06 maggio 2015 16:28

Uno dei temi più discussi nella campagna elettorale nel Regno Unito, dove il 7 maggio si vota per eleggere il nuovo parlamento, è il ruolo del paese nell’Unione europea. Nel 2014 il consenso al partito degli euroscettici dell’Ukip, guidato da Nigel Farage, si è rafforzato, arrivando a conquistare il 27,4 per cento delle preferenze alle elezioni europee. Anche se favorevole alla permanenza nell’Ue, già nel 2013 il premier conservatore David Cameron aveva annunciato di voler rinegoziare i trattati europei per riprendere sotto il controllo di Londra alcune prerogative che ora sono di competenza di Bruxelles.

Se decidesse di uscire dall’Ue, Londra non avrebbe più l’onere di contribuire al budget dell’Unione, di cui è il quarto finanziatore dopo Germania, Francia e Italia.

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Il Regno Unito sarebbe anche libero dalle regole imposte dall’Unione per armonizzare le condizioni lavorative e di mercato tra i paesi membri.

L’uscita dall’Ue permetterebbe inoltre a Londra di controllare meglio i flussi migratori. Secondo un sondaggio di YouGov, per il 47 per cento dei britannici l’immigrazione è uno dei tre maggiori problemi del paese insieme all’economia e alla sanità. La ripresa dell’economia del Regno Unito, con un tasso di crescita passato dallo 0,9 per cento del 2009 al 2,6 per cento del 2014, ha attirato molti lavoratori di altri paesi dell’Ue.

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Ma l’adesione all’Ue, avvenuta nel 1973, ha dato al Regno Unito accesso al mercato unico, con la libera circolazione di beni, persone e servizi dopo l’abbattimento delle frontiere doganali. Secondo il Center for european reform, questo ha permesso al Regno Unito di aumentare del 55 per cento le sue esportazioni verso gli altri paesi dell’Ue, oggi uno dei suoi principali partner commerciali.

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Lasciare l’Ue significherebbe perdere questi vantaggi. Secondo Open Europe, i dazi doganali sulle medicine crescerebbero del 4,5 per cento, quelle sulle automobili del 10 per cento, sugli alimentari e i tabacchi del 20 per cento.

Anche limitare l’immigrazione potrebbe essere controproducente: uno studio dello University college di Londra ha dimostrato che gli immigrati europei arrivati nel paese tra il 2000 e il 2011 hanno contribuito al bilancio pubblico pagando tasse per 20 miliardi di sterline in tasse.

Nell’ipotesi di un’uscita dall’Unione, ci sono tre scenari possibili:

  1. Uscita “secca”: questa opzione potrebbe costare 78 miliardi di euro all’anno all’economia britannica, per dieci anni. Il 2,2 per cento del pil in meno da oggi al 2030.
  2. Uscita con negoziati sui trattati di libero scambio: come la Svizzera e la Norvegia, in questo caso il Regno Unito non perderebbe del tutto i vantaggi legati al mercato unico, ma dovrebbe rispettare comunque dei regolamenti europei. È lo scenario più credibile. Il pil potrebbe aumentare dello 0,8 per cento o diminuire dello 0,6 per cento a seconda delle modalità scelte.
  3. Uscita con negoziati commerciali con il resto del mondo: il Regno Unito potrebbe negoziare accordi con l’Asia, e potrebbe veder aumentare il suo pil dell’1,6 per cento da qui al 2030. Ma dovrebbe liberalizzare l’economia, e le imprese e i lavoratori dovrebbero affrontare una forte concorrenza di paesi dove il costo del lavoro è più basso.

L’uscita dall’Ue avrebbe ricadute anche sui paesi dell’Unione: in Irlanda diminuirebbe il 2,7 per cento del pil pro capite, in Francia e in Germania lo 0,3.

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