19 luglio 2019 11:13

Il programma Apollo della Nasa è stato uno dei più stimolanti traguardi tecnologici del ventesimo secolo. Oltre alla corsa allo spazio e alla sua esplorazione, ha contribuito a invenzioni e innovazioni che ancora oggi hanno un impatto sulle nostre vite. Ma allo stesso tempo resistono alcune leggende a proposito delle tecnologie emerse grazie a esso.

La mia preferita è quella secondo cui il teflon è stato sviluppato dalla Nasa. La cosa sembra ragionevole, poiché si tratta di un materiale estremamente resistente al calore, come impongono le missioni spaziali. Ma in realtà era stato inventato per caso nel 1938 da Roy Plunkett della DuPont, durante le ricerche per dei nuovi refrigeranti. Un altro mito è quello che circonda il velcro, inventato negli anni quaranta in Svizzera da Georges de Mestral. Anche in questo caso, la sua straordinaria utilità nella vita quotidiana nello spazio non può essere negata. Immaginate quanto sia difficile andare a dormire nel proprio letto e restarci in assenza di gravità.

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Essendo ormai passati cinquant’anni dall’allunaggio dell’Apollo 11, è un buon momento per gettare un po’ di luce su quanto è effettivamente il frutto della corsa allo spazio e cosa non lo è. Ecco una lista parziale. Alcuni di questi prodotti non sono invenzioni della Nasa, ma non avrebbero mai visto la luce se non fosse stato per l’aiuto e la promozione dell’agenzia spaziale.

Purificazione dell’acqua

La Nasa ha sviluppato una piccola e leggerissima unità che purificava l’acqua a beneficio di chi partecipava ai viaggi spaziali. La cosa funzionava in maniera piuttosto affidabile, senza bisogno di un’apposita supervisione, e usava ioni d’argento (atomi che hanno perso i loro elettroni) per uccidere i batteri. Questa tecnologia si è dimostrata estremamente utile per la purificazione dell’acqua anche sulla Terra, poiché il cloro normalmente usato all’epoca può disperdersi a causa della luce solare o del caldo. La cosa inoltre evita il problema del bruciore agli occhi e dello sbiancamento di cui tutti ci accorgiamo in piscina.

Il sistema della Nasa oggi è usato per mantenere pulita l’acqua nelle torri di raffreddamento e anche per pulire le piscine, come fa negli Stati Uniti l’azienda Carefree Clearwater.

Maschere per la respirazione

I sistemi di maschera antigas usati dai pompieri in tutto il mondo hanno la loro origine nella Nasa, che senza averle direttamente inventate le ha rese leggere ed efficaci. Nel 1971 molti capi dei vigili del fuoco avevano sollevato un problema relativo al fatto che i loro strumenti per la respirazione fossero talmente ingombranti e pesanti da spingere alcuni pompieri a liberarsene quando raggiungevano un incendio.

Usando l’esperienza nello sviluppo delle strumentazioni necessarie all’allunaggio degli astronauti, la Nasa cooperò quindi con la divisione per la tecnologia per gli incendi del ministero del commercio per sviluppare un migliore sistema di respirazione. Il nuovo sistema era più leggero da indossare e comprendeva anche una maschera per il viso dotata di un più ampio campo visivo.

Tessuti polimerici

I polimeri sono materiali fatti di lunghe catene di molecole che tendono ad avere importanti proprietà come la robustezza e la resistenza al calore. Il chimico statunitense Carl Marvel è stato il primo a sintetizzare un tessuto polimerico, il polibenzimidazolo, negli anni cinquanta, di cui la Nasa ha fatto un grande uso, evitando che finisse nel dimenticatoio. L’agenzia spaziale stava infatti cercando di sviluppare una fibra tessile che rimanesse non infiammabile e stabile in un’ampia gamma di temperature – da quella dell’idrogeno liquido a quella dell’oro fuso. Infatti, era emerso che il disastro dell’incendio dell’Apollo 1, in cui morirono tutti e tre i membri dell’equipaggio, era stato forse causato dall’infiammabilità dei materiali. Quella tragedia diventò un campanello d’allarme per la Nasa.

L’associazione internazionale dei vigili del fuoco ha poi collaborato con la Nasa al progetto Fires, nel 1971, includendo questo nuovo materiale nella strumentazione protettiva dei pompieri. Questi materiali fecero così il loro ingresso tra i vigili del fuoco statunitensi negli anni settanta e ottanta, rafforzando le loro uniformi di protezione. Sono ancora usati in diversi modi e settori, tra cui la risposta alle emergenze, le gare automobilistiche, l’esercito e l’industria.

Dispositivi senza fili

Gli astronauti dell’Apollo volevano riportate alcune rocce sulla Terra ed effettuare delle misurazioni mentre erano sulla Luna. Per questo avevano bisogno di efficaci trapani senza fili. Per fortuna l’azienda Black & Decker aveva sviluppato alcuni prodotti di questo tipo, anche se erano ancora prototipi, nel 1961. La Nasa mise sotto contratto l’azienda, insieme all’azienda Martin Marietta, per contribuire allo sviluppo di strumentazioni più maneggevoli, come un martello tassellatore senza fili, in grado di estrarre campioni di roccia sulla Luna.

Un altro compito piuttosto complesso è quello di usare una chiave inglese per serrare i bulloni, che in assenza di gravità galleggiano, senza volteggiare in senso opposto: un problema che ha spinto allo sviluppo dell’avvitatrice a impulsi. La Nasa ha così contribuito a promuovere l’importante innovazione dei dispositivi senza filo, immettendo la propria esperienza nei dispositivi medici e negli aspirapolvere.

Detto questo, in quanto astronomo culturale, mi piace sedermi e pensare alle altre invenzioni materiali derivate dai viaggi spaziali e dall’allunaggio degli esseri umani. Personalmente penso allo sviluppo di innovativi concetti di pensiero a proposito di noi stessi e dell’ambiente, fondamentali per la nostra società occidentale contemporanea, come per esempio il cosiddetto effetto della veduta d’insieme e l’impatto che la fotografia Blue marble (quella della Terra vista dallo spazio) ha avuto sulla fioritura del movimento ambientalista.

I viaggi nello spazio degli esseri umani non possono essere sempre misurati attraverso le novità materiali che hanno prodotto, e dovrebbero quindi essere giudicati anche dal modo in cui hanno cambiato il nostro modo di pensare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su The Conversation.

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