Jacque Chanel si sistema il vestito nero, raddrizza la parrucca bionda e cammina sui tacchi a spillo verso il piccolo altare davanti all’albero di mango. Con gli occhi socchiusi, comincia a parlare sonoramente al microfono: “Grazie, Signore, perché ci fai sentire la tua forza”.

In sottofondo c’è della musica gospel registrata. “Grazie, Signore, per la tua luce!”. Davanti all’altare ci sono circa trenta persone in piedi. Alcune alzano le braccia in estasi, altre mormorano delle frasi, apparentemente in trance, pregano oscillando come dei pendoli. “Grazie, Signore, per il tuo amore!”.

Chanel, 58 anni, ha le sopracciglia tatuate e degli occhiali dalla montatura spessa. È una sacerdote evangelica. La sua messa all’aperto si svolge in un cortile davanti ad anonime casette a schiera. Oltre un muro si intravedono le sagome dei grattacieli della metropoli brasiliana di São Paulo. Stasera sono presenti molti pastori. Preghiere, musica, vino per la celebrazione: a prima vista sembrerebbe una normale funzione religiosa. Ma questa non è la solita parrocchia. Jacque Chanel è una transgender. Insieme ad altre persone che la pensano come lei ha fondato la prima chiesa per transgender di tutto il Brasile.

Alla fine del sermone si rivolge direttamente alle donne presenti. Anche Gesù è andato incontro a una trasformazione: da spirito divino ad anima umana. “Perché non potremmo trasformarci anche noi?”. Poi aggiunge: “Non importa quanto silicone avete nel seno. Non importa quanto sono eccentriche le vostre parrucche. Dio ama anche voi”.

In un paese in cui i fondamentalisti pentecostali sono più influenti e numerosi di prima, la chiesa di Chanel è il simbolo di un piccolo ma attivo movimento antagonista. E la sua lotta riflette alcuni conflitti fondamentali della società brasiliana su cosa sia la fede, su come dovrebbe essere la chiesa del ventunesimo secolo e su chi ne dovrebbe fare parte.

Il paese cattolico più grande del mondo attraversa quella che alcuni studiosi definiscono una “rivoluzione religiosa”. Un numero crescente di brasiliane si rivolge alle chiese pentecostali. Ogni anno nascono quattordicimila nuove chiese evangeliche. Secondo alcune stime, entro il 2032 gli evangelici saranno la maggioranza della popolazione brasiliana.

L’evangelicalismo è un ramo teologico del protestantesimo. In genere queste comunità prendono alla lettera ciò che è scritto nella Bibbia, senza metterlo in discussione. Oggi in Brasile le chiese evangeliche si diffondono nei quartieri poveri, nei centri urbani ricchi e nei villaggi sperduti. Come quelle degli Stati Uniti, spesso si trovano in palazzi enormi e moderni. Alcune possono ospitare più di ventimila fedeli, hanno gli studi televisivi ed eliporti sul tetto.

Altri luoghi di culto invece sono stati ricavati nei garage, spesso hanno solo poche sedie di plastica, un microfono e un altoparlante. La differenza principale con il mondo cattolico è che tra gli evangelici non c’è un’autorità religiosa suprema, quindi fondare una nuova congrega­zione è piuttosto facile.

Quasi tutti possono diventare pastori. Servono solo un po’ di carisma e una “vocazione divina”.

In Brasile ci sono pochi posti dove le persone trans si sentono davvero al sicuro. Tra questi c’è Casa Florescer

Famiglia ostile

La maggior parte di queste chiese è ultraconservatrice. I fedeli si oppongono all’aborto, criticano ferocemente molti aspetti della vita “mondana” e si rifiutano categoricamente di riconoscere i rapporti tra persone dello stesso sesso. Anche Jacque Chanel ha pagato il prezzo di questi rigidi dogmi.

È nata nel 1964 a Belém, una città con più di un milione di abitanti nel nord del paese. Ha sempre saputo di essere una donna, anche da bambino. Quando aveva tredici anni sua madre, una donna molto religiosa, ha preparato una valigia e l’ha portato da un pastore. “Voleva che Gesù mi guarisse”, dice Chanel.

Di lì in poi ha abitato nel seminterrato di una chiesa, in una stanzetta senza finestre. Il pastore è diventato una specie di secondo padre. Non ha mai voluto parlare dell’identità di genere di Chanel, ma la rispettava e, cosa più importante, le ha permesso d’integrarsi nella comunità della chiesa. “La mia famiglia mi ha respinta, ma questo ha rafforzato la mia fede”. A diciannove anni ha vissuto un nuovo sconvolgimento. Sei uomini armati hanno preso d’assalto la chiesa in cui viveva, sparando al pastore davanti ai suoi occhi. Erano spacciatori che non vedevano di buon occhio il lavoro della parrocchia nel quartiere.

Come tanti altri emarginati, negli anni ottanta Chanel si è trasferita a São Paulo. Nella grande città non conosceva nessuno, e per la seconda volta ha trovato conforto nella religione. Andava alle messe, cantava nel coro della chiesa e partecipava agli incorni dei gruppi giovanili. Poi ha deciso di cambiare sesso, e si è sentita di nuovo molto sola.

