“Dopo una serie di contraccolpi in Medio Oriente, il gruppo jihadista Stato islamico (Is) ha rafforzato le organizzazioni sue affiliate in Africa. L’ha fatto approfittando delle frustrazioni diffuse tra le popolazioni locali, tra cui ha reclutato nuovi combattenti”, scriveva Le Monde in un’analisi pubblicata a gennaio. “Secondo un conteggio del Washington institute for near east policy, quasi due terzi dei 1.300 attacchi rivendicati dall’Is nel 2024 in tutto il mondo sono avvenuti nel continente africano. E il loro numero continua ad aumentare, mentre a livello globale gli episodi di violenza su base annuale sono diminuiti notevolmente dal 2020”.

L’Africa è ormai la regione dove l’Is conta il maggior numero di combattenti – più di diecimila, secondo varie stime – divisi in gruppi locali, cioè le cinque “province” (wilaya) controllate o rivendicate dall’organizzazione. La più importante è la wilaya gharb Ifriqiya, la provincia dell’Africa occidentale, che comprende i paesi confinanti con il lago Ciad: Nigeria, Camerun, Niger e Ciad. Un’altra è nel Sahel, dove ha combattenti attivi in Mali, Niger e Burkina Faso. Nel nordest della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) c’è un’altra roccaforte controllata dalla milizia ugandese Forze democratiche alleate (Adf). Altre due wilaya sono in Mozambico (gli Shabab, che conducono l’insurrezione nella provincia del Cabo Delgado) e in Somalia, dove l’Is ha un’importante unità logistica chiamata Al Karrar.

L’avanzata dell’Is in Africa, faceva notare il quotidiano francese, è ostacolata non tanto dalle forze di sicurezza governative dei vari paesi o dai loro alleati (per esempio, in Mali i miliziani russi ex Wagner), ma dalla rivale dell’Is per eccellenza: Al Qaeda.

Nelle ultime settimane la pressione jihadista si è fatta sentire con forza. Il 25 maggio a Eknewane, nell’ovest del Niger, 58 uomini delle forze speciali nigerine sono morti in un violento attacco rivendicato dall’Is, che ha usato per la prima volta dei droni kamikaze. “Negli ultimi dieci anni”, racconta il sito di Radio France International, “la valle di Eknewane è stata una roccaforte dei jihadisti dello Stato islamico nel grande Sahara, che controllano un territorio a cavallo del confine tra Niger e Mali. Questi miliziani sono responsabili anche dei recenti rapimenti ad Agadez, nel nord del paese, di due donne europee, l’austriaca Eva Gretzmacher e la svizzera Claudia Abbt”. I rapimenti di stranieri sono una delle tradizionali fonti di guadagno per questi gruppi, anche se negli ultimi anni sono diventati più rari perché i miliziani preferiscono scegliere come obiettivi commercianti, funzionari e leader delle comunità locali.

Ancora più grave è stato l’attacco sferrato in Mali il 1 e 2 giugno dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), legato in questo caso ad Al Qaeda, prima contro una base militare a Boulikessi, nel centro del paese, e il giorno dopo a Timbuctù, nel nord. Nel primo attacco sono stati uccisi più di cento soldati, un bilancio gravissimo reso noto dall’organizzazione jihadista e confermato da una fonte nei servizi di sicurezza a Radio France Internationale. Tra le vittime, anche combattenti russi della ex compagnia Wagner. Altri 22 soldati maliani sarebbero stati fatti prigionieri. Dieci giorni prima il Gsim aveva attaccato un distaccamento militare nel centro del paese, a Dioura. Il risultato: quaranta soldati morti.

La stessa organizzazione jihadista aveva colpito anche il Burkina Faso: l’11 maggio, Djibo, una città di trecentomila abitanti nel nord del paese, era stata attaccata per quasi dieci ore. Il giorno successivo, la cittadina di Diapaga, nel sudest, era stata presa di mira per la seconda volta da marzo.La situazione è grave anche sull’altro lato del continente.

Il 3 giugno l’Unicef ha espresso preoccupazione per l’aumento del numero di rapimenti, reclutamenti e violenze ai danni di bambine e bambini mozambicani nella provincia del Cabo Delgado. L’11 maggio, in questa regione che dal 2017 è teatro di un’insurrezione armata, tre ragazzi di età compresa tra i 12 e i 17 anni sono stati uccisi e altri otto minori sono stati rapiti nel villaggio di Magaia. Ad aprile undici soldati mozambicani erano morti in un attacco rivendicato dall’Is. A maggio tre soldati ruandesi avevano perso la vita in un’imboscata, rivendicata sempre dallo stesso gruppo e confermata dall’esercito di Kigali.

Di fronte a questa recrudescenza di violenze, le giunte militari dell’Africa occidentale mantengono il silenzio e sembrano impotenti. “Avrebbero dovuto ristabilire l’ordine e riconquistare i territori perduti. Ma da quando sono andate al potere, le giunte di Mali, Burkina Faso e Niger faticano a fermare l’avanzata jihadista”, scrive Jeune Afrique. “Anche se operano principalmente nelle zone rurali, le organizzazioni affiliate ad Al Qaeda e all’Is hanno cominciato a fare pressione sui centri urbani. Blocchi, incursioni prolungate, assalti coordinati, alleanze con gruppi locali e l’uso di armi sempre più sofisticate: lungi dall’essere in declino, questi gruppi terroristici stanno adottando la strategia di accerchiare le città”.

I jihadisti non sono ancora in grado di conquistare e mantenere il controllo di grandi centri abitati, ma ci sono vicini. Non si dileguano più dopo poche ore e, a volte, tornano per due giorni consecutivi nello stesso posto. “Vogliono inviare un messaggio chiaro agli abitanti e ai governi: ‘Non siete più al sicuro’”, osserva Jean Hervé Jézéquel, esperto di Sahel dell’International crisis group intervistato da Jeune Afrique. Le principali strade che portano alle capitali sono, a loro volta, diventate il terreno di imboscate sanguinose.

Il risultato di tutta questa violenza sono, oltre alle morti di militari, centinaia di migliaia di sfollati, scuole e ospedali chiusi. In Burkina Faso gli sfollati sono circa due milioni, in Mali 400mila e in Niger 500mila. Gli istituti scolastici non funzionanti in Burkina Faso sono più di 5.300 (un quinto di quelli nazionali); sono circa 1.800 in Mali e quasi mille in Niger. I centri di cura costretti a fermarsi sono 424 in Burkina Faso, 120 in Mali e otto in Niger.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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