23 aprile 2015 12:06
Durante un bombardamento a Sanaa, l’8 aprile 2015. (Khaled Abdullah, Reuters/Contrasto)

La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha continuato a bombardare le posizioni dei ribelli houthi nello Yemen nonostante il 21 aprile il governo di Riyadh abbia annunciato un’interruzione dei raid aerei per dare il via a una nuova fase della guerra. Le operazioni militari per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti houthi nel paese erano cominciate il 26 marzo. Ecco un riassunto della situazione nel paese.

Il contesto
Nel 2012 il presidente Ali Abdullah Saleh lascia l’incarico in seguito alle proteste popolari ispirate alle primavere arabe. Al suo posto viene eletto Abd Rabbo Mansur Hadi, ex vice di Saleh, che però si dimostra inefficiente. In particolare non sembra in grado di rispondere alle sfide poste dall’estrema povertà e dalla scarsità di risorse idriche, alla minaccia dei jihadisti di Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa) e alle richieste degli houthi, i ribelli zaiditi (una corrente dell’islam sciita) originari del nord dello Yemen. Nel settembre del 2014 gli houthi avanzano sulla capitale Sanaa. A gennaio compiono quello che viene visto come un colpo di stato, in seguito al quale il presidente e il governo si dimettono.

A marzo i ribelli lanciano un’offensiva per conquistare Aden, la principale città del sud, dove ha trovato rifugio il presidente Hadi, che nel frattempo ha ritirato le dimissioni. Il 26 marzo l’Arabia Saudita, che già in passato ha schierato le sue truppe contro gli houthi, guida un’operazione militare per fermare l’avanzata dei ribelli. Altri paesi arabi si uniscono alla coalizione. Riyadh accusa l’Iran di sostenere gli houthi fornendogli armi e denaro. I sauditi temono che Teheran, controllando indirettamento lo Yemen, possa aumentare la sua influenza in Medio Oriente.

I protagonisti

  • Houthi. Sono seguaci dello zaidismo, una variante locale dell’islam sciita. Dopo la rivoluzione del 2011, e in particolare a partire dal 2013, gli houthi si sono scontrati a varie riprese con altre milizie, con potenti gruppi tribali e con i combattenti di Al Qaeda. Nella loro avanzata hanno stretto un’alleanza di circostanza con il loro vecchio nemico, l’ex presidente Ali Abdullah Saleh.
  • Ali Abdullah Saleh. È salito al potere nel 1978, inizialmente come presidente dello Yemen del Nord, uno stato indipendente fino alla riunificazione con lo Yemen del Sud nel 1990. Dopo essere stato costretto a lasciato l’incarico nel 2012, ha continuato ad avere il sostegno di una parte significativa dell’apparato della sicurezza.
  • Abd Rabbo Mansur Hadi. È sostenuto a livello internazionale dagli Stati Uniti e dalla maggioranza dei paesi del golfo Persico, perché ha appoggiato la lotta contro il terrorismo jihadista nello Yemen. Internamente, gode dell’appoggio di una parte dell’esercito e della polizia, e di gruppi armati noti come Comitati di resistenza popolare. Con l’avvicinarsi degli houthi ad Aden, Hadi è fuggito in Arabia Saudita.
  • Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa). Considerato il ramo più pericoloso di Al Qaeda, il gruppo combatte sia contro gli houthi sia contro Hadi. Si è formato nel gennaio del 2009 dalla fusione dei rami yemenita e saudita di Al Qaeda. A metà aprile, approfittando del caos nel paese, Aqpa ha rafforzato il suo controllo sulla città di Mukalla, nel sudest del paese.
  • Gruppo Stato islamico. Ha annunciato il suo arrivo nello Yemen il mese scorso. Finora le uniche operazioni del gruppo sono stati gli attentati suicidi contro due moschee sciite a Sanaa, che hanno provocato 137 morti. Alcuni gruppi jihadisti locali accusano l’Aqpa di non essere stata in grado di fare gli interessi dei sunniti yemeniti e si sono avvicinati allo Stato islamico.
  • Arabia Saudita. L’Arabia Saudita condivide con lo Yemen un confine lungo 1.770 chilometri. Riyadh considera il paese vicino l’anello più debole per la sicurezza della regione del golfo Persico e un terreno fertile per le ingerenze di Teheran. Ha sempre sostenuto il governo di Sanaa e ha tenuto una posizione ostile verso i ribelli houthi.
  • Iran. L’allontanamento dal potere dell’ex presidente Saleh ha riacceso gli interessi iraniani nei confronti dello Yemen. Di recente Teheran ha proposto all’Onu un piano di pace per lo Yemen, che prevede quattro punti: un cessate il fuoco immediato, un programma di assistenza umanitaria, la ripresa del dialogo tra le fazioni in lotta e la formazione di un governo di unità nazionale.
  • Nazioni Unite. Il 14 aprile il consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che impone un embargo sulle armi degli houthi e chiede ai ribelli di ritirarsi dai territori conquistati. La risoluzione è stata approvata con quattordici voti a favore e l’astensione della Russia. Uno dei figli di Saleh e il leader degli houthi sono stati inseriti nella lista delle persone colpite dalle sanzioni internazionali.

Situazione umanitaria
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel periodo compreso tra il 19 marzo e il 17 aprile sono morte almeno 944 persone e altre 3.487 sono rimaste ferite nei bombardamenti. Il Programma alimentare mondiale (Pam), ha denunciato che 4,5 dei 25 milioni di abitanti del paese devono affrontare una “grave insicurezza alimentare”. In ogni caso il 42 per cento della popolazione ha bisogno di aiuti alimentari.

L’Onu ha lanciato un appello per raccogliere 255 milioni di euro per aiutare la popolazione civile. Centocinquantamila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e i raid aerei hanno distrutto o gravemente danneggiato almeno cinque ospedali, quindici scuole, tre aeroporti, due ponti, due fabbriche e quattro moschee.

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