervisionati da Saud al Qahtani, che riferiva a Mbs ogni volta che un detenuto crollava e forniva le sue coordinate bancarie (le accuse contro Al Qahtani sono state presentate al suo avvocato, senza ricevere risposta). Al Qahtani si era imposto come uno degli scagnozzi preferiti di Mbs, anche se all’inizio della sua carriera aveva complottato per mettere fuorigioco Salman e suo figlio, facendo circolare la voce che Salman soffriva di demenza senile. Al Qahtani era così fedele alla fazione precedente che aveva chiamato il figlio come il suo capo dell’epoca. Secondo un ex cortigiano, il giorno del funerale del vecchio re i due ebbero un diverbio e Mbs schiaffeggiò Al Qahtani. In seguito, però, gli ha permesso di dimostrare il suo valore e lo ha incluso nel suo staff. Al Qahtani ha diligentemente chiamato il figlio minore Mohammed.

Sulla carta Al Qahtani era un consulente per le comunicazioni, un ex giornalista che conosceva Twitter e usava un esercito di bot e fedeli seguaci per intimidire gli avversari sui social network (nel suo ufficio c’erano schermi giganteschi e ologrammi per esercitarsi al tiro al bersaglio con pistole laser). In pratica gli sono state affidate le missioni più importanti e violente di Mbs, che gli hanno garantito la presa del potere. Il mandato di Al Qahtani si estendeva ben oltre i confini sauditi. Nel 2016 ha rapito il principe Sultan, una figura secondaria della famiglia reale, che aveva parlato male di Mbs. Il principe aveva messo a disposizione il suo jet per far volare Sultan da Parigi al Cairo, ma l’aereo è stato dirottato in Arabia Saudita. Secondo il libro di Hope e Scheck, Al Qahtani ha finto di essere un pilota di linea.

Con simili strategie, e la chiusura del rubinetto dei sussidi, anche i reali che non erano al Ritz-Carlton si sono sentiti costretti a rinunciare alle proprietà più sfarzose. I gioiellieri di Riyadh hanno fatto grandi affari prendendo in pegno i loro diamanti. Molti cittadini erano contenti della caduta dell’élite. Principi e principesse che un tempo ricevevano enormi sussidi si sono messi a cercare lavoro. I loro titoli sono diventati irrilevanti. Dato che non potevano permettersi il costo dell’irrigazione, il deserto si è ripreso i loro terreni. Le banche gli hanno rifiutato i prestiti. Un consulente finanziario ricorda la sua risposta a chi cercava di ottenere credito grazie allo status reale: “Voi vi definite principi, ma ora dicono che il principe sia uno solo”.

Mentre ero alla conferenza, mi hanno telefonato: “Jamal non è uscito dal consolato”

Quello del Ritz-Carlton è stato solo un episodio di uno straordinario progetto di accentramento. Mbs ha strappato ai principi il controllo di vari servizi di sicurezza. Ha preso il comando dell’Aramco, la compagnia petrolifera statale. Si è insediato a capo del fondo sovrano per gli investimenti pubblici. “Ha distrutto tutte le famiglie potenti”, dice un diplomatico in congedo. Alla fine del 2017 controllava direttamente la legge, l’economia e la sicurezza. Tra chi ci ha rimesso c’erano i principi che avevano spinto il giovane Mbs al margine della foto sullo yacht. Il principe Alwaleed bin Talal, al centro dello scatto, gli ha ceduto parte della sua ricchezza di 17 miliardi di dollari. Mentre le perquisizioni aumentavano, i fratellastri di Mbs hanno messo in vendita gli yacht. Molti suoi cugini sono stati rinchiusi. “Si è preso la rivincita”, dice una delle vittime.

