05 maggio 2017 16:37

Ai Brit awards del 1998, la storia d’amore tra New Labour e Cool Britannia (il periodo dell’ottimismo e dell’orgoglio britannico) ricevette una bella doccia fredda quando Danbert Nobacon dei Chumbawamba rovesciò un secchio di acqua in testa a John Prescott, allora vice primo ministro. Fu una bella batosta.

Meno di un anno prima, nel luglio del 1997, poco dopo la vittoria dei laburisti alle elezioni, un Tony Blair trionfante aveva dato un grande ricevimento per il mondo della musica al numero 10 di Downing street, cementando il legame tra il nuovo governo e tutte le cose più trendy.

Anche se, stando ai diari di Alastair Campbell, già allora Blair era preoccupato per le intemperanze rock e temeva che Noel Gallagher “facesse qualche follia”. Il capo della Creation records Alan McGee lo rassicurò che Noel si sarebbe comportato bene, limitandosi ad aggiungere solo che “se avessimo invitato Liam sarebbe stato diverso”.

Una versione parziale della storia musicale
Povero Tony, però, così ansioso di ingraziarsi i giovani cool e così spaventato di quello che avrebbero potuto fare. Ero ai Brit del 1996, dove tenne un discorso, quando la sala fu percorsa da un fremito di approvazione e dal suo opposto.

Il gruppo di persone sedute al tavolo dietro di noi dava fastidio e ricordo che mi girai per gridargli: “E voi, chi preferireste?”, provando un senso di lealtà e di gratitudine nei confronti di Blair per l’inaspettato ottimismo che aveva portato nella vita dell’elettore laburista. Ne nacque una discussione ad alto tasso alcolico. Niente di strano ai Brit, se non fosse che stavolta riguardava la politica e non la droga o il rock’n’roll.

Nel suo goffo completo anni novanta, con cravatta a pois, Blair celebrava la rinnovata presenza delle band britanniche ai vertici delle classifiche, attribuendone il successo all’ispirazione tratta da gruppi del passato “come i Beatles, gli Stones, i Kinks… o quelli delle generazioni successive, come i Clash, gli Smiths, gli Stone Roses…”.

Be’, non c’è bisogno che vi dica quale categoria di persone mancasse da questo elenco. Quella di Blair era una versione della storia della musica che riassumeva esattamente quello che non andava negli anni del britpop.

Avevo partecipato ai Brit anche nel 1995, e più tardi ho scritto nel mio Bedsit disco queen quanto fossi orgogliosa di essere seduta accanto ai Massive Attack: “Protection era candidato a un paio di premi, e anche se eravamo al culmine dello scontro britpop tra Oasis e Blur, sentivo che il tavolo a cui sedersi era il nostro, con i Massive, Tricky e Björk. I giovani del rock sembravano intrappolati in una monotona rimasticatura del passato, ancora aggrappati ai soporiferi anni sessanta, mentre noi eravamo insieme a un gruppo di persone che guardava avanti”.

Nel 1996 questi due filoni della scena musicale erano già in diretta competizione. La nostra Missing era candidata come miglior singolo, e Protection (il singolo) era candidato come miglior video. I Massive Attack vinsero il Best british dance act, mentre Batman forever, con i Massive e io che cantavamo una cover di Smokey Robinson, vinse come miglior colonna sonora. Ma gli Oasis vinsero nelle categorie miglior album, miglior video e miglior gruppo, battendo i Blur, i Pulp e i Radiohead, e quando i Massive andarono a ritirare il loro premio, 3D fece un commento sarcastico del tipo: “È piuttosto paradossale, dato che nessuno di noi sa ballare”. Era una battuta ma lui non rideva e credo che non avesse tutti i torti. Avrebbe potuto dire: perché siamo in una categoria diversa dai Blur e dai Radiohead? Perché Protection è un album “dance”? Che cosa si intende per “dance”?

Per qualche ragione, a metà degli anni novanta ha cominciato a prendere piede una forma di nostalgia

Era un classico esempio di othering o alterizzazione. L’implicazione dei premi, e del discorso di Blair, era che i ragazzi bianchi con la chitarra erano la Norma, e che le deviazioni da quella norma erano l’Altro, e di sicuro non il filone principale.
Come sarebbe stato bello se, per esempio, celebrando i successi della musica britannica Blair avesse citato gli Stones, Dusty Springfield, Sandy Denny, i Sex Pistols, gli Smiths, Soul II Soul, gli Specials e Sade. Un elenco che riflette la grandezza del pop britannico: e sono solo artisti che cominciano per S.

L’altro evento dei Brit awards del 1996 fu l’incidente Jarvis Cocker/Michael Jackson. Accadde tutto così in fretta che nessuno fece in tempo a capire cosa stesse succedendo, e la sala fu attraversata da un forte brusio: “Che è stato?”. Ma la mattina dopo l’episodio era già entrato nella storia dei ribelli del pop: un inglese un po’ punk fa irruzione sul palco per sfottere una superstar narcisista.

Oggi non lo trovo più così divertente, e non posso fare a meno di provare un senso di imbarazzo al pensiero che in effetti Cocker aveva insultato l’unico artista nero che si esibiva sul palco quella sera, premiato come Artist of a generation. Ripensandoci, il gesto di Cocker faceva pensare alle spacconate di quella lad-culture maschilista e sessista, che era un altro degli aspetti peggiori dell’epoca.

Il britpop sarà anche nato per riaffermare il primato della musica indipendente britannica sul grunge americano, ma ha favorito chi voleva riaffermare gli stili musicali più tradizionali e le band vecchio stile, nonostante i recenti successi della cultura rave e disco.

L’industria, allarmata dai collettivi, dai dj e dagli anonimi vocalist “ospiti”, accorse in difesa delle nuove band praticamente identiche a quelle di un tempo. Pensavano che quel genere fosse il più adatto a vendere dischi e a portare soldi. Urrà per il britpop! Probabilmente era un bel sollievo dopo i Brit del 1994, quando i premi erano andati a Dina Carroll, Stereo MCs, Gabrielle e M People, e quando due donne, Björk e P J Harvey, avevano interpretato una versione radicalmente destrutturata del classico rock degli Stones (I can’t get no) Satisfaction.

Contro la versione ufficiale
Succedevano così tante cose. Le uscite strepitose dei Portishead e di Tricky, la nascita dell’etichetta Metalheadz di Goldie e del drum’n’bass. Era una scena prog, e mi ricordava gli anni ottanta, quando sull’onda del punk le classifiche di vendita si erano riempite di duo musicali uomo/donna, gruppi multirazziali, cantanti androgini e artisti gay di musica elettronica.

Per qualche ragione, però, a metà degli anni novanta ha cominciato a prendere piede una forma di nostalgia, quasi senza che ce ne accorgessimo. Oggi, con le discussioni sul grime agli ultimi Brit awards, mi rendo conto che non è cambiato molto se siamo ancora qui a discutere di come sia possibile rispecchiare e rispettare i gruppi underground della scena musicale britannica. Forse il problema si è creato quando i giornali hanno cominciato a pubblicare in prima pagina la notizia di due gruppi rock che uscivano con un singolo nello stesso giorno, e noi abbiamo fatto finta di credere che fosse uno scoop clamoroso.

Quindi mi ribello alla versione ufficiale di quello che era importante, all’idea di ridurre quegli anni alla storia del britpop. Il britpop era solo un aspetto di quello che accadeva, non tutto. L’eredità della musica della metà degli anni novanta è evidente in artisti contemporanei che vanno da James Blake e FKA Twigs, a Stormzy e The xx, passando per Skepta e Disclosure. D’altra parte, chi sostiene di essersi ispirato agli Oasis? E questo mi fa pensare che ogni volta che si riafferma lo stereotipo del gruppo rock, dobbiamo guardare altrove per trovare qualcosa di veramente interessante.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico New Statesman.

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