Cultura Schermi
Un semplice incidente
Un semplice incidente (dr)

Girato in completa segretezza e vincitore della Palma d’oro a Cannes, Un semplice incidente permette a Panahi di liberarsi della “figura” del regista, protagonista dei suoi ultimi film. L’azione si svolge in un furgone. Nel retro è chiuso il probabile aguzzino di cinque personaggi che non sono in grado di identificarlo con certezza. Un operaio, un fotografo, due promessi sposi e un uomo arrabbiato devono decidere il destino di un prigioniero che potrebbe averli torturati quando erano prigionieri a loro volta. Oltre a varie intuizioni geniali sul concetto di prigionia, il film insiste su una domanda centrale: uccidere o no l’uomo catturato? Questo splendido ritorno al cinema di finzione permette a Jafar Panahi di riflettere su questioni fondamentali come la differenza tra la vendetta e la giustizia. Ma alla fine il regista iraniano lascia al pubblico il compito di giudicare se siamo della stessa pasta dei nostri aguzzini oppure no.
Camille Nevers, Libération

Train dreams
Joel Edgerton, Felicity Jones
Stati Uniti 2025, 102’. In sala (dal 21 novembre su Netflix)
Train dreams (dr)

Oltre il western, in parte romantico, in parte trattato filosofico, Train dreams sembra un grande film mai realizzato di Terrence Malik. È ambientato nel nordovest degli Stati Uniti (e dintorni), principalmente all’inizio del novecento. Edgerton (in modalità da Oscar) e Jones interpretano una coppia di pionieri in lotta con la natura selvaggia e i rovesci del destino. La storia, un adattamento del romanzo di Denis Johnson, ha un tono fiabesco esaltato dall’asciutta voce narrante di Will Patton, ruota intorno a marito e moglie, andati a vivere tra i mitici boschi dello stato di Washington perché, come Thoreau, “vogliono vivere consapevolmente” e perché credono nella “civilizzazione” del paesaggio naturale. Natura che ovviamente si ritorcerà contro di loro. Ma c’è anche altro, come l’intolleranza e il bigottismo. Il protagonista lotta incessantemente contro tutto, aspettando una rivelazione. La dolorosa bellezza del film sta nella speranza, fragile e struggente, di una rivelazione.
Kevin Maher, The Times

La divina di Francia. Sarah Bernhardt
Sandrine Kiberlain
Francia / Belgio 2024, 98’. In sala

A cento anni dalla morte della più grande tragédienne francese, arriva un film biografico leggero che rinuncia a ogni accenno di enfasi. La sceneggiatura di Nathalie Leuthreau opta per il tratteggio anziché la portata epica. Cattura Sarah Bernhardt (Kiberlain) nel 1923, sul letto di morte, per tornare indietro e concentrarsi su due momenti chiave della sua vita: il 1915, anno in cui, dopo una rovinosa caduta, le fu amputata una gamba, e il 1896, quando i suoi cari avevano organizzato una sontuosa celebrazione, una “giornata Sarah Bernhardt”, a cui prese parte tutto il bel mondo parigino. All’interno di una struttura frammentata il film sembra un gioioso laboratorio di attori intorno a questo “tesoro nazionale” (come la definì Georges Clemenceau). Poco interessato ai fatti, La divina di Francia è fedele a una sola cosa: il magnetismo indecente di una donna la cui personalità era talmente seduttiva da farle perdonare praticamente ogni cosa.
Murielle Joudet, Le Monde

Anemone
Daniel Day-Lewis
Regno Unito / Stati Uniti 2025, 125’. In sala

L’uomo spezzato e solitario al centro di Anemone non è fisicamente imponente, ma svetta su questo film modesto. Questo succede soprattutto perché a interpretarlo è Daniel Day-Lewis che otto anni dopo aver annunciato l’addio al cinema è tornato a recitare in un “affare di famiglia”, scritto insieme al figlio Ronan, che ne è anche il regista. Si tratta di un dramma visivamente ricco ma imperfetto che parla di padri, violenza, dolore e amore. Daniel interpreta Ray, un ex militare britannico che anni prima è fuggito da tutto, compresa la moglie incinta. Le ragioni della sua “fuga” emergono pian piano in mezzo a una serie di massacri emotivi in un film che alterna realismo a momenti surreali. Il problema è che la forza dell’interpretazione del protagonista alla fine mette a nudo la banalità della sceneggiatura.
Manohla Dargis, The New York Times

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1639 - 7 novembre 2025
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