04 giugno 2020 13:18

Il governo keniano in questo momento non ha intenzione di interrompere la didattica a distanza. Continuo a dire che tutti i nostri bambini sono uguali. Quelli che possono accedere ai contenuti accederanno ai contenuti. Credo sia meglio permettere a chi può farlo di studiare a distanza, e sperare che questo periodo sia il più breve possibile. Al momento giusto, aiuteremo anche gli altri”– George Magoha, ministro dell’istruzione keniano

Solomon mi ha mandato un messaggio per avvisarmi che non sarebbe venuto il giorno dopo. Voleva finire alcuni esercizi che aveva cominciato la sera prima sull’app del programma Tusome (”Leggiamo” in swahili) e caricarli online per la valutazione. Solomon studia in un collegio maschile sul monte Kinangop, nella catena degli Aberdare, 150 chilometri a nord della capitale del Kenya, Nairobi, ma è tornato a casa sua quando il nuovo coronavirus è arrivato a scompaginare il calendario scolastico.

Per mandarmi il messaggio ha usato uno smartphone a buon mercato con lo schermo rotto. Solomon prima non aveva un telefono: se volevo parlare con lui dovevo telefonare a sua nonna, un’irascibile vecchia signora con un tono di voce ruvido che al telefono andava molto per le spicce. “Uga!”, parla!, mi abbaiava, facendomi scordare per un momento il motivo per cui avevo chiamato.

L’anziana si è trovata a doversi occupare di tre nipoti orfani, senz’altra fonte di reddito che dei lavori saltuari. Cũcũ wa Solomon non aveva altra scelta se non mandare i bambini a cercarsi un lavoretto durante la pausa dai corsi. È così che ho conosciuto Solomon, un ragazzino brufoloso vestito con una felpa troppo grande e scarpe da ginnastica logore. Solomon ha cominciato a lavorare a casa mia. Mi ha dato una mano a togliere le erbacce e a potare le siepi, guadagnando la paga di un adulto, che gli è servita a integrare le entrate della sua famiglia e a comprarsi un telefono di seconda mano. Solomon è all’ultimo anno delle superiori e quest’anno dovrà fare l’esame per il certificato keniano di istruzione secondaria. Mi ha detto che la scuola gli ha già comunicato con un messaggio la data dell’esame, previsto per il 4 novembre. Lui ha uno smartphone e i soldi per comprare dei pacchetti di dati per navigare, ma senza libri di testo e l’aiuto degli insegnanti non so quante possibilità abbia di superare l’esame.

Materiali da scaricare
La situazione di Mose è molto diversa. Sua madre ha un telefono kabambe (non smartphone) con una batteria che dura a lungo e una torcia potente che usano quando finiscono i gettoni per l’energia elettrica nella casa di due stanze presa in affitto. Questo telefono, però, non serve molto a Mose, che frequenta l’ultimo anno delle elementari del posto dove vivo nel distretto di Nyandarua: avrebbe bisogno di uno smartphone per registrarsi su Tusome e consultare gli esercizi corretti e le simulazioni dei compiti in classe.

Il governo ha annunciato la chiusura di tutte le scuole una domenica, senza preavviso, e gli insegnanti della nostra scuola elementare non hanno avuto tempo di preparare per i loro allievi i compiti che avrebbero dovuto svolgere in attesa della riapertura. Così il direttore della scuola, un educatore con una grande passione per il suo lavoro e che riesce a ottenere buoni risultati con il poco a disposizione, ha cominciato a inviare ai genitori degli alunni dell’ultima classe i link a materiali didattici che potevano essere scaricati, pur sapendo che molti di loro non potevano farlo. La registrazione sulla piattaforma Tusome è gratuita ma per utilizzarla si pagano 50 scellini (0,42 euro) al giorno, 300 scellini (2,53 euro) alla settimana o mille scellini (8,44 euro) al mese.

La madre di Mose lavora saltuariamente nelle fattorie e nei cantieri della zona e guadagna 250 scellini (2,11 euro) al giorno lavorando dalle otto del mattino all’una del pomeriggio. È una donna molto attiva: di sera realizza dei maglioni ai ferri per la scuola e di pomeriggio fa il bucato per altre persone. Nonostante ciò, quello che guadagna non gli basta per acquistare uno smartphone e ora è preoccupata per l’esame di Mose.

Ma anche se la donna avesse uno smartphone, suo figlio dovrebbe trascorrere ore a strizzare gli occhi davanti al piccolo schermo, scorrendo le 141 pagine dedicate alla matematica prima di poter svolgere gli esercizi online e passare alla materia successiva. Le pagine non possono essere stampate, e anche se questo fosse possibile, stamparle costerebbe 1.410 scellini (11,90 euro). La mamma di Mose dovrebbe quindi procurarsi i materiali di matematica e di altre cinque materie, per non parlare del costo della connessione a internet.

Molti pensano che la piattaforma Tusome sia un’iniziativa del ministero dell’istruzione, visto che prende il nome da un programma avviato nella scuola pubblica, ma in realtà nasce da un’iniziativa privata a scopo di lucro, che si limita e offrire l’accesso ai pdf di materiali didattici esistenti.

La madre di Mose ha mandato i figli dalla nonna dove c’è una radio che trasmette i programmi educativi

Invece su Teachers Arena, un sito nato da un gruppo WhatsApp in cui gli insegnanti condividevano risorse e informazioni, non servono registrazioni. L’accesso ai contenuti è gratuito e i materiali possono essere scaricati e stampati. Tuttavia la sezione dedicata alla matematica da sola occupa 54 pagine. All’internet cafè si pagano 10 scellini (0,08 euro) a stampa, perciò gli appunti per il ripasso e le simulazioni di esame per tutte le materie finirebbero per costare 2.700 scellini (22 euro).

Per evitare di lasciare i bambini a casa a oziare e senza alcun controllo, la madre di Mose ha mandato i figli dalla nonna dove, per fortuna, c’è una radio che trasmette i programmi educativi dell’Istituto keniano per lo sviluppo del programma scolastico.

Tuttavia perfino quest’opzione non è accessibile a tutti. Quando ho chiesto alla madre di un bambino di nome Kahiga se la sua famiglia avesse una radio, la risposta è stata semplice e netta: “Non abbiamo niente”.

La madre di Kahiga vive con i figli in una stanza in affitto e vende la sua manodopera a 50 scellini all’ora. Trovare lavoro non è sempre facile e a casa sua si soffre spesso la fame. In apparenza silenziosa, dalla voce dolce, la donna è diretta e di una sincerità brutale quando è stata posta davanti alla scelta se pagare la sua quota dell’associazione genitori-insegnanti o sfamare la famiglia. Il direttore della scuola, però, ha continuato ad ammettere Kahiga alle lezioni, aspettando pazientemente che la madre trovi i soldi. Ora Kahiga è a casa, senza alcuno strumento per migliorare le sue possibilità di sfuggire all’insopportabile povertà della sua famiglia.

Il direttore della scuola non sa come si potrà fare a recuperare il tempo perduto. La maggioranza degli allievi torna a casa dopo le lezioni, ma l’istituto offre anche vitto e alloggio a chi arriva da lontano e ai ragazzi del posto i cui genitori desiderano lasciarli a scuola. Voleva proporre a tutti i 176 candidati al certificato keniano di istruzione secondaria di trattenersi a scuola a tempo pieno per il resto dell’anno scolastico dopo la riapertura, prevista per giugno (sempre se riaprirà). Gli insegnanti avrebbero fatto lezione dalla mattina presto alla sera dopo la cena, compreso il sabato, così da poter completare il programma prima degli esami. Tuttavia lo spazio nei dormitori è limitato e infilarci altri letti potrebbe compromettere il distanziamento sociale necessario a fermare la diffusione del nuovo coronavirus (che al 4 giugno ha contagiato più di 2.200 persone in Kenya, di cui 74 sono morte). Così il direttore ha dovuto abbandonare l’idea. Al momento non sa neppure come farà a mantenere gli alunni alla giusta distanza tra loro all’interno delle classi.

A ogni modo era improbabile che molti genitori avrebbero aderito, soprattutto quelli degli studenti che tornano a casa dopo le lezioni. Sarebbero serviti soldi in più per coprire vitto, alloggio e altre spese. Molti genitori sono ancora indietro con il pagamento delle rette e questo ha avuto delle ripercussioni sui salari. La scuola usa le rette per pagare il personale non docente, dieci persone in tutto tra cui gli addetti alla cucina e alle pulizie, e il giardiniere che fa anche da fornaio. Il direttore ha dovuto fare appello alla buona volontà del tesoriere della scuola per pagare i salari di aprile.

Le piogge sono state abbondanti e nelle fattorie della zona il lavoro di ripulitura dalle erbacce non manca. Adesso sono tutti ai posti di combattimento: genitori e figli escono a vendere la loro manodopera per guadagnare il più possibile prima che finisca la stagione delle piogge. Questo fa sperare che si possa ancora trovare l’occorrente per saldare i conti della scuola dell’ultimo periodo e coprire quelli del prossimo.

Anche se i telefoni cellulari sono diventati onnipresenti in gran parte del Kenya, il divario digitale persiste, un baratro che continua a tenere lontani i bambini delle aree rurali e di contesti svantaggiati, che non possono usare internet come i loro coetanei più fortunati. Con l’epidemia in corso, questi ragazzi stanno perdendo le già scarse opportunità che avevano di cavarsela in un sistema scolastico che non li favorisce in alcun modo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito di notizie e approfondimento keniano The Elephant.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it