Amici e nemici

Quando in patria colpiva le élite, all’estero Mbs stringeva importanti amicizie. Con Donald Trump, eletto presidente degli Stati Uniti nel 2016, aveva molto in comune. Entrambi avevano la rabbia degli sfavoriti e detestavano e provocavano l’establishment politico nei loro paesi. Lo storico patto con cui l’Arabia Saudita forniva petrolio ai consumatori statunitensi e Washington garantiva la sicurezza del paese negli anni precedenti si era indebolito. Dopo la frettolosa uscita di Barack Obama dall’Iraq nel 2011 e il suo accordo nucleare con l’Iran nel 2015, Riyadh era preoccupata di non poter più contare sulla protezione statunitense. Inoltre, lo sviluppo delle riserve statunitensi di petrolio di scisto aveva ridotto la dipendenza di Wash­ington dall’Arabia Saudita. Poi Trump e Mbs hanno fatto amicizia.

Con il tacito (e talvolta esplicito) sostegno dell’amministrazione Trump, Mbs ha cominciato a trattare l’intero Medio Oriente come faceva con l’Arabia Saudita, cercando di eliminare i governanti che riteneva scomodi. Ha annunciato un blocco nei confronti del Qatar, un piccolo stato ricco di gas a est dell’Arabia Saudita. Nel 2017, irritato dai rapporti del Libano con l’Iran, Mbs ha invitato il premier libanese Saad Hariri, che da tempo aveva il sostegno saudita, a campeggiare con lui sotto le stelle. Hariri ha accettato, gli è stato confiscato il telefono e si è ritrovato a leggere un discorso di dimissioni in tv.

Entrambe le mosse alla fine gli si sono ritorte contro. Ma il consigliere di Trump per il Medio Oriente, il genero Jared Kushner, ha fatto poco per scoraggiare buffonate simili. Insieme, lui e Mbs avevano immaginato un nuovo ordine regionale su WhatsApp, dandosi del tu. Il loro rapporto era così stretto che, su suggerimento di Kushner, Mbs aveva avviato il processo per il riconoscimento di Israele. Suo padre, ancora ufficialmente re, si è opposto.

Nel marzo 2018 Mbs è andato in visita negli Stati Uniti. Ha incontrato Peter Thiel e Tim Cook nella Silicon valley e poi altre celebrità, come Rupert Murdoch, James Cameron e Dwayne “the Rock” Johnson. Molte persone erano ansiose di conoscere l’uomo che controllava un fondo sovrano da 230 miliardi di dollari. Ma, con sua grande frustrazione, erano meno disposte a investire nel regno.

A ottobre i buoni rapporti tra i continenti si sono interrotti bruscamente. Quel mese dovevo andare a una conferenza in Turchia. Un giornalista saudita che conoscevo, Jamal Khashoggi, mi aveva contattato chiedendo d’incontrarci, anche lui sarebbe stato a Istanbul per un appuntamento al consolato. Khashoggi era interno alla corte e le sue critiche a Mbs sul Washington Post e altrove avevano attirato molta attenzione. Sembrava che si stesse dando da fare più del solito per restare in contatto. Poi, mentre ero alla conferenza, un suo amico mi ha telefonato: “Jamal non è ancora uscito dal consolato”, mi ha detto. Quando sono arrivato lì, la polizia turca stava transennando l’edificio.

La storia completa sarebbe presto emersa dai rapporti dei servizi segreti che sono trapelati e, in seguito, da un’inchiesta dell’Onu. Una squadra saudita, che si sarebbe coordinata con Saud al Qahtani, era volata a Istanbul. Mentre aspettavano che Khashoggi entrasse nel consolato, gli agenti discutevano il piano per fare a pezzi il suo corpo con una sega elettrica. Secondo le registrazioni fatte all’interno del consolato dall’intelligence turca, hanno detto a Khashoggi: “Veniamo a prenderti”. C’è stata una lotta, seguita dal rumore di fogli di plastica che venivano avvolti. Un rapporto della Cia sostiene che Mbs aveva approvato l’operazione.

Mbs si è assunto la responsabilità dell’omicidio, ma ha negato di averlo ordinato. Ha licenziato Al Qahtani e un altro funzionario che compariva nei rapporti dell’intelligence. La ricaduta è stata immediata. Aziende e relatori si sono ritirati dalla Davos nel deserto di quell’anno. La Fondazione Gates ha interrotto la collaborazione con il Misk, un ente di beneficenza creato da Mbs. L’agente di Hollywood Ari Emanuel ha annullato un accordo da 400 milioni di dollari con il regno.

Il principe sembrava sinceramente sorpreso da tanta ostilità, “deluso”, dice un collaboratore. Non si era impegnato nelle riforme che l’occidente aveva chiesto? Forse aveva sottovalutato lo scandalo che avrebbe provocato prendendosela con una nota figura internazionale, piuttosto che con un principe sconosciuto fuori dall’Arabia Saudita. O forse aveva capito le priorità dei governi occidentali perfino meglio di loro. Avevano fatto poco quando Mohammed bin Nayef era scomparso. Avevano alzato le spalle alla notizia delle torture al Ritz-Carlton e dei bombardamenti sullo Yemen. Perché si agitavano tanto per l’uccisione di un singolo giornalista?

Un colpo di fortuna

Tre anni dopo l’omicidio di Khashoggi, la Davos nel deserto si è aperta con la cantante Gloria Gaynor. Mentre su uno schermo gigante dietro di lei scorrevano le immagini di bambini sorridenti, Gaynor intonava il suo inno, I will survive. Gli amministratori delegati dei giganti finanziari BlackRock e Blackstone erano tornati, come i dirigenti di Goldman Sachs, SocGen e Standard Chartered. Perfino Amazon aveva inviato un rappresentante anche se il presidente, Jeff Bezos, è proprietario del Washington Post, il giornale per cui scriveva Khashoggi. Intanto Al Qahtani stava tornando nelle grazie della corte. Per l’Onu era coinvolto nell’omicidio di Khashoggi, ma un tribunale saudita aveva deciso di non processarlo.

Mohammed bin Salman durante una cerimonia alla Mecca, il 16 agosto 2022  (Royal Court of Saudi Arabia/Anadolu Agency/Getty Images)

Mbs ha ridato vita al fondo sovrano quasi inattivo, investendo decine di miliardi di dollari in tecnologia, intrattenimento e sport per creare un’immagine più attraente dell’Arabia Saudita e trovare nuovi partner economici. Nell’aprile 2020 il fondo ha guidato un consorzio per comprare il Newcastle United, una squadra di calcio della Premier league, la massima serie del campionato inglese (per l’accordo ci sono voluti 18 mesi). L’anno seguente ha lanciato la proposta di creare un torneo di golf saudita, sperando di attirare i giocatori con un montepremi di 255 milioni di dollari, molto più alto di quello dei tornei statunitensi. Alcuni dei migliori giocatori hanno boicottato l’evento, altri ci sono andati solo per i soldi.

Joe Biden si è dimostrato più difficile da corteggiare. Poco dopo essere diventato presidente, Biden ha ritirato il sostegno militare statunitense alla guerra nello Yemen. Non ha voluto parlare con Mbs, ribadendo che le comunicazioni dovevano passare attraverso il re Salman. Non ha nominato un ambasciatore a Riyadh per 15 mesi. Tutti dicevano che le relazioni tra i due paesi si erano raffreddate. Poi, nel febbraio 2022, Mbs ha avuto un colpo di fortuna: la Russia ha invaso l’Ucraina.

Nei giorni successivi allo scoppio della guerra, Biden ha cercato di chiamare Mbs. Il principe ereditario si è rifiutato di parlare con lui. Però ha accettato la telefonata di Putin. I due erano già vicini. Mbs aveva invitato la Russia a far parte di una versione allargata dell’Opec per permettere a Riyadh di mantenere il controllo della produzione globale di petrolio. Putin aveva cementato l’amicizia nel 2018 al vertice del G20 di Buenos Aires, che si era svolto poche settimane dopo l’omicidio di Khashoggi. Mentre i leader occidentali evitavano Mbs, Putin aveva dato il cinque al principe prima di sedersi accanto a lui.

La sfida di Mbs agli Stati Uniti sembra aver funzionato. Dopo aver preso tempo per mesi, a luglio Biden ha accettato con riluttanza di incontrare Mbs a Jedda, sul suo territorio e alle sue condizioni. La visita è stata un riconoscimento per Mbs ma ha fatto poco per ristabilire le relazioni tra i due paesi. Non c’è stata neanche una garanzia concreta di aumentare la produzione di petrolio. Qualcuno nell’amministrazione statunitense resta fiducioso che Mbs possa diventare un partner utile nella regione, citando la fine del contrasto con il Qatar e il desiderio di trovare una via d’uscita diplomatica dallo Yemen. Forse, dicono, sta maturando come leader.

Quando ho chiesto una guida il direttore dell’hotel mi ha insultato in arabo

Questo atteggiamento sembra ottimistico. La disastrosa campagna di Mbs nello Yemen era apparentemente a sostegno del presidente del paese Abd Rabbo Mansur Hadi. Ma ad aprile il principe l’ha invitato a un incontro e gli ha offerto caffè e datteri, e qualche ora dopo Hadi leggeva il suo discorso di dimissioni in tv. Mbs si è preso la briga di sbarazzarsi personalmente di lui, e questo fa pensare che il suo modo di fare diplomazia internazionale sia rimasto il solito. “Quello che hanno imparato”, dice un analista straniero, “è che non si uccide un giornalista se cena regolarmente con i deputati del congresso degli Stati Uniti”.

L’occidente gli ha insegnato anche qualcos’altro, qualcosa da cui i tiranni di tutto il mondo possono trarre conforto. Non importa quale sia il peccato, se superi l’ondata di odio e di sdegno alla fine i finanzieri, le celebrità, perfino i leader occidentali torneranno di corsa. A 36 anni, Mbs ha il tempo dalla sua parte. Alcuni osservatori temono che possa diventare ancora più pericoloso quando le riserve di petrolio cominceranno a diminuire e il suo tesoro si assottiglierà. “Cosa succederà quando sarà un uomo di mezza età al governo di un paese a medio reddito e comincerà ad annoiarsi?”, chiede un diplomatico che conosce Mbs personalmente. “Si lancerà in altre avventure?”.

Sotto controllo

All’inizio dell’anno sono andato a trovare un amico nel suo ufficio in Arabia Saudita. Prima di cominciare a parlare, ha messo il telefono in una custodia che blocca il segnale, per impedire alle spie del governo di ascoltare. I dissidenti fanno queste cose in stati di polizia come la Cina, ma non l’avevo mai visto fare in Arabia Saudita. Non sono solo le persone coinvolte in politica a prendere precauzioni simili: la maggior parte dei sauditi ha paura di parlare vicino a un cellulare acceso. Prima le persone parlavano abbastanza apertamente negli uffici, nelle case e nei caffè. Ora sono arrestate quasi senza motivo.

Mentre chiacchieravamo cercando di superare il ronzio dell’aria condizionata, il mio amico mi ha fatto un elenco di persone che conosceva che erano state arrestate nell’ultimo mese: un ufficiale dell’aeronautica in congedo, morto in prigione; l’amministratore di un ospedale trascinato via dalla scrivania; una madre prelevata davanti ai sette figli; un avvocato, morto sette giorni dopo il rilascio. “Queste persone non erano agitatori”, ha detto. “Nessuno capisce perché le hanno fermate”.

Ufficialmente, il governo dice di non avere prigionieri politici. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani stimano che migliaia di persone sono state prese nella rete di Mbs. Mi occupo di Medio Oriente dal 1990 e non riesco a pensare a nessun posto dove tanti dei miei contatti sono in prigione.

Poche persone comuni in Arabia Saudita pensavano che quando Mbs avesse finito di calpestare le élite e il clero, se la sarebbe presa con loro. Aver portato il paese nel mondo moderno, interconnesso e virtuale ha reso più facile per lo stato controllare quello che dicono i cittadini. Un dipendente della Mezzaluna rossa di nome Abdulrahman al Sadhan amministrava un account Twitter satirico con uno pseudonimo. Nel 2018 gli agenti di Mbs l’hanno arrestato e l’hanno tenuto in isolamento per due anni. In seguito i procuratori statunitensi hanno accusato due ex dipendenti di Twitter di aver consegnato i veri nomi che si nascondevano dietro vari account a un funzionario saudita. La famiglia di Al Sadhan crede che il suo nome sia tra questi. Il processo a un dipendente è in corso, ma lui nega di aver trasmesso informazioni ai funzionari sauditi.

Da sapere
Violazioni dei diritti umani

◆ Da quando Mohammed bin Salman ha cominciato la sua scalata al potere nel 2015, Amnesty international ha documentato una lunga serie di violazioni dei diritti umani compiute in Arabia Saudita. Tra queste ci sono la devastante guerra nello Yemen, le esecuzioni di condanne a morte (che nel 2021 sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente), la repressione incessante di giornalisti e intellettuali e gli arresti e le condanne degli attivisti e delle attiviste per i diritti umani e i diritti delle donne. Solo nell’ultimo mese due donne sono state condannate a 34 e a 45 anni di carcere per aver espresso le loro opinioni su Twitter.


Apparentemente Mbs non ha nulla di cui preoccuparsi. I sondaggi d’opinione – se ci si può fidare – indicano che è popolare, soprattutto tra i giovani. Ma c’è la crescente sensazione che il malcontento stia montando sotto la superficie. Mbs ha rotto contratti sociali fondamentali con la popolazione saudita, riducendo i sussidi e, allo stesso tempo, eliminando la tradizione di ascoltare le opinioni delle persone comuni dopo la preghiera del venerdì. Non è difficile immaginare alcune delle questioni che solleverebbero se ne avessero la possibilità.

Molti soffrono per l’aumento del costo della vita. Mentre altri governi hanno cercato di alleviare le conseguenze della pandemia sui loro cittadini, Mbs ha tagliato i sussidi per il carburante e ha triplicato l’iva. Non potendo più permettersi il costo dell’acqua, alcuni agricoltori hanno lasciato i raccolti a marcire nei campi. Mbs parla molto dei giovani del paese, ma fa fatica a trovargli lavoro. Il tasso di disoccupazione resta ostinatamente a due cifre. La metà dei disoccupati ha una laurea, ma i colletti bianchi che ho incontrato nei mega-progetti di Mbs erano in gran parte stranieri.

Neanche i tentativi di diversificare l’economia saudita – e compensare così il declino a lungo termine delle riserve petrolifere – stanno andando bene. La pandemia ha ritardato i piani per un aumento del turismo internazionale. Estorcere miliardi di dollari ai tuoi parenti forse non è il modo migliore per convincere gli investitori che il tuo regno è un paradiso liberale.

Il principe ha annullato anche i piccoli passi verso la democrazia compiuti dai re precedenti. Le elezioni comunali sono state sospese, per ridurre le spese, spiega la stampa accondiscendente. Il consiglio della shura, un organo consultivo di 150 persone, dall’inizio della pandemia si è riunito solo online (altre istituzioni si riuniscono in presenza da mesi). “Vorrei avere più voce in capitolo”, ha detto uno dei suoi componenti. Ogni volta che citavo il principe, la sua gamba tremava.

Petrolio
Produzione ridotta

◆ Il 5 settembre 2022 i paesi dell’Opec+ (i tredici che fanno parte dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, tra cui l’Arabia Saudita, più i loro dieci alleati, tra cui la Russia) hanno deciso di ridurre la produzione di petrolio di centomila barili al giorno per sostenere i prezzi di fronte al timore della recessione. La decisione annulla l’aumento concordato all’inizio di agosto. La riduzione sembra dimostrare l’intenzione dell’Opec+ di mantenere il prezzo intorno ai cento dollari a barile.

The New York Times


Un assiduo frequentatore della corte dice che ora Mbs dà l’impressione di pensare sempre che qualcuno stia complottando contro di lui. Sembra preoccupato dalla fedeltà di chi lo circonda. Ha affidato posti chiave a giovani della famiglia reale, stranieri senza appoggi locali che possano renderli una minaccia o persone che ha già piegato. Un ministro del governo, Ibrahim Assaf, è stato rinchiuso al Ritz­-Carlton e due mesi dopo Mbs l’ha mandato al Forum economico mondiale come suo rappresentante. Un dirigente di uno dei suoi progetti edili dice di essere stato torturato in prigione. “È passato da essere appeso nudo per le caviglie, picchiato e spogliato dei beni a essere un manager di alto livello”, sostiene un conoscente.

