26 ottobre 2015 12:05

Questo è il terzo articolo di una serie sul turismo. Nel primo ho provato a raccontare perché è importante promuovere il turismo in Italia, e come mai non siamo capaci di farlo bene. Nel secondo, attraverso un raffronto diretto tra il sito spagnolo per la promozione del turismo e quello italiano (da un anno in disarmo), ho provato a mostrare quanto non siamo capaci.

Ma la nostra incapacità si esprime in ambiti diversi. Eccovi, qui di seguito, alcuni esempi: ve li mostro nella speranza che farlo serva a qualcosa e che dagli errori, peraltro ricorrenti, sia possibile imparare.

I loghi turistici appaiono sempre più omologati: colorini vivaci e figurine disegnate con tratto vuoi svelto vuoi infantile. Salvo rari casi di eccellenza, ogni nazione, ogni città, ogni comprensorio prova a distinguersi confidando negli stessi colorini, negli stessi disegnini.

Così, non è sorprendente che il logo di El Salvador risulti simile a quello della Romania, che tra il sole del Rajasthan e quello della Bulgaria ci sia solo qualche raggio di differenza (e che entrambi facciano il verso al meraviglioso logo spagnolo) e che le Maldive somiglino alle Filippine, che somigliano alla Polonia.

Loghi turistici. (Dr)

Tra tutti, per riconoscibilità e bellezza continua a spiccare il sole della Spagna, ma quella è tutta un’altra storia. Il logo, disegnato nel 1983 e ceduto gratuitamente da Joan Mirò – “para el rey y el Gobierno, todo gratis“– identifica la comunicazione turistica spagnola da più di trent’anni, ed è uno dei due loghi turistici più apprezzati del mondo. L’altro è I love New York disegnato nel 1977 (anch’esso gratuitamente) da Milton Glaser.

L’attuale logo turistico dell’Italia, patria della moda e del design, presenta invece qualche analogia con quello dell’Armenia e con quello dello Zambia. Ed è sconfortante il fatto che tutto ciò sia l’esito di un percorso circolare costituito da troppi cambiamenti, ripensamenti ed errori nell’arco di pochi anni. Ne hanno parlato le testate nazionali e tantissimi blog indipendenti (per esempio, questo), e non aggiungo altro.

I loghi dell’Italia, dell’Armenia e dello Zambia. (Dr)

Segnalo solo che i due casi di eccellenza citati poco sopra (Spagna e New York) sono frutto dell’affidamento diretto dell’incarico a un singolo professionista/artista di indiscutibile reputazione.

Forse un concorso non è il modo migliore per selezionare un logo capace di durare nel tempo. Di sicuro non lo è se chi lo istituisce e poi sceglie il vincitore non ha alcuna competenza specifica né di turismo né di grafica e design, e nessuna idea di quale sia il contesto competitivo nel quale il logo deve collocarsi.

Siamo ancora in tempo a darci un logo decente? Non lo so. Di certo, se non modifichiamo qualcosa nella qualità del processo e se non miglioriamo la competenza specifica dei decisori sarà difficile ottenere un buon risultato. Ma migliorare il processo significa ragionare, in primo luogo, di strategie.

Mi spiego: perfino chi vende pomodori pelati sa che non si vendono da soli. Vanno confezionati e presentati bene.

Chi vende i pelati non va sul mercato offrendo catini pieni di pelati. Li mette in lattine di diversa misura, o in bottiglie, o in vasetti, li trasforma in passata, li taglia a pezzetti o aggiunge aromi per incontrare ogni possibile esigenza di cucina e di pubblico, e alla fine ci mette sopra un’etichetta ben fatta.

Lo stesso discorso vale per qualcosa di enormemente più complesso e pregevole com’è l’offerta turistica del nostro paese. Eppure, sembra che sul turismo non si riesca a produrre e a confezionare decentemente un’idea strategica di offerta più articolata di questa: “Siamo il paese più bello del mondo e abbiamo mari, monti e monumenti, arrivederci”.

Esempi di campagne per la promozione del made in Italy. (Dr)

Secondo il “criterio del catino pieno” è costruita anche la più recente campagna pubblicitaria per il nostro turismo. Guardatela: il criterio del catino è così pervasivo che non sembra nemmeno necessario dire quali sono i luoghi fotografati. Così pervasivo che, qualsiasi sia il luogo, titoli e testi restano gli stessi. Basta mettere lì “un po’ di roba turistica”, no?

In queste condizioni, la promessa di una vacanza “su misura per te” non può che fondarsi su un improbabile sillogismo.

Il made in Italy è sempre fatto su misura (non è vero, ma pazienza).

Le vacanze in Italia sono “made in Italy” (dire che le vacanze, in quanto fatte in Italia, sono “made in Italy” è privo di qualsiasi senso. Un po’ come dire che i pomodori pelati, in quanto pelati, sono calvi).

Quindi, ed eccoci al punto, le vacanze in Italia sono su misura per te. Qual è la dimostrazione? Una finta etichetta con la scritta made in Italy appiccicata su alcune foto d’archivio, che a loro volta appaiono applicate su un finto pezzo di stoffa.

Peraltro, nemmeno l’idea del paesaggio sulla stoffa è originale. Qui vedete un’assai migliore esecuzione, con un messaggio importante e argomentato, uscito nel 2012.

Con le campagne territoriali non va molto meglio. La regione Toscana, per esempio, mescola paesaggi taroccati in stile Las Vegas, caratteri finto gotici, spericolate parafrasi dantesche e la curiosa idea di trattare i turisti da peccatori, dando luogo a uno dei migliori esempi di “fuffologia” turistica di tutti i tempi. Ma, posso dirlo? taroccare il paesaggio della Toscana, questo sì, è un peccato capitale.

Campagne di promozione del territorio per la Toscana. (Dr)

In compenso, la regione Calabria crede che la comunicazione turistica sia una questione di copia-e-incolla, di qualsiasi cosa. Aereo, mare, bronzi (è ancora la logica del catino: tutto dentro).

Budget: cinque milioni di euro. L’agenzia è la stessa che ha curato la campagna del turismo nazionale e quella della Lombardia (moda, design, cibo, cultura: tutto dentro).

Repliche generiche

Ma perché i territori se ne vanno in ordine sparso a promuovere se stessi nel mercato europeo o mondiale, disperdendo risorse e senza fare sistema, né sul piano espressivo né su quello dei contenuti? Ovvio: perché la promozione nazionale è pressoché inesistente, e la poca che c’è è spaventosamente generica. Risultato: i territori replicano, in piccolo, la medesima genericità.

Ecco perché non si va da nessuna parte se non si ripensa l’intero sistema della promozione.

Per farlo bisogna partire non dal logo Italia ma dal sito italia.it, davvero fondamentale. E ci vogliono un progetto solido e la capacità di realizzarlo e tutta la pazienza necessaria per uscire dalla genericità e mettere insieme belle immagini, informazioni utili e attraenti e un racconto del territorio che abbia un senso e sia affascinante e contemporaneo.

E, poi, bisogna convincere tutti gli innumerevoli referenti territoriali ad allinearsi e a fare squadra. Infine, bisogna condividere, tra tutti i referenti, almeno due-tre regole di base della comunicazione efficace. Un’impresa titanica.

A proposito di fare sistema: cibo, vino e tutto il made in Italy sono in sé motivi di attrazione turistica rilevanti. E a questo punto mi tocca ricordare che, anche se schiere di turisti vengono dall’estero nel nostro paese espressamente per fare acquisti, nel sito italia.it la voce “shopping” neanche c’è.

Ma non solo: per difendere e promuovere l’agroalimentare italiano all’estero è stato di recente prodotto un marchio abbastanza discutibile (ne ho parlato qui). Ora esce la notizia che il marchio ha generato una campagna per la promozione dei prodotti italiani.

Per rendere più appetitosi titoli che in sé non lo sono poi tanto, si è pensato di scriverli direttamente con il formaggio o con il salame. In compenso, il piatto (cioè: il posto giusto per formaggi e salami) è tagliato a metà. E perché la foto nel suo complesso non appare neanche lontanamente paragonabile per qualità a una qualsiasi buona foto di cibo, o alle foto di formaggi visibili su Pintarest?

Ricapitolando

Al termine di questo viaggio tra promozione e comunicazione turistica e dintorni mi sento, devo ammetterlo, piuttosto depressa, e sollevata solo dal fatto di avere non certo esaurito, ma almeno trattato l’argomento in maniera decentemente estesa. Insomma, sento di poter tornare a parlar d’altro. Prima, però, vorrei riassumere alcuni punti che forse possono risultare utili.

Fare le cose tanto per farle (e per poter dire di averle fatte) non ha senso.

Se si vogliono convincere i turisti stranieri, non si possono disperdere i discorsi e le risorse in mille rivoli del tutto irrilevanti.

Non si possono prendere buone decisioni se, prima, non si studia in modo approfondito come si stanno muovendo i migliori concorrenti e non ci si confronta con le migliori esperienze internazionali.

Una comunicazione turistica che funziona deve partire da un progetto solido. Per metterlo insieme servono competenze altrettanto solide, referenti esperti e mesi di lavoro.

Un progetto solido istituisce corrispondenze tra offerte e bisogni. Tra esperienze proposte e valori promossi. Tra i territori e le loro diverse vocazioni. Tra singoli luoghi e specifiche narrazioni. Tra informazione ed emozione. Tra parole (che devono essere credibili e autentiche) e immagini (che devono essere seducenti e autentiche).

Il primo obiettivo da perseguire è trasformare italia.it in un sito di livello internazionale, sul modello del sito spagnolo. Senza un sito a cui far capo, tutto il resto della comunicazione non si può reggere.

Moda, cibo, vino, design: una proposta di turismo di qualità deve integrare le eccellenze italiane

Tra le eccellenze italiane c’è anche la lingua italiana. Chi ama la nostra musica, la nostra arte, la nostra cucina ama anche la nostra lingua: non a caso, la quarta più studiata al mondo.

Un articolo positivo su una testata straniera, o la scelta di una località italiana come location cinematografica sono impagabili, in termini promozionali. Stiamo facendo tutto quanto serve?

I materiali visivi (foto e video) sono complessi e costosi da realizzare o da acquistare. Varrebbe la pena di cominciare a costruire un archivio di foto e video di qualità. Anche in crowdsourcing.

In conclusione: sono convinta che l’Italia, e la sua reale offerta turistica, siano meglio della narrazione che ne stiamo facendo. Anche per questo, credo, vale la pena di riprovarci, no?

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