Segnati da un numero crescente di attacchi terroristici dopo la caduta del leader libico Muammar Gheddafi, tre paesi dell’Africa occidentale – Burkina Faso, Mali e Niger – hanno vissuto tra il 2020 e il 2023 una serie di golpe promossi da comandanti militari. Il Mali ha aperto le danze con due colpi di stato, nel 2020 e nel 2021, nel secondo dei quali ha preso il potere il colonnello Assimi Goita. Anche in Burkina Faso ce ne sono stati due in rapida successione, che hanno visto l’ascesa, nell’ottobre del 2022, del capitano Ibrahim Traoré. Il Niger ha chiuso la serie nel luglio 2023, con l’affermazione del generale Abdourahmane Tiani. I colpi di stato sono stati accolti con favore da una parte delle popolazioni locali, ma non dalle organizzazioni regionali e dalle potenze occidentali.
La Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao) ha minacciato di intervenire in Niger per ripristinare la democrazia. A quel punto i tre paesi hanno accusato la Cédéao di essere una marionetta delle potenze occidentali e hanno firmato un patto di mutua difesa, creando l’Alleanza degli stati del Sahel (Ass). Nel luglio 2024 l’Ass si è trasformata in una confederazione, con l’obiettivo di collaborare in campo diplomatico, infrastrutturale ed economico, gettando le basi di una possibile federazione.
Con la loro retorica sul recupero delle sovranità e dignità perdute, e le loro posizioni a tratti violentemente antifrancesi e antineocoloniali, i tre golpisti hanno affascinato africani e afrodiscendenti disillusi, dal Burundi a Barbados. In un recente discorso sullo stato della nazione, il burkinabé Ibrahim Traoré ha strappato applausi entusiastici mettendosi a tuonare contro gli “imperialisti”. “Nelle loro teste l’Africa gli appartiene”, ha detto. “Non riescono a concepire che gli africani possano liberarsi, rimettersi in piedi e rivolgersi a loro da pari a pari”.
Oggi le magliette con l’immagine di Traoré e il suo berretto rosso sono in vendita sul sito di prodotti stampati su richiesta Redbubble, insieme alle tazze delle star di Hollywood. Al leader maliano Goita sono state dedicate canzoni da artisti di Mali, Costa d’Avorio e Camerun. In Niger, senza troppo clamore, il meno carismatico Tiani si è conquistato il rispetto di molti commentatori per aver inferto duri colpi alle potenze occidentali: in meno di un anno ha allontanato dal paese le truppe francesi, tedesche e statunitensi, e ha revocato all’azienda francese Orano la licenza di estrazione in una delle più grandi miniere di uranio del mondo.
In alcuni paesi, in particolare la Francia, l’ex potenza coloniale dei tre paesi dell’Ass, il concetto di roman national (romanzo nazionale) è ben radicato. Lì si discute spesso dell’idea secondo cui le narrazioni che un paese fa della propria storia contribuiscono a plasmare la sua identità di nazione, i suoi progetti e le sue proiezioni. Di recente ho letto tre opere letterarie di tema storico scritte appunto in Burkina Faso, Mali e Niger che si adattano perfettamente a quest’idea, visto che nel loro racconto del passato riescono a predire molto del presente. Leggendo questi libri mi sono chiesta come sia stato possibile che la Francia, così legata all’idea del roman national, si sia fatta sorprendere dal crescente sentimento antifrancese nel Sahel. Come mai i suoi espertoni di politica non hanno prestato attenzione a importanti romanzi storici provenienti dal loro pré-carré, cioè dalla loro zona d’influenza?
Alla corte di Samory
Mentre nasceva l’Ass stavo terminando la traduzione dell’opera teatrale Une hyène à jeun, ovvero una iena a digiuno, scritta dall’autore maliano Massa Makan Diabaté. Pubblicata nel 1988, la tragedia racconta la lunga battaglia che Samory Touré, l’ultimo almamy (re) di Wassoulou, combatté contro la Francia alla fine dell’ottocento. Nell’immaginario africano Samory Touré è una leggenda della resistenza anticoloniale, perché riuscì a tenere testa agli “invasori dalle orecchie rosse” per diciassette anni prima di essere catturato.
Il dramma di Diabaté, un acuto trattato sui rischi del potere, non si concentra sui francesi ma sulla corte di Samory. Ripropone la storia vera del figlio di Samory, Diaoulé Karamoko, che era stato mandato in Francia come clausola di un trattato firmato dal padre con i francesi e, al suo rientro, si era convinto dell’invincibilità del paese europeo.
