10 aprile 2015 15:38

Venerdì sera un gruppo di ragazze sulla ventina ha noleggiato un’auto con conducente del gruppo Uber per andare a una festa a Houston. Hanno capito subito che l’uomo al volante aveva qualcosa che non andava.

“L’autista era un po’ strano”, ha raccontato in un’email Stephanie, una delle passeggere, che ha chiesto di non rendere pubblico il suo cognome per paura di essere presa di mira. “Andava così veloce che ha perso l’uscita dell’autostrada. Alla fine gli abbiamo chiesto di rallentare, perché aveva superato i cento chilometri all’ora in un tratto di strada dove il limite era di sessanta”.

Ma poi le cose si sono messe anche peggio.

“Quando siamo arrivate ci ha detto di ‘scendere dalla macchina’ chiamandoci ‘troie’ e ‘stronze’ e dandomi della ‘negra’”, ha raccontato Stephanie. “Mi piacerebbe poter dire che avevamo fatto qualcosa per provocarlo, ma non è andata così”.

Stephanie ha scritto un reclamo a Uber quella sera stessa. Ma anche se la società ha reagito rapidamente (la risposta è arrivata la domenica mattina), il messaggio di Uber è stato sconcertante. Sembrava che Uber non avesse capito la gravità della situazione. “La nostra indagine è stata completata e il caso è chiuso”, ha scritto un dipendente dell’azienda, come si vede in una schermata salvata da Stephanie. “Per favore, si ricordi che quando viaggia con Uber deve fare attenzione a non portare bottiglie di alcol aperte, perché l’autista potrebbe essere citato per guida in stato di ebbrezza”.

Ma Stephanie e le sue amiche non avevano bottiglie aperte nell’auto: “Avevamo una bottiglia di vino chiusa da regalare al padrone di casa”, ha detto la ragazza. Inoltre, la risposta di Uber non l’aveva rassicurata sul fatto che l’azienda avrebbe chiesto all’autista di rendere conto del suo atteggiamento.

Quando Stephanie ha mandato dei tweet ad alcuni giornalisti per raccontare quello che era successo, l’azienda si è scusata e le ha rimborsato la corsa. Ma lei ancora non sapeva che cosa ne fosse stato dell’autista. “Ho chiesto al rappresentante di Uber se poteva garantirmi che non mi sarei mai più trovata davanti quel razzista alla prossima corsa con Uber, ma lui ha risposto che non era possibile”, ricorda Stephanie. “Evidentemente non ho il diritto di sapere se la persona a cui affido la mia sicurezza viene licenziata per avermi messo in pericolo e per avermi lanciato offese razziste e sessiste”.

Alla fine, una portavoce ha confermato che l’autista non lavorerà più per Uber. Nei due giorni successivi all’incidente, il reclamo di Stephanie è arrivato fino ai vertici della catena di comando.

Jennifer Mullin, portavoce di Uber, spiega che una situazione di questo tipo è considerata “critica”. Uber ha riconosciuto di aver gestito male la sua risposta al reclamo della ragazza. E l’incidente spiega bene in che modo l’azienda attinga ai dati dei passeggeri e degli autisti per decidere cosa fare quando scoppia una disputa tra i suoi utenti.

Uber considera clienti sia gli autisti sia i passeggeri. Chi guida l’auto non è un dipendente, ma un utente

Stephanie e l’autista hanno fornito resoconti contrastanti sull’accaduto. La ragazza ha dichiarato che lei e le sue amiche non stavano bevendo e che l’autista le ha insultate. Secondo Uber (che non ha reso pubblico il nome dell’uomo), l’autista ha invece detto che le passeggere stavano bevendo e che lui non ha usato parole offensive. Ma Uber ha esaminato le valutazioni ricevute in passato da Stephanie e dall’autista (dopo ogni corsa tutti gli utenti del servizio possono assegnarsi a vicenda un punteggio compreso tra uno e cinque). Uber ha anche confrontato i dettagli forniti da Stephanie sulla corsa (come il fatto che l’autista aveva mancato l’uscita) con i dati registrati dal gps.

“C’è una squadra che si occupa di queste cose, e può scoprire la verità”, afferma Mullin. “Possiamo confrontare i racconti con i dati del viaggio per capire come comportarci. In questo caso l’autista è stato cancellato dalla piattaforma in base alle informazioni che avevamo. Non è il caso che faccia parte del nostro servizio perché non tratta i passeggeri con rispetto e cortesia”.

Uber può chiudere anche gli account dei passeggeri. L’autista che ha perso il diritto di accedere alla piattaforma in questo caso non potrà usare il servizio neanche come passeggero (non è chiaro in che modo l’azienda possa impedire a un utente escluso di iscriversi alla piattaforma con un nome diverso). “Raccogliamo valutazioni sugli autisti e anche sui passeggeri”, dice Mullin. “Quando la situazione è complicata, la nostra squadra cerca di indagare al meglio: le informazioni che trovano sono cruciali”.

Questo caso mette anche in evidenza il fatto che Uber considera clienti sia gli autisti sia i passeggeri. Chi guida l’auto non è un dipendente, ma un utente.

Stephanie dice di provare un “enorme sollievo” nel sapere che l’autista è stato cacciato da Uber, ma continua a chiedersi fino a che punto la reazione dell’azienda è stata determinata dalle sue proteste (“Prima di tutto la prego di accettare le mie scuse per la gestione inadeguata di questa situazione”, ha scritto un dipendente di Uber nell’email che Stephanie ha fornito per questo articolo. “Vivere una brutta esperienza e sentirsi dire che è colpa nostra è inaccettabile. Questo non rispecchia i livelli di qualità di Uber e stiamo affrontando la questione in azienda”).

“Sono una ragazza di 23 anni e ho amici della mia età, quindi sono sicura che viaggerò presto di nuovo con Uber”, commenta Stephanie. “È troppo diffuso per poterlo evitare”.

(Questo articolo è uscito sull’Atlantic. Traduzione di Floriana Pagano)

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