Succedeva di continuo che i pastori le mettessero le mani sulla fronte per scacciare da lei uno “spirito maligno”. Una volta è stata chiamata all’altare durante una funzione religiosa. Il pastore ha citato alcuni versi della Bibbia, poi le ha urlato contro: “Qui non vogliamo gente come te”.

Ha sofferto molto. Eppure non sembra amareggiata quando parla del suo passato. Ha un carattere sereno, quasi stoico, non le è mai venuto in mente di allontanarsi dalla religione. Ma il fatto di non avere per tanto tempo un luogo in cui professare la sua fede l’ha lasciata con un grande vuoto. Un vuoto che ha quasi rischiato di distruggerla.

Poi, un giorno del luglio 2013, la sua vita è di nuovo cambiata radicalmente. In quel periodo Chanel gestiva una piccola parruccheria. Un cliente è entrato, si sono conosciuti e hanno cominciato a parlare. Lui le ha raccontato di essere un pastore gay, e l’ha invitata a una funzione. Dopo il lavoro, Chanel è salita su un autobus diretto alla periferia di São Paulo. Quando è arrivata alla chiesa non credeva ai suoi occhi: luce calda, bandiere arcobaleno, uomini dai capelli colorati. Era una delle prime chiese aperte a tutte del paese. “Non riuscivo a smettere di piangere”, ricorda. “Ho pensato: ‘Finalmente ho trovato un posto per me’”.

Le principali chiese pentecostali restano conservatrici, ma il mondo evangelico è molto vario. Non ci sono solo i fondamentalisti che predicano odio. Non sappiamo ancora quante sono, ma in molte città sono nate chiese inclusive. A un certo punto però Chanel ha sentito il bisogno di cambiare di nuovo, perché in quella comunità era l’unica transgender. E anche lì sentiva il peso dei pregiudizi: “Le persone trans sono una minoranza nella minoranza”.

Così ha fondato la prima chiesa per persone transgender del Brasile: Ministério Séforas, il ministero di Sefora. Il nome viene da una figura biblica, la moglie di Mosè. Oggi la piccola congregazione è affiliata al ramo brasiliano della Metropolitan community church, una chiesa fondata nel 1968 a Los Angeles, negli Stati Uniti, dal pastore gay Troy Perry. L’amministrazione comunale li sostiene, dice Chanel, ma dipendono ancora dalle donazioni. E non hanno un edificio tutto per loro, quindi le funzioni si svolgono negli appartamenti dei fedeli.

Chanel vive in una casa occupata in un quartiere a nord di São Paulo. Il blocco di cemento costruito a metà si vede anche da lontano. Doveva essere un hotel di lusso, ma il proprietario è andato in bancarotta durante i lavori. L’edificio di quindici piani è rimasto vuoto per anni prima che ci si trasferissero delle famiglie povere. Alcuni bambini giocano a calcio lì davanti, si sente un miscuglio di francese e creolo. La maggior parte delle persone viene da Haiti e da paesi africani.

Varcato l’ingresso c’è un corridoio buio al piano terra. Alcuni secchi di plastica raccolgono l’acqua che gocciola dal soffitto, dei cavi pendono dalle pareti. Dietro una pesante porta di legno, Chanel vive in una grande stanza disordinata. Mancano parti del soffitto, e le mosche della frutta ronzano dovunque. C’è una consolle da trucco in un angolo, sul letto delle parrucche e una Bibbia.

Chanel racconta di aver dovuto sopportare molti commenti terribili. Le hanno detto che non è una vera cristiana, che la sua chiesa è opera di Satana. Lei risponde che anche Gesù stava ai margini della società. Secondo lei sono i “fondamentalisti” a tradire la Bibbia: “Dicono di voler predicare la parola di Dio, ma diffondono l’odio”.

Gli altri l’hanno accettata solo quando l’hanno vista all’opera. Chanel apre la porta della stanza accanto. In una trasandata cucina industriale prepara da mangiare una volta alla settimana. Poi distribuisce pasti a chi ne ha bisogno. A volte qualcuno della chiesa l’aiuta, ma spesso è sola. “Anche questa per me è religione”, dice mentre getta le patate tagliate in una pentola. “Vogliamo mettere in pratica il Vangelo”.

Aspettativa di vita bassa

Secondo Chanel molte delle grandi chiese evangeliche sfruttano spudoratamente i fedeli, mentre la sua segue una “teologia inclusiva”. Vuole essere vicina agli ultimi, alle persone dimenticate. A São Paulo questo significa assistere soprattutto i senzatetto. Nessuno sa esattamente quante persone vivano per strada nella più grande metropoli dell’emisfero australe. Decine di migliaia, secondo le stime.

Dopo una serie di scandali per corruzione e una grave crisi politica, nel 2014 il Brasile è scivolato in una recessione economica da cui non si è mai veramente ripreso. Poi la pandemia ha peggiorato la situazione. Tante famiglie vivono nelle tendopoli o per strada. Secondo gli studi, 33 milioni di brasiliani fanno fatica a procurarsi da mangiare.

È scesa la sera a São Paulo. Siamo vicino alla cattedrale metropolitana, nel centro storico della città. A bordo di un furgone Chanel distribuisce il passato di verdure che ha cucinato qualche ora prima. In pochi minuti si forma una lunga coda. Alcuni sembrano trovarsi qui per la prima volta, altri hanno l’aria di aver vissuto tutta la vita per strada.

La maggior parte delle persone prende la zuppa, mormora un secco obrigado (grazie) e se ne va. Non c’è quasi tempo per pregare. Ma non è quella la priorità, dice Chanel. “La cosa più importante è che queste persone abbiano qualcosa nello stomaco”.

Tra i senzatetto ci sono anche molti trans. Sono discriminati due volte: per la loro identità e in genere perché vivono per strada. Chanel spiega che molte di queste meninas, ragazze, hanno messo a malapena piede in un’aula scolastica e non hanno nessuna possibilità di trovare un lavoro.

Il lavoro sessuale è spesso l’unica fonte di guadagno. In poche riescono a sfuggire al circolo vizioso fatto di esclusione, povertà e vita di strada. Secondo l’organizzazione Associação nacional de travestis e transexuais, in Brasile l’aspettativa di vita media delle persone trans è di circa 35 anni. Il paese più grande dell’America Latina è anche il primo nelle classifiche della violenza omofobica e transfobica. Nel 2021 sono state assassinate 140 persone trans.

In Brasile ci sono pochi posti in cui le persone trans si sentono veramente al sicuro. Tra questi c’è Casa Florescer, un’organizzazione fondata nel 2016 per accogliere i senzatetto trans di tutta l’America Latina. Alcune donne ci rimangono per mesi, altre solo pochi giorni. Ci sono psicologi e assistenti sociali, la struttura è sorvegliata 24 ore su 24.

Chanel organizza una funzione qui una volta al mese. L’accompagno per una messa pochi giorni dopo la distribuzione del passato di verdure alla cattedrale. Il grande soggiorno è pieno. Alcune donne si uniscono alle preghiere con fervore, altre se ne vanno nelle altre stanze.

Karla Yorhana, 25 anni, unghie lunghe e capelli alla Shakira, è seduta su un divano. Dondola al ritmo della musica gospel. Come Chanel, viene dal nord del Brasile. Sua madre, una sacerdote evangelica, non accetta di avere una figlia transgender. Ha provato più volte a “guarirla”.

Ufficialmente le cosiddette terapie di conversione – l’idea che l’omosessualità sia una patologia e possa quindi essere curata – sono vietate in Brasile, ma alcune chiese praticano esorcismi, spesso camuffati da “gruppi di aiuto” per i ragazzi.

Tre anni fa Yorhana è venuta a São Paulo per operarsi e cambiare sesso. Ma costava troppo, così ha cominciato a prostituirsi. Guadagnava abbastanza bene, poi si è messa a fumare crack e le cose sono precipitate. È finita per strada, si è ammalata. “Ho perso tutto”, dice fuori da Casa Florescer, mentre fuma una sigaretta.

La storia di Yorhana è simile a quella di molte delle donne di questa struttura. Non è particolarmente religiosa, dice. Tuttavia, pensa che quello che fa Chanel sia buono: “Il mio trauma riguarda mia madre, non la chiesa”.

La fede è politica

In un paese con molti credenti, la religione è spesso alla radice di emarginazione e odio. Ma offre anche un sostegno e una casa a molte persone. Secondo un sondaggio recente fatto al Pride di São Paulo, il 40 per cento dei partecipanti ha dichiarato di essere cristiano. Come in Europa e negli Stati Uniti, in tanti paesi dell’America Latina la religione si sta politicizzando.

La situazione è peggiorata durante la presidenza di Jair Bolsonaro, che si presentava come un difensore della famiglia tradizionale. Una volta ha detto che avrebbe preferito un figlio morto a un figlio gay. Le chiese pentecostali hanno apprezzato la dichiarazione.

Secondo alcuni Bolsonaro era addirittura un rappresentante terreno di Gesù. Quando è stato accoltellato da un uomo con problemi psichiatrici ed è sopravvissuto, durante la campagna elettorale del 2018, per molti fedeli evangelici è stata la prova che fosse mandato dal cielo. Nelle elezioni presidenziali dell’autunno 2022 le principali chiese pentecostali hanno sostenuto Bolsonaro.

Ma non è bastato. Il primo gennaio 2023 Luiz Inácio Lula da Silva ha giurato a Brasília da nuovo presidente del Brasile. Jacque Chanel ha affrontato il viaggio solo per assistere di persona alla cerimonia. ◆ nv

Biografia

1964 Nasce a Belém, nel nord del Brasile.

1977 La madre la porta da un pastore evangelico per “guarirla” dalla sua omosessualità. Vivrà in quella chiesa fino ai diciannove anni.

Anni ottanta Si trasferisce a São Paulo, dove frequenta varie chiese evangeliche.

2013 Comincia a frequentare una congregazione gestita da un pastore gay. Dopo qualche anno fonda la prima chiesa per persone transgender del Brasile.


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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati