C’è lo spot di un’importante catena di supermercati che è di una cupezza abbacinante: mamma e figlia piccola stanno facendo la spesa; si perdono di vista, pensi al peggio, invece la bambina sta nell’area frutta, vuole comprare una pesca. La madre prova a dissuaderla, poi cede; sono a casa, la bimba sempre con la pesca; citofona il padre; è venuta a prenderla, s’intuisce che i genitori sono separati; la bimba sale in macchina e dà la pesca al padre, “te la manda mamma”, il padre (che prima sorrideva felice di passare un fine settimana con la figlia) s’incupisce e risponde che le telefonerà per ringraziarla. Nella prospettiva della figlia, e dei creativi, la bugia potrebbe innescare un nuovo inizio tra i due adulti. “Non c’è una spesa che non sia importante”, dice lo slogan. Dopo la pandemia – quando le pubblicità imboccarono la strada emotiva e motivazionale, i celebri “ce la faremo” con lo sconto alla cassa – arriva lo spot “colpevolizzante”, rivolto a una clientela che ha qualcosa da farsi perdonare (cioè tutti). In questo caso la colpevole è la mamma, ovvio, che non aveva alcuna intenzione di comprare la pesca, che forse dati i tempi costa più della parcella dell’avvocato, e tanto meno regalarla all’ex. Ho forti dubbi sull’efficacia della nuova linea: così manipolatoria che, temo, non solo fa passare la voglia di andare all’alimentari, ma anche di mangiare, di uscire di casa, di alzare le tapparelle, di scansare il lenzuolo dagli occhi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati