10 ottobre 2017 10:22

Nel gennaio 2016 avevo dichiarato all’Obs: “In Turchia sta prendendo piede in maniera sempre più decisa uno stato dai contorni fascisti”.

Qualche mese più tardi, all’indomani del tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, ho scritto in un editoriale sul quotidiano Le Monde: “Dopo il fallimento del golpe militare, la Turchia non sarà più democratica, come lasciano goffamente intendere alcune dichiarazioni in patria e all’estero. È molto tempo che la politica turca non oscilla più tra democrazia e dittatura ma tra due diverse modalità dittatoriali. Il regime si sente sufficientemente rafforzato oggi da poter imporre costituzionalmente un sistema presidenziale forte, alla Putin, privo di freni e di contropoteri”.

In un mio intervento pubblicato sul Courrier du Maghreb et de l’Orient appena prima del referendum costituzionale del 16 aprile 2017, notavo che

in caso di vittoria del sì, il referendum permetterà di rendere costituzionale questo potere forte. L’oggetto della consultazione popolare sarà un emendamento costituzionale di 18 articoli, scritto frettolosamente e pieno di contraddizioni rispetto alla costituzione esistente, che non corrisponde ad alcun principio costituzionale noto nel mondo e attribuisce un potere assoluto al presidente della repubblica.(…).
Con la fine dei negoziati con l’Europa il regime si è sentito autorizzato a trasformare non solo il sistema politico ma anche la società. Oggi i sistemi dell’istruzione, dell’esercito, della giustizia, dell’economia, dell’amministrazione e della diplomazia del paese funzionano in base alla lealtà dimostrata verso il regime islamista, tutto il contrario di quanto il paese aveva conosciuto dalla fine del 1999, data d’inizio del processo d’integrazione con l’Unione europea. In generale, esiste un legame diretto tra il fallimento collettivo dell’adesione europea della Turchia e la radicalizzazione autoritaria e antioccidentale del regime. La Turchia si ‘deoccidentalizza’, proprio come la Russia, ed entrambi i paesi si mostrano fedeli oggi a un atteggiamento precedente alle riforme, tipico, rispettivamente, delle Tanzimat e di Pietro il grande. E non ci sarà alcun motivo per cui il suo percorso antioccidentale debba cambiare rotta, poiché valori, norme, princìpi e standard europei saranno sempre agli antipodi di valori, norme, princìpi e standard del regime al potere. Sappiamo, per esperienza diretta, che i regimi autoritari non si trasformano mai spontaneamente in democrazie, soprattutto quando godono di una legittimità popolare.

In questa fine 2017, dopo la vittoria del sì ottenuta per il rotto della cuffia, il regime fascista e antioccidentale di Ankara gode di una posizione di forza che gli permette d’imporsi in maniera totale sulle istituzioni e sulla società. All’orizzonte non si annuncia alcuna normalizzazione né nel paese né nelle relazioni con i partner strategici e con i vicini della Turchia. Il regime si è lanciato in una sorta di cieca fuga in avanti, tanto le sue pratiche politiche appaiono insostenibili. Vediamo più da vicino qual è la situazione attuale.

  • Dal 15 luglio 2016 il rinnovo trimestrale dello stato d’eccezione è diventato ormai la regola e diventerà molto probabilmente permanente.
  • Il paese è amministrato attraverso decreti governativi emanati sotto il controllo assoluto del presidente.
  • Sono stati promulgati 28 decreti legge legittimati non dal parlamento ma dallo stato d’eccezione, in virtù del quale circa 150mila funzionari pubblici sono stati destituiti, praticamente senza alcuna possibilità d’appello, e 50mila sono stati arrestati.
  • Sono stati arrestati undici deputati dell’opposizione, 63 sindaci (quasi tutti curdi), 172 giornalisti e dieci attivisti per i diritti umani, spesso senza processo.
  • Sono in costruzione cinquanta nuove prigioni, visto che la popolazione carceraria ha superato del 10 per cento la capacità attuale.
  • Tra le persone che sono state rimosse, 8.500 accademici hanno perso il loro lavoro, senza alcuna possibilità di trovare un impiego universitario e, nella maggior parte dei casi, senza essere sostituiti.
  • Sono state chiuse 19 università e 2.099 istituti scolastici.
  • Sono state chiuse e dichiarate illegali 187 testate giornalistiche.
  • 560 fondazioni, 54 ospedali, 1.125 associazioni e 19 sindacati sono stati chiusi.
  • Circa 550 aziende private sono state nazionalizzate e i loro beni espropriati.
  • Di conseguenza, le richieste d’asilo presentate da cittadini turchi sono in forte aumento nei paesi europei.

