25 gennaio 2016 10:38

Quando all’inizio di dicembre Oscar Pistorius è stato condannato per omicidio, il giudice che presiedeva al processo ha descritto il caso come “una tragedia umana di dimensioni shakespeariane”. La caduta dell’atleta paralimpico ha seguito un arco narrativo che rendeva appropriato questo paragone: superare una grave disabilità fino a raggiungere le “vette olimpiche”, innamorarsi di una bella modella e poi, per una coincidenza che non sarebbe stato fuori luogo in una delle opere del bardo, toglierle la vita il giorno di san Valentino. Il tragico tallone d’Achille di Pistorius è stato un’eccessiva paranoia per gli intrusi che si rifletteva nell’entusiasmo per le armi. La sua caduta sarà completa con la condanna, che arriverà ad aprile.

Il caso di Pistorius è in effetti particolarmente shakespeariano. Tuttavia, il giudice Eric Leach che ha pronunciato il verdetto è solo uno dei tanti a essersi rivolto al drammaturgo per necessità legate alla legge.

Un amore giustificato

Nel 2012, la corte suprema del Regno Unito ha evocato il Re Lear in un processo per una battuta “minacciosa” su Twitter. Alla fine la condanna è stata ribaltata con la motivazione che gli utenti dei social network devono “dire ciò che si prova, non quello che si deve”. Una frase scelta da Amleto – “un pezzetto di terra che d’importante non ha più che il nome” – è stata recitata in una disputa di confine nel 2008; un frammento diverso è stato usato in un tribunale francese durante un dibattito sulla responsabilità penale – “Io proclamo che fu pazzia”.

L’Enrico VIII (all’epoca si era parlato erroneamente dell’Enrico IV) fu chiamato in causa dal senatore Sam Ervin Jr. durante le udienze del caso Watergate. La condanna di Dzhokhar Tsarnaev, uno degli organizzatori degli attentati alla maratona di Boston nel 2013, è stata sigillata con versi tratti dal Giulio Cesare: “Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, e spesso il bene viene sotterrato con le loro ossa”. Questi esempi illuminano e abbelliscono, rendendo i procedimenti giudiziari più facili da comprendere (a volte è solo puro esibizionismo: nel 1978, il giudice Gerald Fitzmaurice sentì il bisogno di spiegare in una nota a piè di pagina che la frase “una risposta molto positiva” era tratta da Romeo e Giulietta, atto II, scena 2, verso 43).

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

L’amore degli avvocati per Shakespeare non è fuori luogo, tenuto conto che nei suoi versi si dibatte di legge più che di qualsiasi altro ambito professionale. Addirittura secondo qualcuno, data la sua dettagliata conoscenza della legge, il “vero” Shakespeare dev’essere stato un avvocato. Una ricerca di Scott Dodson e Ami Dodson pubblicata l’anno scorso si prefiggeva di scoprire “il più amante della letteratura tra i giudici della corte suprema degli Stati Uniti” in carica, e gli autori ai quali ci si rivolge più spesso per trovare frammenti di saggezza da citare.

È venuto fuori che “citatore più prolifico e dalle letture più vaste” è Antonin Scalia, e com’era prevedibile William Shakespeare è il primo tra gli scrittori citati, insieme a Lewis Carroll. Sia Shakespeare sia Carroll hanno collezionato sedici citazioni da cinque diversi giudici. Altri scrittori popolari tra quelli citati nei tribunali erano George Orwell, Charles Dickens, Aldous Huxley ed Esopo. Nella top ten non ci sono scrittrici.

La lettura di prosa letteraria induce le persone a dimostrare empatia, a sfidare i pregiudizi

È probabile che le parole di Shakespeare continueranno a risuonare nei tribunali nei decenni a venire, visto che molte università – soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito – lo hanno incluso nei corsi di giurisprudenza. La Harvard law school offre un seminario che si concentra interamente sulla “giustizia e la moralità nei drammi di Shakespeare”. Il modulo del King’s college di Londra su “Shakespeare e la legge” è curato in collaborazione dalle facoltà di letteratura e legge, e ha l’obiettivo di “indagare il ruolo della legge nel mediare il posto che l’individuo occupa nella società”.

I motivi di tutto ciò sono ragionevoli: sulla scia degli studi più recenti, l’università di Southampton dichiara (non senza un fondamento) di voler offrire la possibilità di studiare legge attraverso il prisma letterario di Shakespeare, Dickens, Kafka e altri, per “aiutare gli studenti di legge a diventare dei professionisti più raffinati dal punto di vista etico”.

La cultura più alta

Secondo una ricerca di David Comer Kidd ed Emanuele Castano, la lettura di prosa letteraria induce le persone a dimostrare empatia, a sfidare i pregiudizi e a essere più flessibili nel prendere le decisioni. Tutte qualità auspicabili per i professionisti della legge. Una sensibilità letteraria consente agli avvocati di presentare opinioni e valutazioni chiare e strutturate.

Ma perché in particolare l’opera di Shakespeare si presta alle citazioni e alla riflessione legale? Come ha sottolineato Robert Peterson in The bard and the bench, tutti e i 37 drammi di Shakespeare – compresi i meno noti I due nobili congiunti e Timone di Atene – sono stati citati nei tribunali americani in più di ottocento pareri giudiziari. In prima battuta si potrebbe affermare che Shakespeare incarna la cultura più alta: citandolo si cerca di conferire al verdetto credibilità e invocare un senso di profondità storica. Peterson sottolinea come questo possa “[influenzare] le decisioni in modo sostanziale”, spingendo i tribunali verso esiti più familiari.

Un’altra possibilità è l’universalità di Shakespeare: tutti hanno letto o sostengono di aver letto opere come Amleto. Le sue opere sono diventate un discorso globale condiviso; l’espressione “tragedia shakespeariana” rimanda a un racconto fatto di ascese e cadute anche se l’ascoltatore non conosce a fondo le opere in questione. Gli orribili dettagli delle azioni compiute da Pistorius quella notte, ricondotti a una familiare cornice shakespeariana, aiutano i membri della corte e l’opinione pubblica a figurarsi l’inutile spargimento di sangue.

In un caso o nell’altro, a quattrocento anni dalla morte del drammaturgo, l’affermazione di Ben Jonson è più vera che mai: i drammi e la saggezza di Shakespeare “non appartengono a un periodo solo, ma a tutte le epoche”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo di R. L. è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it