Vincent van Gogh morì il 29 luglio 1890, a 37 anni. Un giorno e mezzo prima si era sparato al petto. Al suo capezzale, a Auvers-sur-Oise, in Provenza, c’era il fratello Theo. Probabilmente senza di lui, che il pittore amava sopra ogni altra persona, e che era il suo amico, il suo consigliere, il suo primo ammiratore, il consolatore e soprattutto il mecenate, van Gogh non avrebbe potuto creare ciò che ha creato. Tutti lo sanno.

Quello che non si sa è come continua la storia e quanto altri familiari abbiano contribuito a creare il fenomeno van Gogh. Theo faceva il mercante d’arte a Parigi e sopravvisse solo per pochi mesi a Vincent, maggiore di quattro anni. Fu la moglie di Theo, Johanna “Jo” van Gogh-Bonger, a consentire al cognato di raggiungere, da morto, il successo commerciale che gli era sempre sfuggito.

Tesori di famiglia

Il paziente lavoro di Jo contribuì in misura decisiva a trasformare van Gogh in un artista ammirato in tutto il mondo. Il figlio di Jo e nipote di Vincent, Vincent Willem, riuscì a conservare l’enorme collezione delle opere dello zio, oggi al Museo van Gogh di Amsterdam: circa un quarto degli 860 dipinti noti, più seicento disegni e quasi tutte le sue ottocento lettere. Senza contare molte opere di pittori a lui contemporanei, raccolte dai fratelli van Gogh. Il 2 giugno, con una serie d’iniziative straordinarie, sono stati celebrati i cinquant’anni dall’inaugurazione del museo e anche il ruolo della famiglia van Gogh, ancora oggi molto legata al museo e alla collezione. Legame che Willem van Gogh e Janne Heling, due dei suoi discendenti, hanno tenuto a ribadire.

“La storia dell’artista, della collezione, della famiglia e del museo è una storia condivisa: è tutto legato”, dice Willem. “È una benedizione che sia andata così”, commenta Janne.

È una storia piena di coincidenze fortunate ma soprattutto di decisioni sagge. Vincent van Gogh consegnava tutto ciò che dipingeva al fratello Theo, che provvedeva al suo mantenimento. Dopo la morte di Theo l’intera raccolta rimase alla sua vedova, Jo, sposata due anni prima. Jo aveva 28 anni, insegnava inglese e sapeva poco di arte; ma da subito si diede una missione. Theo le aveva affidato due incarichi: occuparsi del figlio e “dell’opera di Vincent, che va vista e apprezzata il più possibile”. Nella biografia di Jo, Alles voor Vincent _(Tutto per Vincent_), Hans Luijten la descrive come una donna energica e abile.

Theo van Gogh, 1889 (Woodbury & Page, Alamy)

“In poco tempo, le capacità di Jo conoscono una specie di esplosione”, racconta Willem van Gogh. “Di colpo c’è una donna che sa quello che vuole”. In modo mirato, infatti, Jo cominciò a vendere dipinti di van Gogh a musei e collezionisti, soprattutto in Germania. Organizzò esposizioni e pubblicò tutte le lettere che Theo e Vincent si scrivevano, una chiave importante per capire l’arte del pittore.

Jo morì nel 1925 e suo figlio ereditò la collezione, ancora considerevole, che comprendeva dipinti come I girasoli e Ramo di mandorlo in fiore, che van Gogh aveva dipinto per il nipote. Vincent Willem, un ingegnere, nel 1931 prestò metà della collezione allo Stedelijk museum di Amsterdam, tenendo in casa il resto. I dipinti sopravvissero alla seconda guerra mondiale in un bunker situato sulla costa olandese. In seguito Vincent Willem si dedicò esclusivamente all’arte dello zio. Condivideva l’ideale artistico di sua madre, d’ispirazione socialdemocratica: i quadri di Vincent dovevano essere visti dal maggior numero possibile di persone.

Presto, però, si trovò di fronte a una decisione difficile. Il valore della collezione era salito alle stelle, ma lasciandola in eredità ai tre figli una parte si sarebbe dovuta vendere per pagare le tasse di successione.

Ramo di mandorlo in fiore (DeAgostini/Getty)

Così, nel 1962 Vincent Willem chiuse un accordo con il governo olandese: tutte le opere in suo possesso finirono in una fondazione e in cambio il governo costruì un museo dedicato. L’edificio fu inaugurato nel 1973, tra le proteste della scena artistica del tempo, che lo definì con disprezzo “un mausoleo”.

A oggi il museo è stato visitato da più di 53 milioni di persone e si è anche affermato come centro di ricerca. La fondazione è presieduta da Janne Heling e ha un consiglio d’amministrazione composto da quattro persone: i rappresentanti dei tre rami della famiglia, più un delegato del ministero della cultura. Le decisioni sulla gestione della collezione, come per esempio il prestito delle opere, sono prese collegialmente. L’ingegnere morì nel 1978; aveva deciso d’investire tutto il ricavato della vendita dei souvenir, tra cui i poster con I girasoli e le tazze con il Ramo di mandorlo in fiore, per comprare dipinti, disegni e lettere.

Patrimonio a due passi

Ai van Gogh è stata risparmiata la sorte della famiglia Picasso, in cui tutti litigavano sempre. Willem van Gogh lo spiega entusiasta: suo nonno ha “risolto tutto brillantemente”, anche se gli eredi erano stati privati di una fortuna che oggi ammonterebbe a miliardi di euro, mentre crescevano con i van Gogh originali sotto gli occhi. L’ingegnere faceva infatti girare i quadri tra le famiglie dei suoi figli. “La domenica”, racconta Willem, “andavamo a casa del nonno. I miei genitori gli riportavano un quadro e in cambio potevano sceglierne un altro dal suo armadio. Ogni volta tornavamo a casa con un quadro diverso avvolto in una coperta”.

“La gente ci chiede spesso se non ci dispiace che la collezione non sia più nostra”, dice Willem, che ha lavorato come avvocato. “La risposta è semplice: le cose sono andate in un altro modo”. Ricorda che una volta chiese a suo padre, che da bambino aveva il _Ramo di mandorlo in fiore _appeso nella sua cameretta, cosa provasse per la perdita di quell’eredità. “Mi ha risposto: ‘Ma i quadri non erano miei! A me sembra che sia stata una buona decisione’”. Willem si consola dicendo: “Viviamo a due passi da un patrimonio culturale dell’umanità”.

Nei Paesi Bassi il cognome van Gogh è speciale. Qualcuno ne parla come una specie di seconda famiglia reale olandese. Janne, che per guadagnarsi da vivere fa la giornalista freelance e scrive per due quotidiani, risponde con una risata: “A noi non serve la scorta: mica abitiamo in un castello!”. Tutti i discendenti del pittore possono decidere liberamente se far parte della fondazione. “Possono scegliere. Per la famiglia reale è diverso”.

Se la famiglia perdesse interesse per la fondazione, sarebbe sciolta e tutto passerebbe allo stato. Ma non succederà, dice Willem van Gogh. “La collezione deve restare intatta”. A Detroit, negli Stati Uniti, nel 2013 si è pensato di vendere un van Gogh per sistemare il bilancio del comune. “Da noi una cosa del genere non succederà mai”. ◆ ma

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati