21 settembre 2016 17:00

Tra India e Pakistan i periodi di distensione si alternano a quelli di scontro aperto. Dai tempi della partizione, nel 1947, i due paesi non hanno mai smesso di guardarsi con ostilità. La “guerra di parole” non si è mai fermata, ed è scoppiata di nuovo dopo che il 18 settembre diciotto soldati indiani sono stati uccisi in un attacco contro la base militare di Uri, nel Kashmir, la regione himalayana contesa tra i due paesi.

New Delhi ha attribuito la responsabilità dell’assalto – il più sanguinoso degli ultimi quindici anni – al gruppo jihadista Jaish-e-Mohammed. L’organizzazione ha la sua base in Pakistan, paese che il ministro dell’interno indiano Rajnath Singh ha definito uno “stato terrorista”. Il ministro degli esteri pachistano ha subito replicato a queste affermazioni, denunciando “l’evidente tentativo” di New Delhi di sviare l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani nel Kashmir amministrato dall’India.

Dopo l’attentato il primo ministro indiano Narendra Modi è sotto pressione. Inoltre il 20 settembre sono stati scambiati nuovi colpi d’arma da fuoco sulla linea di controllo, la frontiera di fatto tra le due potenze nucleari.

Controllare l’indignazione popolare
Tuttavia, secondo il quotidiano indiano Hindustan Times, l’escalation militare non è una soluzione: “La risposta all’attacco di Uri non può e non dev’essere diretta dall’indignazione popolare, dalla rabbia dei militanti del Bharatiya janata party (Bjp, il partito nazionalista indù al potere) o dell’esercito”. Il quotidiano chiede piuttosto di isolare il Pakistan sulla scena internazionale.

Il giornale pachistano The Nation vorrebbe invece che Islamabad denunciasse i crimini dell’India presso le Nazioni Unite, manifestando i suoi timori per la sorte degli abitanti del Kashmir di fronte alla “repressione del governo Modi”. A questo proposito il corrispondente di Dawn a New Delhi, Jawed Naqvi, critica “l’enorme sete di violenza dell’India”.

Di fronte al “discorso ostile dell’India” il capo di stato maggiore dell’esercito pachistano Raheel Sharif ha assicurato che i suoi uomini sono “perfettamente preparati a rispondere a ogni tipo di minaccia, diretta e indiretta”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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