Sentendosi legittimato dall’esito del referendum, il regime continua a rafforzare la sua presa sul potere legislativo e su quello giudiziario, concretizzando de facto le disposizioni dell’emendamento costituzionale, che tecnicamente dovrebbe entrare in vigore dopo le elezioni presidenziali del 2019. Le alte cariche della magistratura sono designate dall’uomo forte e tutto il personale giudiziario è controllato dal potere politico. Il parlamento annaspa e i deputati dell’opposizione sono costantemente minacciati di perdere l’immunità, come è accaduto agli undici deputati attualmente in prigione.

Oggi più che di separazione dei poteri, si deve parlare di unità del potere. E visto il deprimente stato della libertà di stampa e la natura ipercentralizzata dell’amministrazione pubblica, non esiste in Turchia alcun potere in grado di bilanciare l’onnipotenza del regime.

Nell’amministrazione, com’era prevedibile, la lealtà è premiata al punto che non esiste oggi alcun funzionario di alto livello che non sia direttamente o indirettamente legato al partito al potere. Di conseguenza, le grandi istituzioni statali sono totalmente fagocitate dai fedelissimi del regime, spesso incompetenti ma leali. Università, amministrazione del territorio, esercito, diplomazia, giustizia e tesoro sono privati dei loro funzionari migliori e sono diventati, di fatto, istituzioni superflue. Le decisioni che normalmente emanano da queste grandi istituzioni le prende un gruppo di consiglieri del presidente che risiede nel palazzo presidenziale.

E ancora, vediamo cosa succede in politica estera.

  • Il regime è in aperto conflitto con due alleati importanti, gli Stati Uniti e la Germania.
  • Le attività illecite degli imam ufficiali che fanno pressione sui cittadini turchi in Germania, le accuse di spionaggio in territorio turco, le invettive del regime contro i politici tedeschi, l’asilo concesso in Germania ad alcune persone accusate del tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, il riconoscimento da parte del Bundestag del genocidio degli armeni, le indicazioni di voto per i turchi in Germania alle elezioni tedesche, il divieto al Bundestag di visitare i militari tedeschi in missione per conto della Nato in Turchia, la detenzione di cittadini tedeschi accusati di spionaggio, l’ipotesi di embargo sulla vendita di armi tedesche al regime, il rifiuto unanime della classe politica e della società tedesca di portare avanti i negoziati d’adesione della Turchia all’Unione Europea… Tutti questi punti di scontro avvelenano le relazioni turco-tedesche senza tuttavia arrivare al punto di rimettere in discussione i lucrativi scambi commerciali e industriali tra i due paesi.
  • Con l’altro alleato importante, gli Stati Uniti, il regime, che aveva puntato forte su Trump, ha registrato alcune sconfitte. La nuova amministrazione si è infatti rifiutata di concedere l’estradizione di Fethullah Gülen, considerato il principale responsabile del tentato colpo di stato, così come dell’uomo d’affari turco-iraniano Reza Zarrab, arrestato a New York e accusato, insieme ad alcuni politici turchi, di aver violato l’embargo statunitense contro l’Iran. Washington, con grande disperazione di Ankara, continua inoltre a fornire armi pesanti e a proteggere l’esercito curdo in Siria, nella sua guerra contro il gruppo Stato islamico (Is). I sospetti di collaborazione di Ankara con l’Is restano, a loro volta, un punto problematico del cosiddetto partenariato strategico turco-statunitense. In questo senso, i tentativi del regime di comprare dei missili ss-400 dalla Russia irritano sia Washington sia i vertici della Nato.
  • Con l’Unione europea le relazioni sono da tempo a un punto morto, senza alcuna possibilità di rilancio. Le istituzioni europee prenderanno probabilmente nota di questo dato di fatto e proporranno nei prossimi mesi ad Ankara una nuova forma di rapporto bilaterale senza prospettive d’adesione, e senza neppure una revisione dell’unione doganale, che pure rappresenta un punto importante dell’economia turca. È un segreto di pulcinella oggi che la Turchia non rispetti in alcun modo i criteri necessari a negoziare un’adesione all’Unione e i suoi rapporti con l’Europa in generale ricordano tutto tranne che un partenariato.
  • Le relazioni con le altre istituzioni europee, come il Consiglio d’Europa per esempio, sono altrettanto tese. La Turchia è accusata di non rispettare i valori fondamentali del continente, in particolare dal comitato contro la tortura. L’assemblea parlamentare l’ha rimessa sotto sorveglianza e la Corte europea dei diritti umani ha da molto tempo gettato la spugna davanti al numero gigantesco di denunce presentate da cittadini turchi, al punto da non poter più parlare di stato di diritto.
  • L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani critica regolarmente le prevaricazioni di Ankara, e lo stesso fanno le grandi ong internazionali, come Amnesty international, Freedom house, Human rights watch, Reporters sans frontières e così via.
  • Le relazioni con i paesi vicini somigliano più a delle tensioni e a delle minacce che a una cooperazione. La Turchia ha relazioni normali solo con la Georgia, tra i 12 paesi vicini. Le relazioni con gli altri undici seguono un andamento incostante, dettato dagli umori dei responsabili del palazzo presidenziale. Quanto al Medio Oriente, gli “amici” di Ankara si limitano per ora al solo Qatar.

Per concludere, ecco i sei tratti salienti del regime, dal punto di vista teorico e pratico.

  • Il regime si fonda sull’extralegalità o l’assenza di legalità, nella misura in cui si considera rivoluzionario e antitetico alla repubblica kemalista. Da questo deriva la sua assoluta disinvoltura nell’effettuare quotidianamente, e allegramente, sopraffazioni legali e costituzionali. In Turchia non si parla più di diritti umani, minoranze o diritto tout court. Il regime si fa invece forte di una nuova legittimità e, naturalmente, di un nuovo “diritto”.
  • L’espressione “Nuova Turchia” è il risultato di questo colpo di mano, ma deve ancora essere modellata nel contenuto e nella forma. Da questo deriva l’aggressivo controllo dei sistemi e delle strutture dell’istruzione, religiose e culturali.
  • Il regime gode di un’incontestabile legittimazione da parte della popolazione, la cui sottomissione resta incomprensibile senza un’analisi del desiderio di fascismo.
  • Il regime è riuscito a monopolizzare e a controllare l’uso delle armi, che si tratti di esercito, polizia, gendarmeria, milizie private, milizie curde leali al regime e aziende private di sicurezza.
  • La politica economica è fondata esclusivamente sull’edilizia, le grandi opere, gli investimenti in carburanti fossili e il consumo di massa, ed è in questo senso fieramente antiambientalista.
  • Le relazioni esterne restano fortemente soggette agli umori del presidente, agli interessi economici degli uomini forti del regime, a un’eccessiva fiducia nelle proprie capacità d’influenza, al sentimento antioccidentale e all’atavico antisemitismo dell’islam salafita.
  • Continua…

(Traduzione di Federico Ferrone)

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