La diplomazia è la prosecuzione della guerra con altri mezzi? O è invece un modo per evitarla o quanto meno porvi fine quando non è stato possibile scongiurarla? Nei prossimi giorni avremo nuovi elementi per rispondere a questo interrogativo grazie a una serie di appuntamenti internazionali.

Per la prima volta dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, quasi nove mesi fa, i leader delle principali economie del mondo si ritroveranno all’inizio della prossima settimana per il G20 di Bali, in Indonesia. Ci saranno tutti, tranne uno: Vladimir Putin, che ha scelto la politica della sedia vuota e sarà rappresentato dal fedelissimo Sergej Lavrov, il ministro degli esteri.

Saranno invece presenti il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il numero uno cinese Xi Jinping e i leader europei come Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Giorgia Meloni, oltre a quelli dei grandi paesi emergenti come India, Brasile e Sudafrica. Alcuni paesi rappresentati, a cominciare da quelli occidentali, sono schierati al fianco dell’Ucraina; altri, come la Cina, sostengono politicamente la Russia; altri ancora, infine, si sono rifugiati in uno scomodo “non allineamento”. Il vertice di Bali sarà la prima occasione dopo lo scoppio della guerra in cui i leader mondiali avranno la possibilità di incontrarsi. Disertando l’evento, Putin corre il rischio di restare isolato e lasciare campo libero ai suoi nemici.

Storico faccia a faccia
Il momento chiave, come hanno confermato ieri Pechino e Washington, sarà il faccia a faccia in programma il 14 novembre tra Biden e Xi, i due grandi rivali del ventunesimo secolo. I capi di governo di Stati Uniti e Cina si conoscono dai tempi in cui occupavano la vicepresidenza dei rispettivi paesi, ma non si sono mai incontrati di persona dopo l’elezione di Biden, due anni fa.

Si tratta di un momento importante, perché i rapporti tra i due paesi continuano a peggiorare. Il mese scorso Biden ha preso alcune decisioni in merito all’industria dei semiconduttori (di cui conosciamo l’importanza strategica) che costituiscono una dichiarazione di guerra tecnologica contro la Cina. Pechino non ha ancora reagito, ma il colpo assestato alla capacità di innovazione cinese è stato durissimo.

Il fatto che tra i paesi del G20 qualcosa si stia muovendo è già un segnale positivo

La Russia rappresenta un elemento aggravante di questo rapporto sempre più conflittuale. La Cina, infatti, si divide tra un sostegno politico al progetto di cambiamento dell’ordine occidentale e la speranza di non diventare una vittima collaterale del fallimento russo. Tra i temi che alimentano la tensione tra i due paesi la Russia occupa un posto di rilievo.

Gli incontri in programma non avranno un impatto immediato sulla guerra, anche perché nessuno intende negoziare al posto di Russia e Ucraina, i cui presidenti interverranno solo in videoconferenza. Ma il fatto che tra i paesi del G20 qualcosa si stia finalmente muovendo è già un segnale positivo.

Il clima internazionale non è certo incoraggiante, come dimostra il fatto che il 9 novembre Emmanuel Macron si sia rivolto ai militari di Tolone parlando del “grande confronto geopolitico di domani”. Nel frattempo, a Pechino, Xi Jinping è apparso con indosso una tuta mimetica e ha esortato la commissione militare centrale del Partito comunista cinese a essere “leale ed efficace nella pianificazione della guerra” e a mostrare “il coraggio di vincere”.

Cosa può fare la diplomazia davanti alle “logiche di guerra”? Lo scopriremo durante il G20 ma anche nel corso di altri due vertici in programma in Asia: Biden, infatti, sarà prima a Phnom Penh per il vertice dell’Asean, il gruppo dei paesi dell’Asia del sud, e successivamente a Bangkok per dialogare con l’Apec, l’organizzazione dei paesi dell’Asia-Pacifico. Non dobbiamo aspettarci miracoli, ma era da tempo che i leader mondiali non si parlavano dal vivo. È già qualcosa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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