Con un po’ di spinte, la parola lacerto può indicare tre cose: un frammento, un pezzo di carne e una lucertola. Sono tutti i potenziali insiti nella parola e i residui delle sue evoluzioni storiche. Lacerto è una delle prime parole che si sentono in Marco, brano di apertura di Alto//piano di Everest Magma in uscita per la Maple Death Records, etichetta indipendente che merita di essere esplorata per gli azzardi raffinati e per la coerenza.

Alto//piano sembra un disco di canti pastorali destrutturati da un viandante che si è presentato tardi alla celebrazione del rito e allora rimedia con quello che ha sintetizzato in anni di viaggi e ispirazioni, cominciando a raccontare: la vocazione dialogica del disco si evince da brani come Lascia, un pezzo innestato sul fingerpicking che fa sembrare il “quando nessuno potrà ricordarsi di noi… e il corpo mi sembrerà un abito, lascialo, lascialo” come una cosa bella, oltre che un grande sollievo.

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Everest Magma cambia la caduta delle parole, più che trascinarle o spostare gli accenti: le solleva in alto e poi le rilascia con una gentilezza evocativa che spinge chiunque gli sia attorno a dimenticare il motivi di quel consesso iniziale e a sintonizzarsi con il modo in cui i suoni toccano a terra. È un disco di freak-folk con una grande presenza materiale: nei suoni metallici e acquosi di Questa riporta quasi al cinema di Michelangelo Frammartino, in particolare a Le quattro volte, fino a stemperarsi nel corpo di un uomo, nella voce di uno che va e viene. Alto//piano aiuta a perdere coscienza, non con la ripetizione isterica, ma con la seduzione della calma. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati