14 luglio 2016 10:04

Il 14 luglio 2015 la comunità internazionale si è rallegrata per l’accordo concluso a Vienna tra il gruppo detto dei “5 più uno” (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Russia e Germania) e l’Iran sul programma nucleare di Teheran.

L’accordo, raggiunto in seguito a lunghe trattative, in cambio della revoca parziale delle sanzioni internazionali imponeva a Teheran di rinunciare all’arma atomica. Si sperava che avrebbe aperto le porte a una nuova era, fondata sulla fiducia. Ma cos’è successo da allora?

Il tabloid conservatore New York Post propone un confronto tra le promesse fatte e i risultati ottenuti, e il suo giudizio è implacabile, come quello del Washington Examiner. Per i due quotidiani statunitensi è chiaro che nell’accordo c’è stato un inganno, e a molti livelli. Infatti le informazioni riguardanti le attività nucleari iraniane, contrariamente a quanto si pensa, sono tutt’altro che trasparenti.

Secondo Garrett Nada, analista di affari mediorientali per conto dello Us institute of peace, il principale ostacolo è costituito dalla differenza di interpretazione tra le parti. Teheran e Washington si scambiano regolarmente l’accusa di “violare lo spirito dell’accordo”. Per questo motivo, osserva Nada, al di là del nucleare, in un prossimo futuro ogni cooperazione tra i due paesi sarà, nel migliore dei casi, limitata.

Alleanza fragile

Agli occhi dei dirigenti iraniani, a cominciare dall’imam Ali Khamenei, gli Stati Uniti continuano a essere considerati “il grande Satana”. Il politologo irano-americano Kaveh Afrasiabi, è però ottimista e pensa che il riavvicinamento con l’Iran costituisca “un innegabile passo avanti” per la pace nella regione e nel mondo, e anche per la non proliferazione nucleare.

Facendo eco a certi politici e diplomatici statunitensi che ultimamente hanno invitato a stringere rapporti più stretti con l’Iran, due esponenti del National Iranian American council, Tyler Cullis e Trita Parsi, esortano il governo statunitense a revocare l’embargo contro l’Iran imposto negli anni ottanta sotto la presidenza Reagan, additando i possibili vantaggi che gli Stati Uniti potrebbero ricavarne.

Ma secondo Lawrence J. Haas, un ricercatore dell’American foreign policy council, non bisogna illudersi: il regime iraniano è profondamente ostile alla politica statunitense. Questo non deve sorprendere, dice Haas, visto che è nato quasi quarant’anni fa (1979) da una rivoluzione che dipingeva gli Stati Uniti come il nemico irriducibile.

(Traduzione di Marina Astrologo)

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