Gli studenti volevano far valere le loro ragioni. Affollavano l’università, scandendo slogan. Un cartello raffigurava una scena scandalosa: una ragazza che osava salire su una bicicletta. Era il 1897 e a Cambridge si stava valutando se le donne potessero laurearsi come gli uomini. I contestatori, studenti per i quali cose come donne cicliste o laureate rappresentavano un abominio morale, alla fine ebbero la meglio. L’università rifiutò di riconoscere alle donne la possibilità di prendere una laurea, una decisione che sarebbe rimasta in vigore per i successivi cinquant’anni. Nel frattempo i manifestanti decapitavano l’immagine della ciclista, spingendola oltre i cancelli della vicina università femminile.

Nelle foto dell’epoca il caos di Cambridge appare come una qualsiasi altra protesta studentesca, a parte il fatto che quasi tutti indossavano una paglietta. Fu rumorosa e appassionata. Era, però, sbagliata. Oggi quasi tutti sono d’accordo che gli studenti arrabbiati di Cambridge avevano torto dal punto di vista morale. Un fatto che oggi appare insolito. La maggior parte delle proteste studentesche della storia si presentano come importanti segnali di progresso. Dai movimenti statunitensi per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam agli accampamenti contro l’apartheid negli anni ottanta e all’opposizione contro l’invasione dell’Iraq nel 2003, di solito la rabbia degli studenti è considerata l’avanguardia del senso morale del futuro. Di solito.

Crediamo di essere più saggi delle generazioni precedenti. Non dovremmo allora presumere che le generazioni successive siano ancora più sagge?

Dobbiamo quindi aspettarci che succeda anche con l’attuale ondata di manifestazioni nelle università provocata dall’invasione israeliana di Gaza? Secondo il New York Times negli atenei statunitensi ad aprile sono stati arrestati più di mille manifestanti. Dopo la contestata decisione della Columbia university di schierare la polizia contro gli studenti il 18 aprile, in decine di atenei sono comparsi degli accampamenti di manifestanti, innescando quello che potrebbe essere il più grande movimento studentesco dai tempi della guerra del Vietnam.

Ma i contestatori hanno ragione? È vero, come sostengono, che le loro università hanno il dovere morale di disinvestire dalle aziende israeliane? Oppure, come afferma chi li critica, si tratta di una convergenza tra giovani esagitati e antisemitismo incontrollato?

Immaginate di non avere già un’opinione sulla moralità delle azioni di Israele. Immaginate di sapere poco del conflitto, ma di essere a conoscenza delle proteste attuali e dei precedenti storici delle agitazioni studentesche. Date queste informazioni, dovreste concludere che gli studenti hanno ragione su Gaza? Oppure dovreste astenervi dal giudicare, ammettendo che potrebbero essere smentiti in seguito, come successo ai decapitatori di cicliste di Cambridge?

Ci sono modi migliori per raggiungere verdetti morali che leggerli sui cartelli dei manifestanti. Ma la domanda è interessante perché mette in luce l’etica mistificante del vivere mentre si fa la storia. Crediamo di essere più saggi delle generazioni precedenti, di aver imparato dai loro fallimenti. Non dovremmo allora presumere che le generazioni successive siano ancora più sagge?

Questo è un motivo per prendere sul serio la protesta studentesca. Dovremmo accettare il fatto che i giovani hanno un vantaggio morale su di noi. Dalla loro parte hanno sia l’etica che gli abbiamo insegnato sia l’entusiasmo di sperimentare. Se c’è qualcuno in grado di prefigurare un futuro migliore, non è forse chi spera di vivere così a lungo da vederlo?

C’è una spiegazione alternativa per l’apparente lungimiranza delle proteste del passato. Invece di prevedere un futuro migliore, forse i leader studenteschi sono semplicemente le stesse persone che creano le convinzioni morali che in seguito li giustificheranno. Per generazioni l’attivismo studentesco è stato un terreno di formazione per le persone che in seguito hanno plasmato gli orientamenti politici e culturali della loro generazione. Dovremmo quindi aspettarci che, a prescindere dal fatto che abbiano torto o ragione, appaiano in effetti lungimiranti.

Forse, quindi, le idee degli studenti che manifestano si autoavverano. Se gli atteggiamenti morali futuri sono il risultato casuale della maturazione della prossima generazione di persone che sarà al potere, allora i nostri presunti progressi morali rispetto al passato saranno altrettanto arbitrari. Ma questo è un gioco degli specchi che porta a un relativismo assoluto insostenibile.

Che fare? Possiamo solo accettare le cose per quello che sembrano: i giovani di solito hanno ragione. Non sempre sulle forme della protesta – l’imprudenza dei ragazzi è una realtà — ma più in generale come indicatori di una direzione. Le rivendicazioni degli studenti che oggi manifestano sono un faro sul futuro, una guida alle cose in cui tutti domani diranno di aver sempre creduto. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati