11 dicembre 2015 20:17

Il 13 dicembre alla Farnesina si terrà una conferenza internazionale sulla Libia con l’obiettivo di favorire un accordo per un governo di unità nazionale con sede a Tripoli. Fortemente voluta dagli Stati Uniti, la riunione è stata concepita sul modello di quelle che si sono svolte negli ultimi mesi a Vienna per risolvere la crisi siriana.

Alla conferenza, promossa dal ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni e dal segretario di stato statunitense John Kerry, parteciperanno i ministri degli esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) insieme ai delegati dell’Unione europea, ai rappresentanti delle Nazioni Unite (con il nuovo inviato in Libia, Martin Kobler) e a quelli dei paesi regionali coinvolti, come Egitto, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Non è prevista la presenza di delegati libici.

I due rami del negoziato

I negoziati con la mediazione dell’Onu si erano conclusi senza successo in ottobre, ma dal 10 dicembre sono ripresi in Tunisia per gettare le basi dei negoziati di Roma. Alla riunione di Tunisi hanno partecipato lo stesso Kobler, i rappresentanti dei parlamenti di Tripoli e Tobruk e diversi osservatori internazionali. I colloqui si sono tenuti dopo la firma, avvenuta il 6 dicembre nella capitale tunisina, di un progetto di accordo tra altri rappresentanti dei due parlamenti senza la mediazione delle Nazioni Unite.

L’accordo senza l’Onu

Il vicepresidente del congresso nazionale generale di Tripoli (il parlamento nato dalle ceneri della vecchia assise), Awad Abdul Saddeq, ha sottoscritto con il deputato Ibrahim Amash, rappresentante del parlamento di Tobruk (quello riconosciuto dalla comunità internazionale) un documento d’intesa per la costituzione di un governo di unità nazionale. Negoziata in gran segreto e “senza interferenze straniere”, come sottolineato dai suoi promotori, la dichiarazione d’intenti prevede la formazione di un comitato di dieci persone, cinque per parlamento, con il compito di nominare entro due settimane un primo ministro e due vice che rinnoveranno la costituzione e prepareranno la strada alle elezioni da tenere entro due anni. L’iniziativa non è stata accolta con favore dalla comunità internazionale, e l’inviato delle Nazioni Unite Kobler ha sottolineato che l’accordo politico negoziato dal suo predecessore Bernardino León è “l’unica via” per arrivare alla pace preservando l’unità nazionale.

Il potere delle istituzioni riconosciute dalla comunità internazionale

Tobruk, nella costa orientale del paese vicino al confine con l’Egitto, è sede del parlamento riconosciuto dalla comunità internazionale, che è stato eletto l’anno scorso. Il governo guidato dal primo ministro Abdullah al Thinni ha sede nella città di Beida. Può vantare il sostegno esterno degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto, e interno dei reduci dell’esercito regolare libico guidati dal generale Khalifa Haftar, nemico giurato di ogni fazione jihadista o islamista.

Nonostante ciò, questo esecutivo controlla solo una parte del territorio nazionale, che corrisponde alla maggior parte della Libia orientale (Cirenaica), oltre alla regione del Gebel Nefusa nell’ovest, sotto il controllo delle milizie alleate di Zintan. Non controlla comunque le grandi città di Derna e Bengasi, dove combatte contro milizie qaediste e islamiste. Ha istituito una banca centrale parallela, ha nominato un proprio direttore della compagnia petrolifera nazionale e ha avviato procedimenti giudiziari nei tribunali internazionali per ottenere il controllo dei beni libici all’estero. Per ora il patrimonio e le istituzioni finanziarie principali restano nelle mani delle autorità di Tripoli.

Il ruolo futuro del generale Haftar, un controverso comandante militare che servì l’ex dittatore Muammar Gheddafi, è stato uno dei nodi fondamentali durante il negoziato politico per mettere fine al conflitto. Da alcuni, Haftar è visto come l’incarnazione di una controrivoluzione che punterebbe a ripristinare un regime autoritario.

La posizione dell’amministrazione di Tripoli

Sostenute da una serie di gruppi armati, alcuni dei quali di impronta islamista, le autorità di Tripoli hanno preso il controllo della capitale nell’agosto del 2014 e sono guidate da Khalifa al Ghwell, il primo ministro nominato dal congresso nazionale generale, il parlamento uscente che sta estendendo il suo mandato invece di lasciare il potere dopo aver perso le elezioni dell’anno scorso. I suoi sponsor internazionali sono il Qatar e la Turchia. Tra le autorità di Tripoli ci sono politici che hanno sostenuto con fermezza il negoziato delle Nazioni Unite e oltranzisti che pretendono più garanzie prima di essere disposti a qualsiasi concessione di autorità.

Alba libica, una coalizione di milizie sotto il comando delle autorità di Tripoli, nell’ultimo anno si è smembrata in una serie di fazioni, alcune delle quali sostenevano il processo dell’Onu. Anche le autorità di Tripoli, come le rivali dell’est, sono costrette a combattere in diverse zone sotto il loro controllo contro le milizie locali. Tra i gruppi armati presenti nella capitale, ci sono milizie islamiste oltre a migliaia di combattenti provenienti dalla città autonoma di Misurata, a sua volta un importante soggetto politico e militare dalla fine del regime di Gheddafi. Le brigate di Misurata hanno infatti avuto un ruolo fondamentale nella rivolta del 2011.

La minaccia del gruppo Stato islamico

Jihadisti stranieri e combattenti libici di ritorno dalla Siria e dall’Iraq si sono riversati nell’ultimo anno a Sirte, la città costiera 250 chilometri a est da Misurata, ex roccaforte di Gheddafi. Ora è considerata una colonia del gruppo Stato islamico (Is) in una posizione strategica non lontana dai giacimenti petroliferi. L’Is controlla circa 300 chilometri della costa libica. Un recente rapporto dell’Onu ha riferito che i suoi combattenti in Libia sono tra i duemila e i tremila, di cui 1.500 solo a Sirte, e che il paese rappresenta, nell’ottica jihadista, un potenziale rifugio incontrollato molto vicino all’Europa.

La presenza dello Stato islamico in Libia è una fonte di instabilità anche oltre i confini libici. I jihadisti tunisini che si sono addestrati con il gruppo hanno condotto gli attentati al museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse che quest’anno sono costati la vita a decine di persone. Ma la capacità di espansione dell’Is in Libia non è illimitata secondo il rapporto delle Nazioni Unite. Il gruppo infatti vanta alleati come la rete di Ansar al Sharia, ma anche diversi oppositori tra le milizie jihadiste locali. A giugno è stato cacciato dalla città orientale di Derna da un gruppo affiliato ad Al Qaeda, e a Sirte subisce frequenti bombardamenti aerei dall’aviazione del generale Haftar e sporadici attacchi dalle brigate di Misurata che comunque non sembrano averlo indebolito.

Cosa possono raggiungere gli accordi di Roma?

Oltre un anno di negoziati portati avanti dalle Nazioni Unite per un nuovo governo di unità nazionale non hanno prodotto finora grandi risultati. L’ex inviato León aveva proposto un governo di unità nazionale in ottobre, ma entrambe le fazioni l’hanno respinto. Ora i rappresentanti di Tripoli e Tobruk stanno discutendo la proposta in Tunisia e qualsiasi principio di intesa venisse raggiunto in queste ore a Tunisi, dovrebbe poi cercare l’approvazione dei protagonisti di Roma. I diplomatici occidentali contano nel fatto che un governo di unità nazionale sarebbe legittimato a chiedere garanzie di sicurezza e assistenza economica all’esterno contro le milizie e la minaccia jihadista.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it