17 ottobre 2016 17:09

La burrnesh è una donna di un paese balcanico, in genere l’Albania settentrionale, il Kosovo e il Montenegro, che decide di vestire i panni dell’uomo e come tale è riconosciuta dalla società in cui vive. Nelle comunità albanesi più arcaiche questa esigenza nasceva dal presupposto che una donna non potesse vivere da sola.

Il kanun, il più importante codice consuetudinario albanese, riconosce alle donne che scelgono lo stato di burrnesh di acquisire gli stessi diritti e doveri giuridici che tradizionalmente, nelle società patriarcali, sono attribuiti alle figure maschili. Per diventare burrnesh, la donna partecipa a una cerimonia in cui fa un “giuramento di conversione” davanti agli uomini più influenti del villaggio. In questa occasione avviene la vestizione ufficiale con abiti maschili e il taglio dei capelli. Ma soprattutto la donna fa un voto di castità.

Le motivazioni dietro a questa scelta sono molteplici: la mancanza di eredi maschi dopo la morte del capofamiglia, il rifiuto di una proposta di matrimonio oppure perché la ragazza è lesbica e non può dichiararlo apertamente. Oggi le giovani albanesi non devono più scegliere questa strada ma molte burrneshe, ormai anziane, sono vive per raccontare la loro storia.

A queste “vergini giurate” la fotografa Paola Favoino ha dedicato il progetto Je burrneshe!, in mostra alla galleria Raffaella De Chirico di Torino fino al 29 ottobre. Il lavoro presenta una serie di foto e un cortometraggio realizzati dal 2010. Dopo numerosi viaggi in Albania, Favoino è venuta a conoscenza di questa realtà e ha incontrato Gjin, la prima burrnesh, che oggi ha ottant’anni. Qui le donne si salutano dicendo “je burrneshe?”, “sei un uomo o sei una donna?”.

Gjin è stata la sua guida in un microcosmo in cui esistono donne che vivono come uomini, ma non sono uomini. “In alcuni casi mi ha attratto la loro maschera, così pesante che a uno sguardo attento quasi non reggeva”, racconta la fotografa. “In altri casi il tempo aveva fatto coincidere la persona con il personaggio”.

Per definirle si usa la parola burr (uomo) declinata al femminile. La storia di Gjin, e delle altre cinque burrneshe che Favoino è riuscita a incontrare, è il racconto di una diversità socialmente accettata. Se per alcune è stato un sacrificio e per altre una scelta di libertà, quello che le accomuna è una solitudine inesorabile che va di pari passo con la loro condizione.

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