Così facendo il dramma ripropone il trauma causato dal devastante squilibrio militare dei primi incontri coloniali. Con raffinatezza Diabaté, nato in una famiglia di grandi griot (narratori), racconta questo evento tragico riuscendo allo stesso tempo a trasmettere l’idea dello splendore della corte di Wassoulou, affidandosi semplicemente a impeccabili dialoghi. A parte lo squilibrio nella potenza militare, nell’opera di Diabaté il mondo africano della popolazione mande e quello europeo parlano da pari a pari. Il testo ci invita così a immaginare un’ucronia, una storia alternativa in cui gli africani non sono stati schiacciati dal rullo compressore della colonizzazione.
A gennaio dell’anno scorso, più o meno quando l’Ass ha annunciato l’intenzione di ritirarsi dalla Cédéao, ho scovato un libro dal Niger. Sarraounia, un romanzo epico del 1980 di Abdoulaye Mamani, racconta la battaglia di Lougou del 1899, condotta dalla regina Sarraounia Mangou contro la spedizione coloniale Voulet-Chanoine. A differenza di Diabaté, Mamani si sofferma molto sui francesi, descrivendoli come assetati di sangue, libidinosi e avidi. Saccheggiano, massacrano e torturano innocenti, e costringono con la forza donne native a diventare le loro concubine.
Lo sdegno di Mamani è rivolto anche contro i tirailleur, gli ausiliari africani delle truppe coloniali, che commettono atti di brutalità per soddisfare i loro appetiti. Senza di loro – alcuni descritti mentre partecipano alla campagna militare francese contro Samory – la missione colonizzatrice non avrebbe potuto avere successo. Mamani deplora anche la codardia di chi si rifiutò di combattere perché convinto che il giogo francese fosse ineluttabile. I vicini musulmani di Sarraounia, per esempio, credevano che la conquista degli invasori dalla pelle chiara fosse preannunciata nel Corano. Sarraounia, che resta fedele alla sua religione indigena nonostante l’arrivo di nuovi credo, si fa beffe di questo fatalismo: “L’unica cosa che sappiamo è che dei banditi desiderano la nostra ricchezza”.
In Sarraounia le religioni tradizionali hanno un ruolo centrale nella resistenza, ma anche nella proposta di una società più tollerante che chiude il libro: la regina invita a unirsi a lei tutti quelli che combattono per la dignità e la libertà, a prescindere dall’origine e dalla fede.
Come dicevamo, nel luglio 2024 l’Ass ha annunciato di voler diventare una confederazione. In quel momento stavo leggendo il romanzo Rougbêinga (1990) di Norbert Zongo, il più famoso giornalista investigativo del Burkina Faso, assassinato nel 1998.
Rougbêinga offre una versione romanzata della rivolta del Volta-Bani del 1915-1917 contro i colonizzatori francesi, cominciata nel sudovest dell’allora Altovolta (Burkina Faso) e che si è poi diffusa in Mali. Con modalità simili a Serraounia, il romanzo denuncia la violenza dei “diavoli rossi”, con dei riferimenti alla “mattanza” della missione Voulet-Chanoine. Gli eroi del romanzo sono due “cose nere buone per lavorare” che si conoscono in un campo di lavoro a Bamako dov’è normale morire di fatica. Ostinatamente animisti come Sarraounia, fingono di essere interessati al cristianesimo solo per darsi alla fuga.
Tracce di queste opere sono presenti nella retorica e nelle azioni dei tre leader saheliani. Hanno attinto al desiderio di una storia alternativa
Tradimento velenoso
Zongo descrive nei dettagli le conseguenze del saccheggio coloniale per il futuro ordine mondiale neocoloniale: “Ciò che i bianchi ci rubano oggi, un domani formerà la ricchezza dei loro figli… E aiuterà i loro discendenti a dominarci”.
Anche Zongo se la prende con i collaborazionisti. Mette la complicità con i colonizzatori al centro delle strutture di potere tradizionali creando il personaggio di Naaba Liguidi – letteralmente Capo Denaro – che, per un tornaconto personale, costringe con violenza il suo popolo ad allearsi con i francesi. Qui il tradimento va molto oltre la codardia e arriva al sabotaggio attivo: le tattiche di guerriglia messe in campo dai rivoltosi falliscono per il tradimento di un africano. Il romanzo si rammarica: “Non conosco arma più mortale né veleno più forte del tradimento”.
