La scrittrice russo-statunitense Anastasia Edel si è sorbita un’intera giornata di tv russa per i lettori del trimestrale Foreign Policy. Un palinsesto per buona parte intuibile. Dalle prime ore del mattino in tutti i notiziari il mantra è “denazificare” l’Ucraina e benedire l’operazione speciale, fare leva sul nazionalismo recuperando vecchi arnesi della storia e portarsi avanti trattando le città occupate come russe nella rubrica del meteo. A primeggiare nei servizi esteri sono gli agricoltori romeni che protestano contro le importazioni di grano ucraino, i giovani parigini che bruciano il ristorante preferito di Macron e i gruppi di genitori britannici che denunciano la tv “schiava dell’ideologia gender”. Il pomeriggio è pennellato da storie di cronaca angoscianti. Molestie violente tra vicini, inseguimenti da parte della polizia e omicidi di varia natura. Come contraltare le imprese nobili e patriottiche di Putin, che promette riforme sanitarie, lavoro e alloggi per i soldati al fronte e locomotive made in Russia ai ferrovieri. Ma la palma del delirio va al talk show “Il grande gioco”, la cui missione è dimostrare quanto disgraziata sia la sorte di chi incontra Zelenskyj, come Boris Johnson e la premier finlandese Sanna Marin, estromessi dall’incarico pochi giorni dopo averlo visto, o il sultano dell’Oman, Qaboos bin Said, passato addirittura a miglior vita. C’è da dire però che se si ricorre alla iella significa che la propaganda vacilla. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati