Una cabina a gettoni della Telecom, rimasta in piedi dagli anni novanta, un particolare di una crepa di un caseggiato popolare, un graffito su una saracinesca con la scritta femminista “Toccate una, rispondiamo tutte”, l’immondizia per la strada. Sono alcuni dei soggetti rappresentati nelle foto scattate dagli studenti dell’istituto Albe Steiner di Milano, che hanno raccontato attraverso il loro sguardo il quartiere in cui vivono, Corvetto.

Le foto sono poi finite in una mostra chiamata Attraverso Corvetto, finanziata dall’ong Action aid nell’ambito di un progetto di alternanza scuola lavoro ed esposta nel Centro polifunzionale Ferrara, un ex capannone industriale di una fabbrica di lastre di alluminio diventato prima bocciofila, poi luogo di aggregazione a due passi da uno studentato aperto da poco e dal vecchio mercato del quartiere in piazzale Ferrara.

Spesso la zona viene rappresentata dai mezzi d’informazione come una periferia violenta, una banlieue in mano alla criminalità e allo spaccio, e finisce sui giornali solo per episodi di cronaca nera come la morte del diciannovenne di origine egiziana Ramy Elgaml, che ha perso la vita in un incidente il 24 novembre mentre era su un motorino insieme a un altro ragazzo, Fares Bouzid, 22 anni, dopo un inseguimento dei carabinieri. I due non si erano fermati a un posto di blocco.

La notizia della morte di Ramy Elgaml ha scatenato le proteste dei ragazzi del quartiere nei giorni successivi all’evento e nuove manifestazioni, dopo che il 7 gennaio sono stati pubblicati dei video che mostrano tre macchine dei carabinieri tallonare il motorino e gli agenti nell’auto commentare l’inseguimento, augurandosi una caduta dello scooter.

“I ragazzi non accettano di essere rappresentati come dei criminali”, spiega Andrea Ferrari, educatore e scrittore, che da trent’anni lavora nel doposcuola del Polo Ferrara, l’ex fabbrica di via Mincio, ristrutturata dal comune di Milano nel 1994 e gestita da due associazioni che si occupano di organizzare attività ricreative e costruire alternative alla strada per una popolazione di giovani e adulti che continua a essere discriminata. Ogni giorno frequentano la struttura circa trecento persone, dai sei ai novant’anni.

A sinistra, il centro polifunzionale Polo Ferrara del comune di Milano. A destra, piazza Agiliberto II, 2020. (Carmen Colombo)

“Con i ragazzi del doposcuola abbiamo parlato a lungo della morte di Ramy e dell’inseguimento”, racconta Ferrari, che ha conosciuto direttamente Elgaml quando andava alle scuole medie e frequentava le sue lezioni.

“Era una ragazzo vulcanico, sensibile, iperattivo. Il padre lo accompagnava e lo veniva a riprendere, una bravissima persona”, ricorda l’educatore, che ancora oggi segue una quarantina di ragazzi del quartiere dai 6 ai 12 anni nel sostegno allo studio. Il complesso del Polo Ferrara, aperto tutti i giorni compresa la domenica, si trova a pochi metri dalle case popolari in cui abita la famiglia Elgaml. “I ragazzi pensano che le autorità si occupino del quartiere solo quando succedono fatti eclatanti, che tra l’altro servono a rafforzare gli stereotipi da cui poi non si riescono a liberare”, sottolinea l’educatore.

“Tutto questo è stato un grande passo indietro per il lavoro fatto dalle associazioni negli scorsi decenni”, continua Ferrari, secondo cui la città ha confermato i suoi pregiudizi sulla periferia, mentre la popolazione di Corvetto si è sentita giudicata e condannata senza appello.

Il quartiere è tra le aree di Milano indicate dalla prefettura come “zone rosse”, quindi come luogo in cui è vietato l’accesso a persone con precedenti penali o considerate pericolose, per cui viene disposto l’allontanamento forzato attraverso il “daspo urbano” introdotto già nel 2017 dal decreto Minniti. La misura delle “zone rosse”, istituita con una direttiva dal ministero dell’interno, è valida dal 30 dicembre 2024 al 31 marzo 2025 ed è stata adottata anche da altre città italiane come Firenze, Bologna e Roma.

“La novità è che c’è una parte della popolazione di Corvetto, che magari vent’anni fa era nella stessa condizione di marginalità, che vorrebbe si usasse il pugno duro verso chi oggi è in una condizione di difficoltà. Una specie di conflitto tra vecchi e nuovi abitanti”, spiega Ferrari.

L’istituzione delle zone rosse ha rafforzato la presenza delle forze dell’ordine nel quartiere, percepite spesso come ostili, che operano di frequente con metodi discriminatori come la profilazione razziale verso gli stranieri o le persone razzializzate. Un fattore per cui l’Italia ha ricevuto anche un richiamo dall’Ecri, l’agenzia contro il razzismo e le discriminazioni del Consiglio d’Europa.

