12 maggio 2015 16:15

L’amministrazione del presidente statunitense Barack Obama ha approvato il piano della compagnia petrolifera anglo olandese Royal Dutch Shell per riprendere le trivellazioni nelle acque dell’Artico, al largo delle coste dell’Alaska. La decisione è stata presa tre anni dopo il blocco delle operazioni della Shell a causa di una serie di errori e contrattempi. Gli ambientalisti hanno promesso manifestazioni per chiedere di fermare il progetto. Ecco quali sono le principali motivazioni.

  • Le trivellazioni nelle acque dell’Artico sono più pericolose rispetto a quelle nei mari più temperati e potrebbero causare disastri ancora più gravi di quello della piattaforma petrolifera Deepwater horizon dell’aprile 2010, quando quasi cinque milioni di barili di greggio si riversarono nel Golfo del Messico.
  • La più vicina stazione di guardia sulla costa con attrezzature in grado di rispondere a una fuoriuscita di petrolio si trova a più di 1.500 chilometri di distanza.
  • Nell’area delle trivellazioni il clima è estremo, le acque sono ghiacciate e spesso ci sono forti tempeste, con onde fino a 15 metri. Il mare inoltre è una zona di migrazione e di alimentazione di mammiferi marini, tra cui balene artiche e trichechi.
  • Nel settembre del 2012 la Shell fu costretta a fermare le operazioni per problemi all’equipaggiamento di sicurezza destinato a contenere le eventuali fuoriuscite di petrolio. Inoltre la piattaforma petrolifera Kulluk, che doveva essere usata per le trivellazioni, s’incagliò dopo essersi sganciata da un rimorchiatore che la stava trasportando verso un porto. La Noble dribbling, che lavorava per la Shell, ricevette una multa da 12 milioni di dollari per inquinamento.
  • Secondo Tim Donaghy, ricercatore specializzato di Greenpeace, “la Shell ha una storia di pericolosi malfunzionamenti nell’Artico, mentre gli scienziati di tutto il mondo sono d’accordo nel dire che il petrolio artico deve restare dov’è se si vuole evitare un catastrofico cambiamento climatico”.
  • Erik Grafe, avvocato di Earthjustice, una ong che si occupa di questioni ambientali da un punto di vista legale, ha dichiarato che “la decisione antepone il petrolio alle persone e mette a rischio l’ecosistema dell’Artico e la salute del nostro pianeta”. Secondo Grafe il progetto si basa “su un’analisi dell’ambiente e della sicurezza affrettata e incompleta”.
  • Susan Murray, vicepresidente del gruppo ambientalista Oceana, ha dichiarato che “la Shell non ha dimostrato di essere pronta a operare in modo responsabile nell’oceano Artico e né l’azienda né il nostro governo sono stati disposti a valutare in modo completo e corretto i rischi della proposta della Shell”.

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