12 dicembre 2017 12:58

Negli anni novanta, il guru americano della finanza personale David Bach coniò l’espressione latte factor®, fattore cappuccino (oggi è un marchio registrato), e nacque un mito. Quando andrete in pensione sarete diventati milionari, garantiva Bach, se solo rinuncerete ad andare tutti i giorni al bar e investirete i soldi che risparmiate!

Il guaio è che non è così. Nel suo libro del 2012 Pound foolish, Helaine Olen fa notare che Bach partiva dal presupposto che si prendesse un cappuccino al bar 365 giorni all’anno, ci aggiungeva il costo dei biscotti e alla fine otteneva una somma annuale a tre cifre; ipotizzava improbabili guadagni sugli investimenti e non teneva conto dell’inflazione e delle tasse. Ma l’idea del fattore cappuccino suonava così bene che non aveva importanza se non era poi così “precisa”.

Distraeva l’attenzione dai difetti del sistema, faceva apparire la sicurezza economica una semplice questione di autodisciplina, e lasciava intendere che ci si poteva riuscire senza sacrificare niente di importante.

L’equivalente 2017 del fattore cappuccino, naturalmente, l’hanno trovato gli agenti immobiliari che accusano i giovani di spendere soldi per comprare toast all’avocado invece che risparmiarli e permettersi un appartamento in una città costosa.

L’economia dei consumi moderna è piena di lussi fasulli

Anche in questo caso i conti non tornano: l’ipotesi di partenza è che spendano 15 euro in panini al giorno più cento per un’uscita serale. Ma anche se i conti tornassero, il fattore panino rimarrebbe comunque discutibile, e non solo perché sembra mettere sotto accusa le vittime della crisi immobiliare, ma perché non sempre è più saggio investire in un futuro migliore invece di spendere per godersi la vita adesso.

È una scelta personale, che dipende da quanto ci piacciono i panini o da quanto siamo disposti a trasferirci in una zona meno costosa del paese. E poi così è facile rimandare troppo le gratificazioni, cadere vittime di quello che lo psicologo Jack Block chiama “controllo eccessivo degli impulsi”, che “ci rovina tutte le esperienze e ci impedisce di assaporarle”.

Può anche darsi che valga la pena di divertirsi di meno a vent’anni per sentirsi più sicuri a cinquanta, ma non è una verità assoluta.

Il che non significa che non sprechiamo soldi per comprare panini gourmet, qualunque sia la nostra età. L’economia dei consumi moderna è piena di lussi fasulli, che rientrano nella categoria che lo scrittore Venkatesh Rao ha definito in modo brillante “mediocrità premium”, cioè non cose necessarie ma neanche veri lussi, che di solito costano troppo. Gli esempi che porta Rao sono il “gelato allo yogurt”, “l’olio di tartufo su tutto”, “lo spazio in più per le gambe in classe economica”, e qualsiasi prodotto “firmato”.

Non valgono quello che costano, il che non significa che dovremmo risparmiare per comprare qualcosa di più sensato, ma che il piacere che ci danno non è proporzionato a quello che spendiamo in più (una cena memorabile in un ristorante da 120 euro a persona è chiaramente preferibile a quattro cene in posti mediocri da 30 euro).

Comunque, l’idea di rinunciare a questo genere di cose è ottima. Non perché in un ipotetico futuro diventeremo magicamente milionari, ma perché sono solo un modo stupido di gratificarci nel presente.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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