La Mediaset ha salutato il suo fondatore, Silvio Berlusconi, con una scelta alquanto bizzarra: ha cancellato dai suoi canali tutti gli spot programmati per la giornata, a vantaggio di speciali sulle sue biografie. Bizzarra perché dal lontano 1961, anno in cui ricevette il premio Gianni Manzoni per una tesi dal titolo “Il contratto di pubblicità per inserzione”, il Cavaliere ha fatto degli spot e della loro deregolamentazione l’arte di una vita e il fondamento di un impero televisivo. La sua eccellenza imprenditoriale avrebbe meritato quei blob per pubblivori della Rai3 di Guglielmi, montaggi notturni di réclame da tutto il mondo che si distinguevano per creatività e spregiudicatezza. Sospendere il rito commerciale non solo non rende onore alle priorità del compianto ma sembra anche riconoscere che tutti gli azzardi compiuti in vita per celebrare e monopolizzare il mercato delle pubblicità televisive, scomodando politica e parlamento, non meritano la prima fila. Come se la morte avesse improvvisamente ridotto Berlusconi a comune mortale, a cui destinare silenzio e sobrietà, concetti che lui rifuggiva. Una contraddizione inaccettabile. È come se la Corea del Nord, alla morte del presidente, per un’intera giornata liberalizzasse le speculazioni immobiliari, o il Vaticano sparasse Gloria Gaynor a ogni fumata nera. Certe cose non si fanno, soprattutto quando l’estinto non può intervenire per legittimo impedimento. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati