Nella guerra contro la Russia, l’Ucraina ha bisogno di alleati forti. E in questo momento solo l’occidente, di cui abbiamo spesso criticato ogni decisione, può esserlo. Negli ultimi giorni una serie di eventi ha mostrato che l’atteggiamento occidentale nei confronti di Mosca è cambiato: prima il vertice organizzato il 26 aprile dagli Stati Uniti a Ramstein, in Germania, a cui hanno partecipato più di quaranta paesi; poi la decisione del presidente statunitense Joe Biden di chiedere al congresso di stanziare 33 miliardi di dollari all’Ucraina (di cui venti per il sostegno militare); infine, la decisione della Germania di mandare armi pesanti all’Ucraina.

Ma la questione fondamentale è un altra. L’occidente ha superato il punto di non ritorno, e lo ha fatto in blocco. Questa è una delle “sorprese” più spiacevoli per il Cremlino: le innumerevoli discussioni hanno portato a decisioni concrete per aiutare gli ucraini. Non si vedeva da anni un tale livello di collaborazione tra gli Stati Uniti e i paesi europei.

La maggior parte dei politici e degli esperti occidentali non credeva a un’invasione russa su vasta scala, e non si aspettava neanche che gli ucraini riuscissero a resistere come hanno fatto. Lo shock del conflitto li ha portati ad adottare e poi a inasprire sanzioni senza precedenti contro la Russia. E poi l’ottimismo per la situazione sul campo ha generato un’ondata di fiducia nei confronti degli ucraini, che ha sbloccato le forniture di armi. Ma questa è solo una parte dei processi avviati dall’aggressione russa in Ucraina.

Aprire gli occhi

L’occidente si era ormai abituato al fatto che Mosca usasse il prezzo del gas per raggiungere obiettivi politici e vedeva le truppe russe schierate ai confini con l’Ucraina solo come l’ennesima forma di ricatto. Inoltre i commentatori e gli esperti europei e statunitensi consideravano poco probabile un’azione militare russa. In altre parole, questa crisi era diventata una questione politica come altre. L’importante era prevenire un ulteriore aumento delle tensioni e tenere la situazione sotto controllo, ritardando il momento in cui si sarebbe dovuta trovare una soluzione al problema. Gli occidentali si aspettavano che Putin stesse al gioco, sicuri di avere a che fare con “un leader forte e ragionevole”. Quando gli ucraini cercavano di spiegare che per Mosca non ci sono limiti invalicabili – né politici né psicologici – gli occidentali rispondevano con scetticismo. L’invasione dell’Ucraina ha mostrato che questa strategia – evitare l’escalation – non funzionava più. Che sarebbe potuto succedere di tutto e che quindi bisognava difendere invece di limitarsi a contenere. Questa nuova consapevolezza si è diffusa in gran parte del mondo occidentale.

La guerra ha mostrato che Stati Uniti ed Europa avevano una scarsa comprensione del regime di Putin. Negli ultimi anni gli studi sulla Russia sono stati ridotti quasi al minimo, la “cremlinologia” è passata di moda. Si è cercato di capire il paese usando la chiave di lettura della razionalità, condita qua e là con elementi della “misteriosa anima russa” e, talvolta, della “grande cultura”. Un modo banale ma comodo per evitare di mettersi troppo in gioco. Il fatto che la grande maggioranza della popolazione russa sia favorevole alla guerra ha sorpreso gli occidentali; le atrocità commesse dall’esercito di Mosca sono state una rivelazione.

L’Ucraina sarà al centro delle priorità finché riuscirà a indebolire Mosca

La maggior parte degli europei credeva che la Russia fosse “Europa”, anche se in una versione imperfetta. Purtroppo molti di loro continuano a pensarla così, ma si sono messi in moto cambiamenti importanti: si comincia a capire che la Russia è volutamente ostile al mondo occidentale, e che l’occidente non sta combattendo contro Putin ma contro il regime russo. Essendo in guerra con la Russia da otto anni, molti ucraini commettono l’errore di sopravvalutare l’attenzione che i politici occidentali prestano a Mosca e il loro desiderio di capirla e di costruire una strategia efficace per contrastarla.

Quello che succede in Russia non influisce molto sulla vita delle persone che vivono nei paesi occidentali, a eccezione, naturalmente, delle forniture energetiche: questo pensava Putin quando ha lanciato l’invasione. Ora la convinzione, forte già ai tempi dell’Unione Sovietica, che la Russia e l’Europa siano interdipendenti, si sta sgretolando davanti ai nostri occhi. Anche in Germania, dove molte persone hanno capito che a beneficiare di questo legame è solo la Russia, ottiene grandi guadagni economici senza subire pressioni.

In Europa e in altri paesi si sta sgretolando anche il rispetto per i russi. L’esercito di Mosca ha dimostrato di essere una schiera di assassini, predoni e stupratori. Non si tratta di eccessi ma della “normalità”. Quando pensano alla Russia, oggi molti occidentali non ricordano i balletti di Čaikovskij ma i crimini di Buča. L’immagine del regime è stata irrimediabilmente danneggiata e non potrà più essere riparata, a meno che non sia ricostruita da zero.

La reazione del Cremlino

Anche se molto lentamente, l’occidente comincia a rendersi conto che l’invasione non ha niente a che fare con la sicurezza nazionale e nemmeno con l’espansione della Nato. Putin non crede a nessuna garanzia, conosce troppo bene la geopolitica. È consapevole anche del fatto che accordarsi sulla neutralità dell’Ucraina sarebbe solo un modo per formalizzare la situazione attuale, che potrebbe essere modificata in qualsiasi momento. In Russia sia la classe dirigente sia i cittadini sono convinti che l’Ucraina non debba esistere: credono che gli appartenga, che gli sia stata “rubata” e che, come ha detto Putin, voglia trasformarsi in “un’anti-Russia”.

Irpin, Ucraina, 3 maggio 2022 (The New York Times/Contrasto)

L’esistenza stessa dell’Ucraina è una minaccia alla sopravvivenza del regime. Accettare che gli ucraini possano avere un loro apparato statale, una loro storia, una lingua, una cultura propria, distrugge l’intero sistema di pseudovalori russi, l’idea del “legame” tra i due paesi. L’unico compromesso che il regime russo può accettare è chiudere l’Ucraina nella propria zona d’influenza, privarla della capacità di prendere decisioni sul suo futuro e creare un protettorato. Ha ripetuto più volte che il ritorno dell’Ucraina sotto l’esclusiva influenza russa è “una questione di sovranità”. Non di sicurezza nazionale ma di “sovranità”. La richiesta d’impedire all’Ucraina di entrare nella Nato è solo una messinscena che nasconde i veri obiettivi di Mosca. Il fatto che l’occidente, non solo gli Stati Uniti, abbia preso coscienza di tutto questo è anche il risultato degli eventi nelle ultime settimane.

Gli occidentali si sono svegliati e hanno capito che in ballo c’è anche il loro futuro. Si chiedono se il loro mondo continuerà a esistere, anche considerando la competizione sempre più forte con la Cina. Ma qui c’è una differenza fondamentale. La Cina è parte integrante dell’economia globale. Due centri di gravità – quello occidentale e quello asiatico – possono competere in una condizione di interdipendenza.

Ma nei confronti della Russia l’occidente ha deciso di cambiare radicalmente strategia. Consentire a un regime revanscista e imprevedibile (la Cina è più prevedibile della Russia, avendo un sistema decisionale più solido) di vincere questa guerra significherebbe distruggere l’immagine dell’occidente e dare un vantaggio futuro a Pechino. Ecco perché la strategia è cambiata, passando dal “contenimento” all’“isolamento e indebolimento”. Per Mosca non sarà facile reagire, perché l’occidente non sembra più troppo preoccupato delle minacce nucleari del Cremlino.

Liberi dalla corruzione

In senso più ampio, la guerra consentirà all’occidente di riorganizzarsi. In primo luogo, ha trovato una nuova unità. I paesi occidentali sono di nuovo in grado di prendere insieme delle decisioni, anche difficili. Il livello di coordinamento è senza precedenti. Si è tornata a vedere una leadership, non solo statunitense. All’inizio della guerra l’amministrazione Biden era decisa ad aiutare l’Ucraina, ma non aveva chiarito quali fossero gli obiettivi da raggiungere. Si parlava dell’organizzazione della resistenza armata, per impedire a Putin di distruggere l’Ucraina e non lasciarlo vincere. Ma di recente queste discussioni hanno portato a un consenso su quello che dev’essere l’obiettivo finale: la vittoria dell’Ucraina. Il nuovo grado di collaborazione è un segnale per tutti, anche per la Cina. L’occidente ha cominciato a vivere nel ventunesimo secolo e ad agire di conseguenza. Ha dimostrato di essere pronto a raggiungere i suoi scopi, anche se per riuscirci dovrà sacrificare qualcosa.

Un altro elemento importante è che la guerra offre all’Europa l’opportunità di liberarsi dalla dipendenza dalle fonti energetiche russe e di accelerare la transizione verde. L’idea che comprare gas dalla Russia potesse garantire la sicurezza del continente non è più valida. Questo produce almeno due conseguenze: la crisi dell’economia russa e il fatto che Mosca non potrebbe usare l’arma della dipendenza energetica in un futuro confronto con la Cina, diventando tra l’altro un partner commerciale molto meno interessante per Pechino. Per il mondo occidentale la rinuncia al gas e al petrolio russi sarà dolorosa, ma ce la farà. Anzi, partirà da questa scelta per costruire un nuovo modello energetico.

Ultime notizie
Nessuna svolta nel Donbass

Più di un mese dopo aver messo fine all’offensiva su Kiev e aver annunciato di volersi concentrare sull’est e sul sud dell’Ucraina, le forze armate russe non hanno ancora ottenuto risultati significativi sul campo, nonostante l’impiego di nuovi contingenti e l’uso sempre più intenso dell’artiglieria. Sul fronte del Donbass i russi sono riusciti a conquistare alcune posizioni, ma al prezzo di pesanti perdite, mentre intorno a Charkiv l’esercito ucraino è passato all’offensiva e ha liberato diversi centri abitati. La Russia sta cercando di rallentare l’arrivo al fronte degli armamenti pesanti forniti dai paesi della Nato, bombardando le infrastrutture di trasporto ucraine e i presunti siti di stoccaggio. Per risolvere lo stallo, il capo delle forze armate Valerij Gerasimov sarebbe stato incaricato di gestire l’offensiva nel Donbass. Nel frattempo Mosca punta a consolidare il controllo sulle aree occupate: nella regione di Cherson le autorità russe hanno imposto l’uso del rublo e starebbero organizzando un referendum sull’indipendenza da Kiev.

La mancanza di risultati concreti da esibire alla parata militare del 9 maggio, anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale, rischia di essere un problema per il presidente russo Vladimir Putin, che secondo i servizi segreti occidentali potrebbe usare l’evento per annunciare l’annessione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk o addirittura dichiarare formalmente guerra all’Ucraina, un’ipotesi poi esplicitamente smentita dal Cremlino. Un altro obiettivo politico potrebbe essere la completa conquista di Mariupol, dove circa duemila soldati ucraini e miliziani ultranazionalisti del battaglione Azov restano asserragliati nei sotterranei dell’acciaieria Azovstal insieme a centinaia di civili. Il 2 maggio un tentativo di evacuazione organizzato dalle Nazioni Unite e dalla Croce rossa è riuscito a portare in salvo circa 150 persone. Due giorni dopo le forze russe hanno lanciato un nuovo assalto contro l’acciaieria. Reuters


Bisogna poi considerare che la politica delle sanzioni coordinate ha mostrato il vero peso dei vari stati nell’economia globale. Se gli occidentali sono in grado di applicare sanzioni dure nonostante la loro dipendenza energetica da Mosca, cosa possono aspettarsi gli altri paesi che si “comporteranno male”?

Infine, l’occidente ha un’opportunità unica per liberarsi della pericolosa corruzione russa, che è diventata una malattia virale. Economia sommersa, politici e giornalisti corrotti, agenti stranieri: tutto questo rappresenta una minaccia per le società occidentali. È il momento giusto per sottrarsi ai condizionamenti del regime russo, e per mostrare che l’occidente non permetterà più la penetrazione di influenze simili.

Noi ucraini dobbiamo sfruttare questo cambiamento di strategia dell’occidente, l’umore dell’opinione pubblica, la particolare solidarietà nei nostri confronti. Perché l’obiettivo è integrarci pienamente nel mondo occidentale. Ma si tratta di un percorso non scontato. Se ci muovessimo in modo titubante, i nostri alleati potrebbero essere tentati di rimandare la nostra integrazione a un futuro indeterminato.

L’Ucraina sarà al centro delle priorità finché riuscirà a indebolire il regime russo, ma questo processo potrebbe finire molto presto con imprevisti cambi di scenario. È un momento critico per la nostra sicurezza, ma potrebbe ridarci le opportunità che abbiamo perso. Noi, insieme all’occidente, dobbiamo affrontare la Russia avendo in mente la famosa frase del cancelliere tedesco Otto von Bis­marck: “La guerra preventiva è come suicidarsi per paura della morte”. Ma abbiamo anche un secondo, non meno importante, compito: fare dell’Ucraina una storia di successo.

Questa guerra ha dimostrato che dipendiamo in modo decisivo dal sostegno degli alleati, ma ha generato una situazione unica in cui anche gli alleati dipendono in modo decisivo da noi. Dobbiamo approfittarne: o ora, o mai più. ◆ ab

Pavlo Klimkin è un politico e diplomatico ucraino. È stato ministro degli esteri tra il 2014 e il 2019.

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Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati