Il successo del debutto di Fabio Fazio sul Nove (la prima puntata di Che tempo che fa ha superato i due milioni di spettatori) più che un trionfo di numeri è un caso esemplare di percezione, quella di un servizio pubblico possibile anche oltre la Rai. Certo, come ha dichiarato Alessandro Araimo di Discovery, l’operazione Fazio è puramente commerciale, sfrutta un prodotto testato e con un pubblico già compreso nell’offerta, e nessun canale privato ha la velleità d’indossare abiti istituzionali. Ma per ragioni legate alla tracotanza della politica, anche programmi che per natura relegheremmo all’azienda di stato scoprono nuovi territori e, a vedere l’umore di Fazio e Littizzetto, anche nuovi entusiasmi. Si potrebbe considerare un punto a favore del libero mercato, ma sarebbe riduttivo. È l’esodo da RaiTre di un modo di concepire e fare tv che negli anni ha costituito un genere, un linguaggio e un punto di vista. Lo stesso avviene con Massimo Gramellini, approdato su La7 e, in modi diversi, con Bianca Berlinguer su Rete4. Cellule sparse che si legano a realtà già esistenti (Maurizio Crozza, Diego Bianchi, Giovanni Floris, Corrado Formigli) che da tempo ottemperano con i loro contenuti ai criteri del servizio pubblico. A vederla con ottimismo, la diaspora originata da contrapposizioni potrebbe portare del bene alla tv e forse anche alla Rai, laddove tornasse ad amarsi e a tutelare senza imporre. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati