Un famoso motto di Benjamin Franklin è: “An investment in knowledge pays the best dividends”. Negli Stati Uniti non l’hanno dimenticato né Barack Obama né il suo ministro dell’educazione Arne Duncan. Ma il morso della crisi fa soffrire le grandi università, che già prima avevano visto contrarsi i loro crediti. Qualcuno si è dimenticato di Franklin.
Non succede così nel Levante. Seguendo l’ormai secolare esempio giapponese, la Corea e da alcuni anni anche la Cina hanno moltiplicato i finanziamenti per scuole e università. Mettendo a confronto le classifiche internazionali delle università degli ultimi cinque anni gli effetti sarebbero già evidenti, sostiene in Asia sentinel un articolo di Bill Costello, autorevole studioso statunitense di politiche educative: diminuisce il numero delle università americane tra le prime cento del mondo, tengono il passo le giovani università coreane, aumentano quelle cinesi.
Nella stessa rivista si dà conto del crescente e impressionante impegno finanziario cinese. L’articolo di Costello sta suscitando centinaia di interventi nella stampa mondiale. Anche nella piccola Italia valorosi economisti come Ignazio Visco e Piero Cipollone hanno mostrato a più riprese che un misurato aumento di investimenti in istruzione dà o darebbe grandi incrementi di pil.
Ne abbiamo parlato qui, ne ha parlato qualche pagina specializzata, li hanno invece ignorati il nostro governo e la classe politica, come se Visco e Cipollone avessero parlato in cinese.
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