L’intreccio di traumi che accomuna queste tre opere – in Sarraounia si parla della caduta di Samory; la violenza della missione Voulet-Chanoine al centro di Sarraounia è menzionata in Rougbêinga – evoca un’unione di dolore storico fra i tre paesi africani.
Non c’è da stupirsi se oggi cercano di unirsi per affrontare l’ordine mondiale che ha inferto quelle ferite. Le tre opere sono penetrate nelle coscienze nazionali e regionali attraverso mezzi che vanno oltre il libro: in Burkina Faso il dramma teatrale di Diabaté è stato portato in scena in tre diverse versioni in meno di dieci anni; nel 1986 Sarraounia di Mamani è stato adattato per il cinema dal regista mauritano Med Hondo (con il supporto finanziario del presidente rivoluzionario del Burkina Faso, Thomas Sankara), mentre Rougbêinga di Zongo è stato portato in teatro da un gruppo che si autodefinisce Cittadini del rinnovamento.
Tracce di queste opere sono presenti nella retorica e nelle azioni dei tre leader saheliani. Hanno attinto al desiderio di una storia alternativa, così evocativa in Une hyène à jeun: i loro video hanno migliaia di visualizzazioni sui social media perché sembrano forgiare una nuova storia per i loro paesi. In un discorso molto celebrato che ha tenuto al vertice Russia-Africa del 2023, Traoré ha dichiarato di essere lì (da notare l’ironia) per “parlare di un mondo liberato da interventi finalizzati all’ingerenza”.
I leader dell’Ass hanno anche intrapreso riforme culturali, come ispirati dalla denuncia di Zongo secondo cui “selvaggio non è colui che non ha civiltà, ma colui che abbandona la sua civiltà per un’altra a lui estranea”.
Il governo burkinabè ha proclamato il 15 maggio giornata della tradizione e delle consuetudini, invitando la popolazione in larga misura musulmana e cristiana a riconnettersi con le sue tradizioni, comprese le religioni animiste. Mali e Burkina Faso hanno declassato il francese a lingua di lavoro e hanno promosso le lingue locali al livello di lingue nazionali. Le storie di atti di resistenza storici intralciati dai tradimenti gettano luce sull’ossessione dei leader di questi tre paesi per la cospirazione e il sabotaggio.
Che lezioni offrono queste tre storie romanzate per voltare pagina? Quando Sarraounia parla di banditi avidi, prosegue: “Uomini bianchi, rossi e neri cercano sempre di dominarci e ci impongono la loro filosofia”. Questo avvertimento è rilevante per il tentativo di rivendicare il controllo sulle risorse. Fare attenzione alla scelta dei nuovi alleati e a quello che si vuole negoziare con loro dovrebbe essere al centro del futuro del Sahel.
Un avvertimento
Le tre narrazioni sono storie di resistenza, ma anche della corruzione del potere. Questo tema emerge con forza in Une hyène à jeun, dove il potere conduce il Samory del romanzo alla disfatta morale, trasformandolo nella iena del titolo. Sia Mamani sia Zongo sono stati perseguitati: il primo è finito in carcere per le sue opinioni politiche, il secondo assassinato per la sua attività giornalistica. Non c’è da sorprendersi quindi se i loro libri contengano argomenti a favore di società aperte e tolleranti.
Uno degli eroi della resistenza del romanzo di Zongo avverte: “Se incontrate un uomo convinto che lui solo, con la sua intelligenza e il suo coraggio, libererà un popolo, non seguitelo. I veri leader sono quelli che fanno da cassa di risonanza alla voce di un intero popolo e non quelli che diventano la voce e il cervello della loro gente. L’unione richiede libertà di pensiero e di opinione”.
Per concludere, Norbert Zongo osserva che “fin dall’alba della schiavitù, la grave colpa dei neri è stata la mancanza di unità”. Ho vissuto in Burkina Faso e ho la cittadinanza di un altro paese della Cédéao, perciò posso solo sperare che la mancanza di unità dell’Africa occidentale possa essere superata, che i paesi dell’Ass siano pionieri di una nuova e più costruttiva forma di unione e che, insieme, i paesi della regione possano finalmente, parafrasando Sankara, osare inventare un futuro che sia all’altezza del suo popolo. ◆ gim
Yarri Kamara è una scrittrice e traduttrice d’origine sierraleonese e ugandese, esperta di sviluppo internazionale.
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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati