11 novembre 2022 14:28

È la sorella “piccola”, meno conosciuta, meno simbolica, della sua vicina gigante, l’Amazzonia. Ma da 25 anni la foresta del Gran Chaco, il secondo bioma più grande del Sudamerica, viene inesorabilmente dissanguata, fauna e flora indietreggiano di fronte alle coltivazioni di soia o di girasoli o davanti agli allevamenti.

Le apparenze sono talvolta ingannevoli. Lungo le interminabili piste del Chaco, massa forestale di un milione di chilometri quadrati tra Argentina (per il 62 per cento), Paraguay (25 per cento) e Bolivia (11 per cento), distese fitte di tipica vegetazione tropicale secca creano l’illusione di un ecosistema inalterato.

Ma addentrandosi oltre questi margini verdi, lunghe lingue di terra disboscate tradiscono la lenta erosione che continua nel silenzio. In alcuni punti, a perdita d’occhio, giacciono alberi di quebrachos, carrubi sradicati da macchinari e in attesa di essere portati via per fare carbone di legna, tannino, mobili o traversine dei binari ferroviari, per le quali questo legno duro è ricercato.

Qui, nel nordest dell’Argentina, a mille chilometri da Buenos Aires, c’è la “frontiera” agricola. Dove un modello agro esportatore, sempre più cruciale per dei paesi avidi di valuta estera, si scontra con un ecosistema indigeno, le sue specie, le sue etnie. E sta vincendo, a poco a poco.

Agricoltura tecnologica
“Nella provincia del Chaco praticamente tutta la superficie era ricoperta da foreste di diverso tipo”, ricorda l’ingegnera agronoma Inès Aguirre, della Red agroforestal Chaco Argentina. “Fino agli anni novanta solo un settore, a sudest, aveva una zona a prevalenza agricola. Ma non appena è apparsa la ‘combo’ tecnologica della soia geneticamente modificata e della semina diretta, con una lavorazione minima del suolo, il Chaco ha cominciato a essere colonizzato e ‘pamperizzato’”, spiega.

“Pamperizzato” significa trasformato in vaste piane di coltivazioni o pascoli, caratteristiche della pampa argentina. Peraltro soia (30 per cento delle esportazione del paese) e mais ogm, marchi di fabbrica dell’Argentina, hanno la specificità di resistere all’aridità, una “manna dal cielo” per il suolo semiarido del Chaco Seco.

Da allora, il ritmo di deforestazione nelle province è stato di circa quarantamila ettari all’anno, con dei picchi di sessantamila, secondo Aguirre. Le immagini dall’alto offrono l’impressionante spettacolo di vasti rettangoli vuoti accanto a rettangoli di fitta vegetazione. “Non dovrebbe accadere, dato che tutte le forme di deforestazione sono ormai sospese nella provincia” in seguito a una moratoria, spiega Noemi Cruz, del settore Foreste di Greenpeace, mentre indica gli alberi abbattuti e raccoglie un pugno di terra polverosa. Terra sulla quale, senza la protezione degli alberi, “l’acqua scivolerà sulla superficie, ma non si infiltrerà più nel suolo durante la stagione delle piogge”.

Quando una specie scompare, con lei scompare ciò che la rendeva unica. Ma anche la sicurezza alimentare delle famiglie indigene

Il Chaco comprende El Impenetrable, un parco nazionale di 128mila ettari, una “zona rossa” severamente protetta ai termini della legge argentina sulle foreste: quindi intoccabile, a differenza delle zone “gialle”, dove turismo e attività agricole “dolci” possono esistere, e delle “verdi”, che possono essere alterate.

Ma questa suddivisione – in fase di attuazione, per questo intanto è stata attuata una moratoria – è “sotto forte pressione costante da parte di aziende e produttori, che vogliono estendere le terre agricole, e di una domanda internazionale di materie prime, soprattutto soia e carne”, spiega il ricercatore del Consiglio nazionale di ricerca scientifica e tecnica (Conicet), Matias Mastrangelo. E in caso di disboscamento illecito, la sanzione, una multa, “non scoraggia il dissodamento: le imprese la mettono in conto come un costo di produzione tra i tanti”.

Di fatto intorno all’Impenetrable si dissoda, e gli effetti si ripercuotono sulle varie specie del parco contiguo: formichieri, pecari, tapiri, serpenti corallo. Anche il giaguaro, il più grande felino del continente, al centro di un ambizioso programma di ripopolamento. “Una foresta che diventa un campo di soia non può ospitare il giaguaro, e nessuna delle sue prede. La distruzione è completa”, denuncia il biologo Gerardo Ceron, coordinatore della squadra Rewilding Argentina che gestisce il programma di ripopolamento.

“Nel Chaco Seco stiamo probabilmente assistendo a una grave perdita di fauna. In particolare i grandi mammiferi si estinguono”, concorda Micaela Camino, biologa al Conicet, citando principalmente l’armadillo gigante e il pecari labiato. “Quando una specie scompare, con lei scompare ciò che la rendeva unica. Ma anche la sicurezza alimentare delle famiglie indigene e tutte le funzioni che questa specie svolgeva nell’ecosistema. E infine la capacità dello stesso ecosistema di rigenerarsi, essere resiliente. E questo è estremamente pericoloso in un contesto di cambiamento climatico”.

Prima ancora delle specie, ci sono gli esseri umani che spariscono. In particolare alcune comunità indigene wichi e criollo, che vivono a gruppi nel cuore del Chaco Seco. “Quello che generalmente succede, a monte della deforestazione, è che i diritti di queste famiglie vengono calpestati. Con un imbroglio viene acquisito il loro terreno e devono andarsene”, spiega Micaela Camino.

Secondo Aguirre, che ha lavorato alla direzione delle foreste della provincia, esistono dei modi per rigenerare il Chaco, per esempio un’esperienza agro-forestale che ha condotto combinando ripiantumazione di carrubi e allevamento bovino. “Il carrubo, una leguminosa, produce una reazione tra i batteri e le radici che fissa l’azoto del suolo. È straordinario, la crescita è incredibile”. Ma questo è per “il dopo”. “L’urgenza è fermare la deforestazione”.

(Traduzione di Thomas Lemaire)

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