In passato, un elemento fondamentale della vita coreana era il bansanghoe, la riunione mensile delle famiglie del vicinato. Tutti aprivano a turno le loro case per ospitare l’incontro, che si svolgeva dopo cena. Le donne sposate (i mariti in queste occasioni non si facevano vedere quasi mai) si radunavano in salotto e discutevano i problemi della comunità mangiando frutta e gnocchi di riso. In realtà era anche un’occasione per spettegolare e vedere come vivevano gli altri e cosa possedevano.
Mia madre ha sempre odiato quando arrivava il nostro turno. Le vicine facevano commenti su com’era fuori moda il nostro arredamento, ci chiedevano perché non avessimo eleganti piatti di porcellana europea, “come fa la moglie di un dottore a vivere così” e via discorrendo. A un certo punto ne ebbe abbastanza e si rifiutò di ospitare altre riunioni, anche se significava pagare una multa all’associazione dei residenti.
Negli ultimi anni le cose sono molto cambiate. Il bansanghoe non si fa più ed è stato rimpiazzato dai forum online. Perfino i parenti hanno cominciato a preferire alla tradizionale ospitalità dei pranzi familiari di chuseok e seolnal – le due grandi festività dell’anno – la comodità di mangiare fuori. L’occasione per vedere la vita degli altri e mostrare la nostra, nel bene e nel male, sembrava definitivamente svanita.
Poi sono arrivati i social network. Oggi non c’è bisogno di essere invitati a casa di qualcuno per vedere come vive. Basta cercare jipseutageuraem, una combinazione di jip (“casa” in coreano) e Instagram, su… be’, Instagram. Attualmente più di cinque milioni di post offrono scorci di questo mondo privato, accuratamente rinnovato, decorato e messo in mostra perché tutti possano guardarlo online.
Tappeti orientali
Durante la mia infanzia, negli anni ottanta, una famiglia del ceto medio nella migliore delle ipotesi poteva distinguersi sfoggiando oggetti di valore modesto. Per un po’ furono in voga i tappeti orientali tessuti a macchina. Anche le vetrine piene di gingilli di porcellana o di cristallo provenienti dall’estero erano molto ammirate, perché facevano intuire rapporti con il mondo esterno quando i coreani subivano ancora restrizioni ai viaggi (fino al 1989) e alle importazioni (fino al 1982). Altrimenti ci si accontentava di pietre esteticamente gradevoli montate su appositi supporti di legno. Anche le cassapanche laccate con intarsi di madreperla e le file di vasi di orchidee erano considerati arredi accettabili, anche se un po’ antiquati.
Ora la posta è più alta, e i margini d’errore sono molti ridotti. Non solo una casa deve rispondere alla tendenza generale del momento (attualmente, per quanto ne so, siamo in una fase di transizione tra ‘scandinavo’ e ‘francese moderno’), ma bisogna anche tener conto di influenze cruciali come #midcentury e #planterior (un incrocio tra “piante” e “interni”). In generale l’accumulo di oggetti è disapprovato e lo stile massimalista, oggi di moda in occidente, non ha ancora fatto breccia, ma è importante possedere un certo numero di “elementi” scelti che esprimano il gusto impeccabile dei padroni di casa. Dopotutto, non sono solo i vicini ficcanaso che potrebbero vedere e giudicare l’allestimento. È l’intero pubblico di internet.
Questa nuova passione per gli interni eleganti come bene di consumo di massa è curiosa, considerando che la maggioranza dei coreani parte da una situazione abitativa piuttosto modesta. Metà delle famiglie del paese vive in edifici di calcestruzzo costruiti rispettando determinati criteri, perciò molte case riproducono la stessa struttura. Quasi senza eccezione, a dominare è un’unica grande sala con due lunghe pareti (una a cui va addossato il divano e quella di fronte riservata alla tv), indipendentemente dalle dimensioni dell’appartamento. Se è stata costruita negli ultimi vent’anni, un’abitazione con tre stanze da letto prevede immancabilmente due bagni: uno nella camera padronale e l’altro vicino all’ingresso. È difficile poter fare grandi cambiamenti.
Ma quasi dalla sera alla mattina, la decorazione d’interni è diventata una mania. L’Ikea, il gigante svedese dell’arredamento, è entrata nel mercato coreano nel dicembre 2014 proprio per soddisfare questa domanda. Esattamente nello stesso periodo un’azienda locale, la Moongori.com, ha fatto parlare di sé vendendo prodotti per ristrutturare e decorare la casa direttamente ai consumatori invece che alle imprese edili.
Nel 2015 è andato in onda un programma della tv via cavo, Naebang eui pumgyeok (La lezione della mia stanza), che presentava interni fai-da-te. Anche se è stato trasmesso solo per quattro mesi, il programma ha segnato l’inizio di produzioni tv di alto livello dedicate all’ambiente domestico. Nel 2019 è andato in onda Guhaejwo! homjeu (Dov’è casa mia), con l’idea di aiutare chi era in cerca di una casa nuova. Anche un popolarissimo reality show, Nahobnja sanda (Io vivo da solo), in onda dal 2013, ha progressivamente spostato l’attenzione dallo stile di vita di alcuni celebri personaggi non sposati – lo spunto originale erano le difficoltà dei single in una società che attribuisce grande importanza al matrimonio – alle case in cui vivono (molte sembrano indiscutibilmente costose).
L’ossessione nazionale per le case di lusso (o apparentemente di lusso) è così diffusa che una parte dei mezzi d’informazione ha cominciato a esprimere preoccupazione per l’impatto di questa insistenza, soprattutto quando sono coinvolti personaggi famosi. “Ogni volta che si mostra una casa splendida di una star, la realtà in cui è immersa, si provoca disagio negli spettatori”, ha scritto un giornalista del settimanale Ilyo Sisa nell’estate del 2021. Un opinionista del quotidiano conservatore Chosun Ilbo è stato più netto: “Questa sorta di ‘esibizione da celebrità’ (un’espressione usata dai coreani per indicare la deliberata ostentazione di qualcosa) è oggetto di critiche perché aggrava il senso di privazione provocato dalla disuguaglianza economica”.
Ma resta il fatto che non sono solo le persone famose a sfruttare la loro casa per guadagnare più notorietà. Non dimentichiamo i coreani che hanno pubblicato più di cinque milioni di post su Instagram per mostrare la loro abitazione da ogni angolazione possibile, per non parlare di applicazioni come Oneul eui jip (La casa di oggi) e Jip ggumigi (Decorare la casa), che hanno avuto successo dando spazio a chi voleva esporre il suo appartamento e ricevere attenzione.
Simbolo sociale
Secondo l’agenzia di stampa News Pim “l’interesse per gli interni delle abitazioni è aumentato durante la pandemia, quando le persone si sono trovate a passare la maggior parte del tempo in casa”. E non riguarda solo i coreani, si tratta di un fenomeno globale. La differenza tra i coreani e gli altri può essere nel desiderio dei primi di documentare e diffondere i risultati.
Anche se la Corea non ha mai dovuto sopportare lockdown severi come l’Europa, il virus ha comunque spinto le persone a uscire di meno
Anche se la Corea non ha mai dovuto sopportare lockdown severi come l’Europa, il virus ha comunque spinto la gente a uscire di meno, molti eventi pubblici si sono svolti online ed è diventato più complicato viaggiare all’estero. In un paese che è al secondo posto nel mondo per uso dei social network, se manca il materiale usato di solito per ottenere i like occorre trovare un sostituto.
Poi c’è il fatto che un bel posto dove vivere è diventato molto più prezioso che in passato, sia come bene sia come status symbol, perché i prezzi degli alloggi stanno salendo alle stelle. Pare che alcuni adolescenti abbiano cominciato ad aggiungere ai loro profili Instagram i nomi di condomini di lusso molto noti. Nessuno sa se ci vivono davvero, ma è un segnale dell’importanza della casa come simbolo sociale. Per chi non può vantare indirizzi così prestigiosi, l’alternativa è decorare al meglio gli ambienti e cercare l’approvazione sui social network e nelle app dedicate alle case. Mi fa rimpiangere i tempi più semplici, quando bastavano pochi piatti di porcellana europea e mobili appena decenti per renderci rispettabili agli occhi degli altri coreani. ◆ gc
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati