Se fossimo trasportati indietro nel tempo di settecento milioni di anni a bordo di un’astronave in orbita intorno al nostro pianeta, vedremmo una sfera di un bianco scintillante. Secondo gli scienziati, infatti, a quel tempo il ghiaccio ricopriva interamente la Terra, dai poli all’equatore. Le temperature erano ben al di sotto dello zero in ogni punto del globo. Nel 1989, quando il geologo Joe Kirschvink coniò l’espressione “palla di neve” per descrivere ciò che indicavano le evidenze geologiche, molti esperti reagirono con incredulità. Non solo sembrava inverosimile a livello intuitivo, ma la durata dell’evento era sconcertante: la Terra rimase ghiacciata per quasi sessanta milioni di anni, e durante il cosiddetto periodo criogenico il fenomeno si ripeté un’altra volta. Ma anche gli scettici più ostinati hanno dovuto arrendersi all’evidenza. La più convincente era la presenza di depositi glaciali a latitudini tropicali, a riprova di un’ampia copertura di ghiaccio estesa fino all’equatore. Gli scienziati hanno inoltre individuato depositi di carbonati – indizio di un rapido riscaldamento successivo alla glaciazione – direttamente sugli strati ghiacciati. I dati paleomagnetici concordano con questi risultati, mentre le variazioni dei rapporti isotopici dello stronzio sono il segno della riduzione del tasso di erosione sotto la copertura glaciale. Eppure mancava ancora una tessera importante del puzzle: perché è successo?

Un gruppo di geologi delle università di Adelaide e Sydney, in Australia, ha appena pubblicato un nuovo studio che potrebbe spiegare con chiarezza la causa. Usando modelli di tettonica delle placche i ricercatori hanno scoperto un drastico calo delle emissioni vulcaniche di anidride carbonica. Secondo loro questo fenomeno, sommato alla concomitante erosione di un vasto strato di rocce vulcaniche in Canada (un processo che rimuove anidride carbonica dall’atmosfera), ha innescato un ciclo di retroazione che ha bloccato il pianeta in una lunghissima era glaciale.

Il gruppo ha riesaminato un modello tettonico che descriveva nel dettaglio l’evoluzione dei continenti e dei bacini oceanici dopo la disintegrazione dell’antico supercontinente Rodinia. Collegando quel modello al calo delle emissioni dei vulcani lungo le dorsali oceaniche, i ricercatori hanno scoperto una correlazione diretta tra l’inizio della glaciazione sturtiana e i bassi livelli di anidride carbonica.

Nicchie di sopravvivenza

Il periodo in questione andava da 717 a 660 milioni di anni fa. In questa fase non esistevano alberi né altre forme di vita complessa. Negli oceani coperti di ghiaccio il freddo, il buio e l’assenza quasi totale di contatti con l’atmosfera condizionarono l’evoluzione della vita marina sopravvissuta. Le forme di vita che superarono quel periodo devono essere state principalmente microbiche, concentrate nelle nicchie in cui esistevano acqua allo stato liquido e sostanze nutritive sufficienti, per esempio intorno ai camini vulcanici o nei punti in cui il calore geotermico riusciva a sciogliere il ghiaccio creando laghi subglaciali.

La glaciazione sturtiana si concluse circa 659 milioni di anni fa con un periodo d’intenso effetto serra durante il quale il pianeta si riscaldò velocemente. Poi però cominciò la glaciazione marinoana, che lo ricoprì di nuovo di ghiaccio. La prima “palla di neve” durò 58 milioni di anni e la seconda tra i cinque e i quindici.

Anche se non spiega perché la seconda fu molto più breve della prima, il nuovo studio rappresenta comunque un importante passo avanti per comprendere una delle epoche più misteriose e strane della Terra. Se altri scienziati avevano già ipotizzato che la riduzione delle emissioni vulcaniche potesse spiegare l’effetto palla di neve, questa è la prima volta che vengono proposte prove tangibili.

Gli autori dello studio credono che il fenomeno potrebbe ripetersi, perché le emissioni vulcaniche tendono a calare. Ma questo scenario si verificherebbe tra centinaia di milioni di anni. Al momento dobbiamo preoccuparci di più del riscaldamento dovuto alle attività umane, che procede molto più rapidamente. ◆ sdf

L’originale di questo articolo è uscito su Zme Science.

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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati