07 aprile 2024 09:01

Quattro anni fa la Unilever, multinazionale britannica dei beni di largo consumo con circa quattrocento marchi all’attivo, ha abbandonato la sua sede nei Paesi Bassi per concentrarsi sul Regno Unito. Oggi si appresta a quotare in borsa l’unità dedicata ai gelati, che vale circa 17 miliardi di euro, e deve scegliere tra la piazza di Londra e quella di Amsterdam. Ma al momento la City è in netto vantaggio, scrive Bloomberg. Hein Schumacher, l’amministratore delegato della Unilever, ha dichiarato che il clima per gli affari nei Paesi Bassi non è più favorevole come un tempo. Soprattutto per le aziende che impiegano personale proveniente da tutto il mondo.

Il caso della Unilever è solo uno degli effetti prodotti dalle politiche populiste antimmigrazione che riscuotono consensi crescenti nell’opinione pubblica olandese, come dimostra il successo alle elezioni legislative del 22 novembre 2023 del Partito per la libertà di Geert Wilders. Il leader xenofobo non guiderà il prossimo governo, ma ha acquisito un forte peso politico in un paese in cui nel 2022 l’arrivo di stranieri è aumentato del 60 per cento e tutti i principali partiti propongono ormai misure restrittive dell’immigrazione.

Alcune decisioni del precedente governo hanno ridotto le agevolazioni fiscali per gli immigrati e hanno introdotto un tetto al numero di studenti stranieri che possono iscriversi alle università olandesi. Una svolta decisamente negativa per un paese da sempre noto per la sua apertura. Anche molte aziende olandesi multinazionali stanno pensando di andare via. Per esempio la Boskalis Westminster, che fornisce servizi per la costruzione e la manutenzione di infrastrutture marittime in tutto il mondo, sottolinea Bloomberg.

Secondo un sondaggio realizzato nel 2023 per conto del ministero degli affari economici olandese, il 16 per cento delle aziende presenti nel paese sta pensando di fare come la Boskalis, ma la quota sale al 33 per cento tra quelle che hanno prevalentemente attività internazionali. Compresa l’Asml, azienda leader mondiale delle macchine per la produzione di semiconduttori, che ha un valore di borsa di 360 miliardi di euro. Anche l’Asml è stata penalizzata dalle misure antimmigrazione, visto che più del 40 per cento del suo personale è straniero. In una conferenza stampa tenuta a gennaio l’amministratore delegato Peter Wennink ha detto che “se i Paesi Bassi si chiudono e noi non possiamo più far arrivare talenti e studenti dall’estero, bisognerà trarne le conseguenze. Siamo un’azienda globale, andremo dove abbiamo la certezza di poter crescere”.

I Paesi Bassi non sono certo l’unico posto in cui riscuotono consensi i populisti e le loro politiche. Gli esempi sono moltissimi e riguardano tutti gli schieramenti, da destra a sinistra. A partire dall’Italia, dove quanto meno da Silvio Berlusconi in poi, quindi dalla metà degli anni novanta, si sono succedute varie formazioni populiste: dalla Lega di Matteo Salvini al Movimento cinque stelle di Beppe Grillo prima e Giuseppe Conte oggi fino a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Lo stesso vale per la Francia, la Germania, la Svizzera. Per non parlare del Regno Unito, dove il populismo è stato il principale motore propulsore della Brexit, l’uscita del paese dall’Unione europea. O degli Stati Uniti di Donald Trump e del Brasile di Jair Bolsonaro.

Un tratto comune dei leader populisti è la convinzione di rappresentare le istanze del “vero popolo”, in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Spesso la loro azione porta alla svalutazione delle forme e delle procedure della democrazia rappresentativa, privilegiando modalità di tipo plebiscitario. Basti pensare ai danni prodotti in Ungheria da Viktor Orbán. Ma ci sono anche conseguenze negative per l’economia, spesso meno studiate, sottolinea la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Il quotidiano tedesco cita uno studio realizzato dagli economisti Manuel Funke, Moritz Schularick e Christoph Trebesch, che hanno analizzato i dati legati a 51 presidenti e primi ministri populisti dal 1900 al 2020, evidenziando costi molto alti per i paesi. In genere, scrivono, “dopo quindici anni il pil pro capite risulta inferiore del 10 per cento in confronto a un paese governato da un leader non populista”. Tutto questo è frutto della distruzione dell’economia, del peggioramento della stabilità macroeconomica e dell’erosione delle istituzioni. “I dati mostrano che non peggiorano solo la crescita e i consumi, ma anche le disuguaglianze. Le disparità tra ricchi e poveri aumentano in particolare con i populisti di destra”, osservano Funke, Schularick e Trebesch.

I populisti propongono ricette semplici a problemi complessi, cercando di capitalizzare il malcontento sociale. Ricette che, al confronto con la realtà, si rivelano puntualmente sbagliate e quasi sempre inattuabili, come tutte le proposte infarcite di retorica. Basti pensare al caso più recente in Italia, il superbonus del 110 per cento, che si sta rivelando un incubo per i già fragili conti dello stato e probabilmente passerà alla storia come uno dei maggiori disastri della finanza pubblica. Ma perché in Italia, negli Stati Uniti, nei Paesi Bassi e in molti altri paesi così tante persone – di tutti i ceti sociali, di destra e di sinistra – credono fermamente in progetti politici populisti?

Viene in mente uno scritto di Alberto Savinio che risale al 1943 ed è raccolto nel libro Sorte dell’Europa (Adelphi 1977). S’intitola Dare agli italiani pensiero e giudizio. Spesso si dà la colpa all’ignoranza dell’elettorato, ma fa “paura la mancanza di pensiero e di giudizio”, scrive Savinio, che in questo scritto riflette sui fattori che portarono gli italiani a credere in Benito Mussolini e nel fascismo. “Mi fa paura il numero spaventosamente alto degli uomini che non pensano né giudicano con la propria testa, ma per imposizione, o per ispirazione, e sia pure per invito o per consiglio di un capo, di un sacerdote, di un mago. La mancanza di pensiero e di giudizio mette un popolo nella condizione dello Huang-ho, il fiume tragicamente famoso della Cina (nel 1887 era straripato provocando un’alluvione che aveva ucciso almeno 900mila persone) che all’improvviso esce dal suo letto solito in mezzo a città e paesi che travolge catastroficamente, con questo in più che se il fiume non è di acqua ma di uomini, nella catastrofe esso travolge anche se stesso”. L’effetto più terribile di “questa inerzia di pensiero e di giudizio”, aggiunge Savinio, è che “l’uomo crede più facilmente il falso che il vero, accetta con maggior fiducia l’assurdo che il verosimile”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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