In poche ore sono arrivate due pessime notizie per le prospettive di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. La prima viene dal Qatar, che ha deciso di abbandonare il ruolo di mediatore accusando i due fronti, Israele e Hamas, di non essere interessati a un accordo. Senza l’emirato non esiste più un canale di dialogo con Hamas: svanisce dunque la prospettiva di un cessate il fuoco con la liberazione negoziata degli ostaggi israeliani.

Il Qatar si trova in una posizione particolare. Nel corso degli anni la monarchia del Golfo ha finanziato gli islamisti di Hamas con oltre un miliardo di dollari, ma bisogna ricordare che l’ha fatto con l’autorizzazione di Israele e degli Stati Uniti. Di recente il quotidiano israeliano Haaretz ha ricordato che nel 2018 il Qatar voleva tagliare i fondi al movimento islamista di Gaza, ma lo stato ebraico lo aveva implorato di non farlo.

Questo paradosso è ignorato da chi sottolinea le affinità tra il Qatar e l’ideologia dei Fratelli musulmani, ma è proprio questa dinamica che nell’ultimo anno ha permesso al paese di ricevere a Doha il capo della Cia americana e quello del Mossad israeliano, anche se non esistono ufficialmente rapporti diplomatici tra i due stati. Questo rapporto è stato indispensabile per concordare l’unico cessate il fuoco accompagnato dalla liberazione di ostaggi, a novembre dell’anno scorso. Ma da allora l’ingranaggio si è bloccato.

Con questa decisione clamorosa il Qatar si rifiuta di assumersi le responsabilità del costante fallimento di tutte le trattative. Doha ha abbandonato il ruolo soltanto provvisoriamente e ha puntato l’indice contro i veri responsabili: i due attori coinvolti nel conflitto, Hamas e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il Qatar ha fatto presente che tornerà a fare da mediatore soltanto se i belligeranti si mostreranno sinceramente intenzionati a negoziare. Le prime informazioni avevano indicato che il paese aveva addirittura chiesto la chiusura dell’ufficio di Hamas a Doha, ma nessuno ha ancora confermato una rottura che sarebbe ancora più drastica di quanto sembri adesso.

La coincidenza tra l’annuncio e l’elezione di Donald Trump non può essere fortuita, anche se i dirigenti qatarioti avevano lasciato filtrare le loro intenzioni prima del voto americano.

Nel giro di pochi giorni la situazione sul campo è cambiata radicalmente, e questo anche se Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca soltanto il prossimo 20 gennaio. Il centro del potere si è già trasferito a Mar-a-Lago, residenza del presidente neoeletto. Netanyahu ha parlato tre volte con Trump dopo la sua vittoria e ha inviato un emissario negli Stati Uniti per discutere dell’Iran.

La seconda pessima notizia è l’annuncio della nomina di un nuovo ambasciatore israeliano negli Stati Uniti: si tratta di Yechiel Leiter, un uomo vicino a Netanyahu oltre che un colono di estrema destra che in passato ha fatto parte del movimento kahanista, messo al bando negli Stati Uniti. Il futuro ambasciatore ha vissuto nella colonia di Hebron, culla degli estremisti israeliani più violenti.

La scelta di Leiter come rappresentante di Israele presso l’amministrazione Trump manda un segnale inequivocabile. Il futuro ambasciatore incarna infatti una politica di espansione delle colonie fino all’annessione della Cisgiordania e il rifiuto categorico della soluzione dei due stati, seguendo una linea oltranzista che Netanyahu spera di condividere con la prossima amministrazione americana.

Questi sviluppi non lasciano presagire alcuna distensione a breve termine. Gli attacchi israeliani continuano a provocare molte vittime a Gaza, mentre il “fronte del rifiuto” Netanyahu-Trump comincia a nascere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it