Su questa situazione pesa anche una disuguaglianza crescente, che in una città come Milano è molto visibile. Corvetto è un quartiere periferico e popolare con un reddito pro capite tra i più bassi di Milano, ma si trova a dieci minuti di metropolitana dal Duomo e vicino alla zona di Porta Romana. Così, le differenze sociali tra chi vive dentro a una certa dimensione della città – quella della finanza, della moda e del design – e quelli che ne sono esclusi è più visibile.

Un fenomeno tutt’altro che nuovo, se si pensa ai classici del cinema e della letteratura italiana come Rocco e i suoi fratelli, il capolavoro di Luchino Visconti girato nel 1960 che racconta le difficoltà di un gruppo di fratelli arrivati a Milano dalla Lucania per lavorare, e il libro da cui prende ispirazione, i diciannove racconti del 1958 raccolti nel volume Il ponte della Ghisolfa dello scrittore milanese Giovanni Testori. Due opere che rappresentano la realtà ambigua e stratificata delle periferie milanesi in quegli anni; tra migrazione, boom economico, criminalità e nuovi modelli di ricchezza ed esclusione.

Corvetto è un quartiere disomogeneo. “Per la sua vicinanza al centro è stato protagonista di speculazioni immobiliari. Ci sono almeno tre Corvetto, quello delle case popolari degli anni venti che sono ancora protagoniste di degrado, quello dei palazzi della speculazione edilizia degli anni sessanta e settanta e le case basse costruite all’inizio del Novecento da cooperative e corporazioni che sono state recentemente oggetto di riqualificazione”, spiega Ferrari, descrivendo un tessuto urbano che favorisce il senso di discriminazione nelle fasce sociali più deboli.

Sorto in un’area in origine agricola, Corvetto è un quartiere popolare nella zona sudest di Milano. Negli anni venti del novecento, durante il fascismo, al posto dei campi e delle cascine, sono stati costruiti gli edifici dell’Istituto autonomo case popolari per ospitare gli immigrati che dal sud arrivavano a Milano per lavorare nelle fabbriche. “Il quartiere è sempre stato abitato da immigrati: prima venivano dalla campagna o dal sud, ora arrivano da tutto il mondo”, racconta Ferrara.

A sinistra, l’interno del Bar Lucio, storico locale di Corvetto. A destra, il mercato comunale in piazzale Ferrara, 2020. (Carmen Colombo)

Al doposcuola del Polo Ferrara i ragazzi sono quasi tutti arabofoni, presentano difficoltà scolastiche e bisogni educativi speciali dovuti un po’ ai problemi linguistici e un po’ alla situazione familiare di provenienza. Inoltre, nel quartiere esiste da anni un fenomeno di abbandono scolastico, su cui si è cercato di intervenire negli ultimi anni: l’11 per cento degli alunni delle scuole elementari e medie è a rischio di dispersione, e le classi sono costituite spesso da una maggioranza di bambini e ragazzi di origine straniera, anche di nuovo insediamento.

C’è quindi una parte di Corvetto che è attiva nelle iniziative delle decine di associazioni che compongono il ricco tessuto sociale della zona, e poi una parte che non viene intercettata. “Rimangono per strada, al bar, nelle case. Sono i più esposti, più vulnerabili: è più facile che finiscano nel giro della criminalità”, conclude Ferrari.

Un’affermazione confermata dagli operatori del centro Nocetum, che da anni ha attivato un doposcuola per bambini e bambine che hanno difficoltà scolastiche. “Negli anni novanta seguivamo i figli di quelli che cercavano un rifugio nelle cascine abbandonate del territorio, poi dal duemila ci siamo occupati dei ragazzi del campo rom di via San Dionigi e successivamente abbiamo preso in carico i ragazzi provenienti dal Maghreb”, spiega Mariangela Monga del centro Nocetum.

“I bambini che frequentano il nostro doposcuola provengono soprattutto dal Marocco, ma spesso sono nati in Italia e presentano delle difficoltà con la lingua italiana. Cerchiamo anche di stabilire un rapporto di collaborazione con le famiglie, nello specifico con le mamme”, continua Monga. Nel quartiere è stata istituita una rete di associazioni contro la povertà educativa con il progetto Qubi, finanziato da Fondazione Cariplo.

Corvetto ha una popolazione giovanile molto numerosa, e questo rappresenta una risorsa in una città e in un paese sempre più costituito di anziani. “Meno male che ci sono tanti ragazzi, molto vivaci”, afferma Nicola Licci, presidente dell’Arci Corvetto, che ha una sede a via Oglio, non lontano dal Polo Ferrara. “Per fare un esempio, noi stiamo crescendo alcuni dei migliori rapper della città, che sono nati e cresciuti da queste parti e che vengono a provare nella nostra sala prove”.

JoshZona4 e Cisky MCK sono i più conosciuti. Josh è un tatuatore e ha scritto l’inno del Corvetto: Corvetto è. Nel quartiere vive anche il più giovane rapper d’Italia: 500Tony. La sala di registrazione dell’Arci è dedicata a Lorenzo Furfari, il giovane rapper milanese morto nel 2011: “Questa la dedico ai ragazzi del quartiere / A chi è cresciuto in mezzo a tutto ciò che non vorreste mai vedere / Fra l’esercito, i caramba, la locale e le pantere. Coi padri coi tatuaggi e le storie di galere”, aveva scritto in una canzone prima di togliersi la vita.

Anche la comunità di sant’Egidio è presente a Corvetto dagli anni novanta, quando la gentrificazione di altri quartieri di Milano come Porta Romana ha spinto a Corvetto diverse persone anziane che erano seguite dall’associazione. “Ancora oggi ci occupiamo di seguire gli anziani del quartiere, nei caseggiati popolari o nelle rsa. Nel quartiere ce ne sono due di proprietà del comune”, spiega Stefano Pasta coordinatore delle attività di Sant’Egidio. Tra via dei Cinquecento e via Panigale, nella parte storica degli edifici popolari, Sant’Egidio è presente anche con un doposcuola rivolto a un centinaio di ragazzi delle elementari e delle medie. I bambini sono quasi tutti di origine marocchina o egiziana.

“Proviamo anche a creare ponti tra le diverse generazioni con attività che riguardano sia i ragazzi sia gli anziani, perché in un quartiere densamente popolato come Corvetto la solitudine e la mancanza di legami sociali solidi sono un grande problema. L’obiettivo è creare relazioni tra vecchi e nuovi abitanti, tra giovani, anziani e nuovi milanesi, per mostrare che vivere insieme è possibile”, continua Pasta, secondo cui Corvetto è un quartiere di approdo a Milano. Molti stranieri, che sono rimasti fuori dal sistema di accoglienza italiano a causa delle leggi più recenti, riescono a trovare nella periferia un posto letto a prezzi accessibili, anche se in situazioni fatiscenti.

“Magari in appartamenti sovraffollati e in situazioni precarie”, spiega Pasta. Sant’Egidio fornisce anche uno sportello legale per l’accompagnamento all’asilo di queste persone, arrivate da poco in Italia, e inoltre da decenni si occupa delle famiglie rom di origine slava e romena, che prima abitavano nei campi e nelle baraccopoli del quartiere e ora sono state gradualmente trasferite nelle case popolari.

Per il coordinatore della comunità di sant’Egidio, ogni momento di crisi vissuta sul piano nazionale è stata avvertito in maniera ancora più profonda in zone come Corvetto: dalla crisi economica del 2008 alla fine del reddito di cittadinanza nel 2024, passando per il confinamento dovuto alla pandemia di covid-19 nel 2020 e in generale la crisi del welfare.

“Durante i lockdown (soprattutto il secondo) molti ragazzi si sono allontanati dalla scuola e non l’hanno più ripresa. La strada in quel momento è diventata l’unica alternativa alla solitudine. Il tema della dispersione scolastica si è verificato soprattutto nelle scuole medie”, spiega Pasta, che comunque riconosce che l’amministrazione comunale ha investito nei servizi per questo quartiere. “C’è un grosso problema di inserimento nella scuola dell’infanzia dagli zero ai sei anni, e quello della dispersione intorno all’adolescenza”, continua. Ma tutto questo può essere contrastato solo con politiche che puntano sul contrasto alla povertà, all’educazione e all’istruzione.

Nelle case popolari vivono soprattutto anziani, anche soli, persone con marginalità, famiglie di stranieri e famiglie di origine rom. Uno degli aspetti più interessanti che si verificano in quartieri come questo è la creazione di una nuova identità a partire dal sentirsi discriminati. “I ragazzi si sentono di appartenere alla ‘coda della città’”, spiega Pasta, usando le parole pronunciate da uno dei ragazzi di origine straniera dopo la morte di Ramy Elgaml.

Il quartiere diventa come una seconda famiglia, si perdono in parte le appartenenze alle comunità straniere di origine e si costruisce una nuova identità a partire dal proprio legame con la periferia in cui si cresce: “Ci si sente corvettiani. Anche vite e biografie molto diverse si riconoscono nell’identità del quartiere, associata alle ingiustizie subite e alla percezione di essere discriminati dal resto della città”, conclude Pasta.

Per molti di questi ragazzi non avere la cittadinanza, pur essendo nati in Italia, rappresenta un’ulteriore elemento di “mancato riconoscimento”. Un vuoto che diventa incomprensibile, che si somma al fatto di sentirsi sempre in ritardo, allontanati ed esclusi. E che può trasformarsi in rabbia. Un problema che può essere solo acuito da un approccio securitario e dall’istituzione delle zone rosse. Per le associazioni il rischio è quello di tornare indietro di decenni.

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