Tutti sono soggetti ai capricci di Mbs. Fonti saudite affermano che una volta ha chiuso in bagno per dieci ore un ministro che in seguito è apparso in tv blaterando banalità sulla saggezza del principe. “Tutti nella sua cerchia sono terrorizzati”, dice una persona che ne fa parte. Questo potrebbe rendergli difficile governare un paese di 35 milioni di abitanti. Alcuni ex cortigiani sostengono che nessun collaboratore di Mbs è pronto a dare un giudizio sincero sui suoi piani sempre più grandiosi. “Non gli diranno mai di no”, afferma uno di loro.

La città dei sogni

Se Mbs ha una missione, oltre a quella di estendere il suo potere, si può immaginare che sia Neom, la città che ha promesso di costruire nel deserto. Neom sarebbe niente di meno che “un salto di civiltà per l’umanità”, ha detto nel 2017, aggiungendo dettagli da capogiro. Coltivazioni idroponiche in una struttura galleggiante. Energia prodotta dal più grande impianto a idrogeno del mondo. Neve artificiale per creare una stazione sciistica su una montagna vicina. Vetture a guida autonoma e droni per trasportare passeggeri.

Secondo la tabella di marcia ufficiale, la città principale doveva essere completata nel 2020. Ulteriori distretti sarebbero stati aggiunti entro il 2025. Il ministro del turismo Ahmed al Khateeb ha smentito le voci secondo cui il calendario era troppo ambizioso. “Venite a vedere con i vostri occhi”, ha esortato. Così sono andato. Trovare Neom è stato il primo problema. Non c’erano cartelli. Dopo tre ore di auto siamo arrivati al punto indicato dalla mappa. Era deserto, a parte qualche albero di fico. I cammelli passeggiavano sull’autostrada vuota, dove c’erano cumuli di detriti, i resti della città demolita per far posto alla metropoli.

L’area designata è grande quasi quanto il Belgio. Per quello che ho visto, solo due progetti sono stati completati: il palazzo di Mbs e qualcosa che Google earth chiama “il centro delle esperienze di Neom” (quando sono andato a vederlo, era coperto da un prefabbricato). L’unico altro edificio era un hotel costruito prima che Neom fosse concepita: il Royal tulip. Un manifesto all’interno invitava a “scoprire Neom”. Ma quando ho chiesto una guida il direttore dell’hotel mi ha insultato in arabo e ha cercato di cacciarmi. Non c’erano tracce del polo tecnologico promesso dal sito con “tutte le comodità”, “l’infrastruttura avanzata” e gli “ecosistemi collaborativi” . Il capo delle comunicazioni di Neom, Wayne Borg, ha detto di essere “fuori dal regno al momento”.

Il ristorante dell’hotel pullulava di consulenti, tutti quelli che ho incontrato erano stranieri. Poi ho trovato un capo progetto saudita. “Pensiamo sempre che stiamo per cominciare a lavorare, ma ogni due mesi i consulenti presentano un nuovo piano”, mi ha detto. Gli stranieri vivono alla giornata. Molti sono pagati 40mila dollari al mese, oltre ai bonus. “È come cavalcare un toro”, mi ha detto uno di loro. “Sai che cadrai, che nessuno può durare in groppa al toro più di un minuto, massimo due, quindi ne approfitti più che puoi”.

Nonostante gli stipendi alti, secondo alcuni gli stranieri stanno abbandonando il progetto perché trovano troppo stressante il divario tra aspettative e realtà. Gli amici dicono che il principale responsabile di Neom è “terrorizzato” per la mancanza di progressi.

Alla fine ho trovato un tecnico dell’aeronautica saudita in pensione che si è offerto di accompagnarmi in giro per 600 dollari. Mi ha portato davanti a una scultura nel deserto con la scritta “I ❤ Neom”. Poco più avanti c’era un nuovo tratto di asfalto, che sembra segni il limite della città dei sogni. Al di là, le sabbie piatte e solitarie si estendevano a perdita d’occhio. ◆ bt

Nicolas Pelham è il corrispondente dal Medio Oriente del settimanale britannico The Economist.

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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati