Un disco compatto e memorabile, che lavora sulla sintesi, ma che arriva dopo un tempo ragionato: Proteggimi da ciò che voglio, il nuovo album dei La Crus, esce quasi vent’anni dopo Infinite possibilità e un album dal vivo del 2008 che era inteso come un congedo. In realtà ci sono due recuperi dal catalogo di Mauro Ermanno Giovanardi – come Io confesso con Carmen Consoli – e da quello della band, la riconoscibile Come ogni volta proposta insieme a Colapesce e Dimartino. Tolti gli accenni documentali, come accompagnare il ritorno di un gruppo che nella sua carriera ha fatto della sintesi un elemento fondamentale? Un sunto tra il cantautorato malinconico sempre in bilico tra la parola recitata e una parola affidata invece alle sue proprietà più sonore e poetiche, il tutto levigato da stili che invece appartengono alla parte più blues della new wave (a saperla trovare, e questo è uno dei meriti storici dei La Crus).

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Proteggimi da ciò che voglio, titolo che evoca un po’ i C.S.I. e un po’ Oscar Wilde, in realtà scarta di lato mettendo da parte sia una dimensione più trascenden­tale del vivere sia una più edonista, per portare avanti una critica neanche tanto accennata al lavoro che sbrana i rapporti di solidarietà e lancia insulti all’indolenza. Nella title track si parla appunto di voler essere difesi da quello che si fa, perché questo fare si mangia il tempo personale e collettivo. Ricercato, coraggiosamente leggero quando necessario, il nuovo disco dei La Crus è un attacco diretto alla “povertà del mondo”. Ed è una fortuna che sappia esprimersi attraverso canzoni che uno ha voglia di ricordare. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati