04 agosto 2015 18:33
La manifestazione convocata il 2 agosto 2015 a Città del Messico per chiedere verità e giustizia sulla morte di Rubén Espinosa, il giornalista trovato ucciso il 31 luglio. (Yuri Cortez, Afp)

Rubén Espinosa aveva 31 anni ed era un fotoreporter freelance. Collaborava con la rivista Proceso e con l’agenzia Cuartoscuro. Era specializzato nella copertura di proteste e manifestazioni e denunciava da anni le aggressioni nei confronti dei giornalisti nello stato orientale di Veracruz. Due mesi fa, si era accorto di essere pedinato e ha subìto delle minacce di morte. Ha deciso in fretta di andarsene e si è rifugiato a Città del Messico, dove abitano i suoi genitori.

Venerdì 31 luglio, è stato trovato morto in un appartamento di un quartiere borghese della capitale. Insieme a lui sono state uccise quattro giovani donne, che si trovavano nella casa in cui si era fermato a dormire. Tutti erano stati ammanettati, picchiati e poi finiti con un colpo di pistola alla testa. Rubén Espinosa è l’ottavo giornalista ucciso in Messico dall’inizio dell’anno. Secondo Reporter sans frontières, sono 88 dal 2000. Il 90 per cento dei casi è rimasto impunito. Lunedì sera si è tenuto il funerale, mentre il giorno prima, quando si è diffusa la notizia dell’omicidio, una manifestazione spontanea ha invaso una piazza della capitale.

La procura di Città del Messico, responsabile delle indagini, non ha ancora formulato nessuna ipotesi sull’omicidio e ha dichiarato di non escludere la pista della rapina. Ma nel paese cresce l’indignazione per l’incapacità delle autorità nell’affrontare le continue aggressioni contro i giornalisti che hanno il coraggio di raccontare la corruzione delle istituzioni e i traffici della criminalità organizzata. Associazioni di giornalisti e per i diritti umani, amici, colleghi e familiari di Espinosa chiedono verità e giustizia.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nel 2014 il Messico è stato il sesto paese del mondo con più giornalisti uccisi e il primo del continente americano, secondo Reporter sans frontières. Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, il paese occupa il posto 148 su 180, al livello dell’Afghanistan. L’organizzazione per la libertà d’espressione Article 19 calcola che ogni 26 ore un cronista messicano viene aggredito, minacciato, sequestrato o addirittura ucciso. La vulnerabilità dei cronisti è diffusa in tutto il paese, ma caratterizza soprattutto chi lavora nei mezzi d’informazione di regioni controllate dai cartelli della droga e dalla polizia corrotta, zone in cui lo stato è poco presente.

Proprio per questo, l’omicidio di Rubén Espinosa e delle sue quattro amiche segna un nuovo capitolo nel panorama di violenza contro i giornalisti in Messico. È la prima volta che un reporter fuggito a Città del Messico da un’altra parte del paese, dopo aver denunciato pubblicamente le minacce subite, viene ucciso nella capitale. Lo ha sottolineato Article 19, un’organizzazione indipendente che prende il nome dall’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti umani, quello sulla libertà di espressione e di informazione.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Rubén Espinosa era nato a Città del Messico, ma da sette anni lavorava a Veracruz, uno stato fortemente condizionato dal controllo del crimine organizzato, specialmente del cartello degli Zetas. È lo stato più pericoloso per chi fa il suo mestiere: dal 2000, 17 giornalisti sono stati uccisi. Con quello di Espinosa, tredici di questi omicidi si sono verificati sotto il governo di Javier Duarte de Ochoa del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri). Nel 2012 è stata strangolata Regina Martínez, corrispondente della rivista Proceso, la stessa con cui collaborava Espinosa. Le autorità hanno chiuso l’indagine stabilendo che era stata vittima di un furto o di un crimine passionale.

Lo scrittore e giornalista messicano Juan Villoro ha dichiarato a El País: “Il governo di Duarte non ha fatto nulla per proteggere i giornalisti. Anzi, ha cercato di promulgare una legge che prevedeva il carcere per chi pubblicava online notizie sulle violenze, che è stata bloccata dalla corte suprema. Ultimamente, il governatore ha chiesto ai giornalisti ‘di comportarsi bene’. Così ha criminalizzato in anticipo tutte le vittime future”.

In un’intervista che ha rilasciato a giugno al giornale online Sin embargo, Espinosa aveva dichiarato: “Non ci sono parole per descrivere le tristi condizioni di Veracruz. La corruzione è a suo agio dappertutto. La morte ha scelto Veracruz, ha deciso di vivere lì”.

Insieme al fotoreporter è stata uccisa Nadia Vera, di 32 anni, attivista per i diritti umani che aveva più volte denunciato la situazione e la negligenza complice del governo di Veracruz. L’identità delle altre tre vittime non è stata confermata dalle autorità. La stampa scrive che si tratterebbe di una ragazza di 18 anni, di una di 29 e della donna delle pulizie, di 40 anni, che stava lavorando nell’appartamento.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it