Dopo mesi di voci e congetture, all’annuale Worldwide developers conference del 2023, l’appuntamento in cui la Apple presenta agli sviluppatori i suoi nuovi prodotti, è stato finalmente svelato il Vision Pro, un visore per la realtà aumentata. Nella prima parte dell’evento l’azienda ha mostrato con orgoglio una nuova funzionalità per iPhone e iPad progettata per incoraggiare le persone ad allontanare un po’ gli schermi dal viso e ridurre l’affaticamento degli occhi e il rischio di miopia. Preoccupazioni svanite quando sul palcoscenico (virtuale) è arrivato il Vision Pro con i suoi due schermi collocati davanti agli occhi degli utenti.

Il Vision Pro è scintillante come lo sono i prodotti della Apple, ma sembra anche un po’ ridicolo. L’azienda immagina che lo indosseremo per tutto il giorno e che interagiremo con gli altri come se non avessimo un grosso apparecchio sulla testa che a volte lascia apparire in modo inquietante i nostri occhi. Questa funzione è stata progettata per dimostrare che il visore non è fatto per isolare, ma è solo uno strumento hardware per la “realtà aumentata”. Immagino che ci siano persone a cui interessa la distinzione tra realtà aumentata e realtà virtuale, ma seguendo la presentazione ho concluso che le differenze sono poche.

Se è questa la direzione in cui andrà l’informatica nei prossimi dieci anni, ci aspetta un futuro ancora più cupo di quello che la Silicon valley ci ha prospettato finora

La Apple ha mostrato molti possibili usi del Vision Pro: per lavorare da casa, fuori o in ufficio, per guardare un film o isolarsi dagli altri passeggeri in aereo. L’azienda ha citato anche i videogiochi, ma non ci si è soffermata più di tanto. Ha insistito sul lavoro e sul fatto che dovrebbe essere normale indossare un visore per tutto il giorno.

Si può capire l’enfasi sul lavoro, soprattutto guardando al prezzo del prodotto. Ma, se è questa la direzione in cui andrà l’informatica nei prossimi dieci anni, ci aspetta un futuro ancora più cupo di quello che la Silicon valley ci ha prospettato finora.

Durante la pandemia ci siamo fatti un’idea piuttosto chiara degli incentivi che ha avuto l’industria del settore. Dopo che tanti di noi si sono ritrovati chiusi in casa per proteggersi dal covid-19, le aziende tecnologiche hanno visto aumentare i profitti perché passavamo molto più tempo davanti a un computer, un tablet o un telefono. Imprese già gigantesche sono cresciute ancora, grazie al fatto che noi eravamo isolati gli uni dagli altri. Per questo ci hanno incoraggiato a passare più tempo possibile di fronte a uno schermo.

La saga del metaverso inaugurata da Mark Zuc­kerberg (il fondatore di Facebook) nell’ottobre 2021 era un modo nuovo per creare ambienti virtuali in cui non solo le persone potevano interagire, ma dove era anche più facile controllare le loro attività. La pandemia ha determinato una maggiore diffusione del lavoro da remoto, e insieme la creazione di altri software di sorveglianza progettati per tracciare i dipendenti. Anche la Microsoft ha spinto molto in questa direzione, lanciando una serie di funzionalità “da metaverso” dei suoi servizi.

Zuckerberg però ha intravisto anche un’altra opportunità: quella di trasformare il metaverso in realtà e modellarlo su una piattaforma di proprietà della Meta (la casa madre di Facebook), che sarebbe diventata lo standard e avrebbe generato enormi profitti. Il tentativo non era solo di occupare le posizioni dominanti di concorrenti come la Apple, ma anche di convincere le persone a indossare i visori, per mostrargli pubblicità propinate dalla stessa Meta.

Quel sogno è svanito quando l’attenzione per il metaverso è calata e il settore si è spostato verso la bolla dell’intelligenza artificiale. Ma le aziende tecnologiche non sono disposte ad arrendersi.

È facile immaginare le situazioni in cui il Vision Pro può essere usato in ambienti lavorativi e per le esperienze di gioco. Ma non vedo come possa diventare un prodotto di massa

Per questo ora la Apple sta entrando nel mercato. Se dovesse riuscire dove la Meta ha fallito, aumenterebbe i suoi ricavi da hardware e servizi, mentre il futuro dell’informatica prenderà forma intorno a un prodotto e a un’interfaccia sviluppati dall’azienda di Cupertino. Ma questo non significa che dovremmo accogliere il progetto con favore.

Anche se la Apple si è sforzata di dimostrare che non impedisce alle persone di essere consapevoli del mondo circostante, è evidente che il Vision Pro aumenta l’isolamento già sperimentato da molti a causa della tecnologia digitale. Il Vision Pro ci permette di aprire davanti ai nostri occhi una serie di finestre mentre lavoriamo, ma anche di collocarci in un ambiente virtuale. Certo, il software dovrebbe rilevare la presenza di altre persone nei paraggi, facendole apparire sullo schermo per avvertirci che non siamo soli, ma ci porterebbe inevitabilmente a chiuderci ancora di più dentro le nostre bolle individuali.

Le aziende tecnologiche sono state incentivate a spingere la nostra società verso l’isolamento, una condizione funzionale al loro modello di affari. Nel 2015 Lauren Smiley ha scritto su Medium un saggio premonitore sulla shut-in economy, l’economia della segregazione, centrata sul fatto che i negozi online e le cosiddette gig app (le app per le consegne a domicilio e i servizi di trasporto privato, in genere forniti da lavoratori precari) creano l’aspettativa di poter ricevere tutto a casa invece di dover andare a fare commissioni durante la settimana, permettendoci così di essere più produttivi. Questa condizione però, secondo Smiley, ha anche modificato i rapporti tra le persone: alcune si sono rinchiuse in casa o escono solo per andare al lavoro, mentre altre si sono spostate nella crescente economia dei servizi, in cui aziende come Amazon e Uber sono riuscite non solo a mettere in discussione i diritti dei lavoratori, ma ad ampliare al tempo stesso la sorveglianza digitale e la gestione attraverso gli algoritmi, che rendono i dipendenti ancora più precari.

Ho usato lenti simili per osservare il Vision Pro e, più in generale, questi tentativi di farci lavorare nel metaverso o di vivere sempre con un visore sugli occhi. E ho notato di nuovo una cosa: l’obiettivo è isolarci, in modo che una quantità maggiore d’interazioni avvenga attraverso i prodotti e i servizi delle aziende, e non con persone in carne e ossa.

Il Vision Pro permette agli utenti di separarsi ulteriormente da quello che li circonda e perfino di creare delle “immagini digitali di sé” per le videochiamate, così gli altri parleranno con una versione astratta anziché vedere qualcuno di persona.

Nel corso del tempo abbiamo visto un progressivo restringimento della nostra esperienza di divertimento: da quella collettiva del cinema siamo passati alla televisione in famiglia, fino ai servizi di streaming e delle varie app di video. Ora dovremmo attaccarci degli schermi direttamente al volto per essere sicuri di non condividere la visione con nessun altro. È uno sviluppo preoccupante, che dimostra quanto i dirigenti delle aziende tecnologiche siano sconnessi dalla vita reale.

I leader del settore sono distanti da gran parte dell’opinione publica a causa della loro ricchezza, della loro concezione del mondo e dei loro stili di vita esclusivi, ma sembra che gli manchi del tutto una comprensione della natura sociale degli esseri umani. E, anche se la gente si è mostrata disponibile ad accogliere la loro visione, hanno creato un mondo di persone sempre più insoddisfatte. Incaponirsi in questa direzione non sembra una buona idea.

È chiaro che Tim Cook e gli altri dirigenti della Apple si sono chiesti se sarebbero stati in grado di realizzare un visore, ma non si sono chiesti se avrebbero dovuto farlo. La Apple è stata fondamentale nel diffondere gli smartphone. E, anche se questi oggetti sono praticamente indispensabili, sono anche una tecnologia individualizzante che ci ha resi più connessi a internet ma, possiamo tranquillamente affermarlo, meno connessi agli altri.

È facile immaginare le situazioni in cui il Vision Pro e prodotti simili possono essere usati da una comunità di nicchia in alcuni ambienti lavorativi e per le esperienze di gioco. Ma non vedo come questi dispositivi possano diventare prodotti di massa, a prescindere da quanto le principali aziende tecnologiche lo desiderino. E sono anni che provano a farlo succedere. Sperano che i visori siano il primo passo verso occhiali smart più accettabili. E noi faremmo meglio a impedire che la speranza si avveri.

Se la Apple entra in questo mercato, il rischio è legato alla sua speciale capacità di rendere accettabili i prodotti. In passato, come molti, volevo sempre l’ultima uscita dell’azienda di Cupertino, ma ora non capisco il desiderio di circondarsi di tanta tecnologia digitale.

Visto che il Vision Pro costerà 3.499 dollari (3.252 euro) e che non sarà lanciato prima del 2024, tra l’altro all’inizio solo negli Stati Uniti, abbiamo il potere di farlo fallire. Abbiamo già visto come si possano sgonfiare coprendoli di ridicolo. I casi più recenti sono le criptovalute e il metaverso, ma dieci anni fa successe la stessa cosa con i Google Glass. Alla fine chi li usava era soprannominato Glasshole (stronzo con gli occhiali) e il prodotto diventò un oggetto di ricerca.

In vista del lancio del Vision Pro il prossimo anno per i fan della Apple e gli utenti che possono permettersi di sganciare 3.499 dollari per un prodotto sperimentale, dobbiamo prendere esempio dal passato. E, tutte le volte che vedremo qualcuno con quell’orrenda maschera da sci sul viso, dobbiamo assicurarci di fargli sapere quanto è ridicolo.

Il settore tecnologico vuole convincerci che i suoi prodotti siano inevitabili. Ma dobbiamo capire che le cose non stanno così. E abbiamo il potere di bloccare le tecnologie che non ci servono. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 47. Compra questo numero | Abbonati